venerdì 8 febbraio 2019

Libro. Razzisti, malvagi e anche banali: diario in punta di matita di Mauro Biani.


Hitler e i migranti, i bambini e il Ku Klux Klan. Tre anni di vignette del nostro collaboratore  raccolte nel libro "La banalità del ma". Per ricordarci come siamo arrivati alla situazione attuale. Riflettere, vergognarci e rimboccarci le maniche.


Razzisti, malvagi e anche banali: diario in punta di matita di Mauro BianiE' un diario in pubblico in punta di matita “La banalità del ma” di Mauro Biani, in libreria da giovedì 7 febbraio per le edizioni People.
Una raccolta di vignette degli ultimi tre anni che raccontano come noi italiani ci siamo incanagliti, come la martellante propaganda salviniana sui pericoli portati dai migrati abbia fatto breccia anche su chi si sente ancora progressista: perché ognuno di noi avrebbe un “ma”, un banalissimo “ma” dietro a cui nascondersi. Un ma che la teorica della "banalità del male" Hannah Arendt, ritratta da Biani in una vignetta indimenticabile, non ci perdonerebbe mai.
Ogni vignetta è accompagnata da un testo di Francesco Foti che ricorda a quale fatto di cronaca si riferisce. Perché vedere un uomo vestito da Ku Klux Klan che dice “Vabbè, mo' stai a guardare il cappello” può far sorridere, ma l'immagine diventa agghiacciante quando la contestualizzi: perché quel disegno è nato quando Donald Trump è stato eletto presidente e la setta razzista americana ha festeggiato la vittoria annunciando una parata in suo onore.



Purtroppo le denunce contenute in questi disegni sono ancora di attualità. Come quello che sembra un commento alla protesta violenta e sterile dei gilet gialli, che sono quasi esclusivamente bianchi: una vignetta sul divario sociale in cui un uomo dalla pelle scura chiede «perché non ci ribelliamo?”, e l'uomo con la pelle chiara gli risponde «non toccarmi, negro!».

O Hitler che commentando il film “Lui è tornato” conferma: «Io ritorno, ma a pezzetti, brani, un po’ qui, un po’ lì, un poì là, un po’ tu, un po’ lui, senza dare troppo nell’occhio».

Per finire con la bambina che nel febbraio 2016 fa la domanda che potrebbe fare ancora, tre anni dopo: «Come avete fatto a diventare così miserabili?», chiede. E l’adulto le risponde, tranquillo, che «eravamo già miserabili, ma ci vergognavamo: pensa che scemi».

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