Pubblichiamo volentieri questo
articolo di Piero Purini, in cui si smontano (con una certa facilità,
vista l’incompetenza storica dei “revisionisti” storici nostrani) tutte
le favole sui “poveri italiani” infoibati dai crudeli “titini”. Non
certo perché io ritenga i partigiani jugoslavi degli “angioletti” senza
macchia. Errori e violenze inutili sono stati certamente commessi anche
da parte delle forze di liberazione jugoslave (come in ogni guerra
civile, purtroppo). Se non altro, la stessa testimonianza di mio padre,
combattente partigiano nel battaglione “Antonio Gramsci”, aggregato alla
Prima Brigata Dalmata dell’Esercito di Liberazione jugoslavo, me ne
fornì, a suo tempo, svariati esempi. Ma concordo con il suo giudizio di
allora: quando ti bruciano la casa, ti fucilano o impiccano i genitori
(e i “nostri” bersaglieri o alpini, per non parlare dei criminali in
camicia nera, hanno fatto di tutto per emulare le belve naziste in
questo) non vai tanto per il sottile (soprattutto se sei un povero
contadino con scarsa coscienza politica, guidato soprattutto, e
giustamente, dalla rabbia contro l’invasore) e magari dimentichi la tua
umanità. Dedicato a te, vecchio mio, nel giorno in cui cercano di
infangare i tuoi compagni di allora. (Flavio)
Come si manipola la storia attraverso le immagini: il Giorno del Ricordo e i falsi fotografici sulle foibe
con la collaborazione del gruppo di lavoro «Nicoletta Bourbaki»
E quest’altra:
E questa ancora:
La stessa immagine però è passata sul Tg3 riferita alle vittime delle foibe:
In un’altra pubblicazione – Tone Ferenc, La provincia “italiana” di Lubiana. Documenti 1941-1942, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine 1994 – si trova la didascalia con tutte le informazioni necessarie a identificare la fucilazione di Dane:
L’ufficiale italiano, la cui mano si intravede in alto a sinistra,
spara il colpo di grazia ai fucilati. Anche in questa foto c’è un
particolare che conferma il fatto che le vittime non sono italiane: uno
dei morti calza le tipiche babbucce serbo-montenegrine, le opanke.
Immagine generalmente associata al massacro degli ufficiali polacchi a
Katyn, alla liquidazione degli Shtetl in Polonia ed Ucraina, alle
uccisioni delle foibe, addirittura ad esecuzioni da parte
austro-ungarica di prigionieri catturati durante la disfatta di
Caporetto nel 1917. Non ho trovato un archetipo, ma escludo tanto Katyn
quanto le foibe in quanto non esistono testimonianze fotografiche delle
esecuzioni ed in entrambi i casi non avrebbe avuto senso spogliare le
vittime. L’attribuzione più plausibile mi sembra quella
dell’eliminazione di prigionieri (russi?) in qualche villaggio dell’est o
in un campo di concentramento, vista anche la divisa del boia, che
sembra essere delle SS-Totenkopfverbände (Testa di morto), reparto adibito alla custodia dei campi nazisti.
Il fatto poi che siano četnici esclude che le due
persone in piedi siano donne: è noto che i nazionalisti serbi portavano i
capelli lunghi alle spalle.
Ancora una volta le fotografie utilizzate per la Giornata del ricordo
girano la verità storica di 180°, presentando le vittime come aguzzini e
viceversa.
⁂
9. FRANCESI IN FUGA DA HITLER SPACCIATI PER ESULI ISTRIANI
Non basta, manca l’esodo. Ecco qui una foto che negli ultimi tempi ha girato parecchio su internet: una bambina e la sua famiglia scappano dall’occupazione jugoslava di una città istriana.
Ma ecco la sorpresa:
La didascalia dice: «Bambini fuggono dall’avanzata di Hitler nel 1940». Si tratta di una foto scattata nel giugno del 1940 quando le truppe del Reich invasero la Francia. Dunque sbagliata la collocazione (non Istria, ma Francia), sbagliato l’anno (non 1945-47, ma 1940), sbagliato l’invasore (non Tito, ma Hitler).
La foto si trova addirittura sulla copertina di questo libro di Hanna Diamond, storica e francesista, docente all’Università di Bath in Inghilterra, ma come ben si sa, raramente in Italia si prendono in considerazione gli studi stranieri…
⁂
10. BRIGANTI INFOIBATI
Colpisce il fatto che, mentre per le foibe manca una documentazione fotografica delle uccisioni e le immagini relative al recupero dei corpi sono abbastanza rare (il che potrebbe essere un ulteriore riscontro che le effettive uccisioni nelle cavità carsiche furono relativamente poche, nell’ordine di grandezza delle centinaia e non delle migliaia), immagini dell’esodo sono invece piuttosto diffuse, soprattutto di quello da Pola, ma in occasione della Giornata del ricordo non si disdegna di adoperarne di fasulle. Perché?
Una parte di responsabilità va sicuramente attribuita al fatto che spesso queste ricorrenze sono organizzate (o pubblicizzate graficamente) da persone senza una sufficiente preparazione storica, quando non del tutto estranee all’ambito. Mi pare possibile che le foto vengano selezionate in base all’impatto emotivo che possono suscitare su chi le guarda e dunque non si vada troppo per il sottile. La foto dell’esodo “francese” ha in primo piano un’adolescente dall’espressione spaventata, che sicuramente è un elemento di grande presa emotiva e ha l’effetto di rappresentare l’esodo istriano per quello che non è stato: una fuga disordinata da un invasore sanguinario (come invece lo fu quella dei profughi francesi dalla Wehrmacht) invece che un processo migratorio sviluppatosi nell’arco di un decennio abbondante, come i dati statistici permettono di rilevare.
Tuttavia ciò che colpisce di più è il fatto che la maggior parte dei falsi che siamo riusciti a smascherare presenti un totale ribaltamento del contenuto: sono foto che mostrano vittime slovene (o croate o partigiane) uccise dagli italiani, ma vengono presentate come l’opposto, italiani vittime delle violenze slavocomuniste.
Una spiegazione “tecnica” potrebbe essere quella che gli addetti al reperimento del materiale si siano limitati a digitare su Google qualcosa tipo “Jugoslavia”, “crimini” o “vittime” e “italiani” e senza accorgersi siano capitati in siti dove vengono documentate le violenze italiane in Jugoslavia: l’utilizzo di quelle immagini sarebbe dunque semplicemente un errore di superficialità. Se è vero che la cura nella corretta identificazione delle immagini fotografiche è significativamente inferiore a quella riservata ad altre tipologie documentali, nel caso delle immagini delle foibe questa pessima pratica sembra quasi essere la norma.
Non mi sento però di escludere che questa totale inversione sia invece dolosa: che si tratti di un atto volontario nato proprio per instillare on line confusione e il dubbio che le foto delle vittime della resistenza siano effettivamente tali (e rendere questo dubbio virale attraverso l’incredibile forza di replica di internet), o forse più semplicemente per provocare, offendere e screditare la memoria della Lotta di liberazione jugoslava.
Un altro aspetto che salta agli occhi ricercando in questo campo è la carenza di immagini testimonianti la repressione violenta degli italiani ad opera dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, se confrontate alle foto esistenti di violenze italiane in Jugoslavia, decisamente più numerose e dettagliate. D’altra parte ciò è fisiologico: i popoli jugoslavi subirono un’invasione che provocò un numero enorme di vittime. La Jugoslavia ebbe un milione di morti su una popolazione di quindici milioni (cfr. John Keegan, Atlas of the Second World War); nella provincia di Lubiana vi furono 30.299 vittime su una popolazione totale di 336.300 abitanti (9% degli abitanti). Nella Venezia Giulia, invece, il numero delle vittime “italiane” dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo arriva a poche migliaia (contando anche coloro che morirono in prigionia di stenti e malnutrizione, cosa che accadeva anche nei campi di prigionia angloamericani), tra cui alcune centinaia di “infoibati”. Non lo dico io ma il rapporto della Commissione storica italo-slovena, che certo non si può accusare di “titoismo”.
A dispetto della risonanza mediatica che viene data alle foibe e alle vicende del confine orientale, si trattò di un episodio minore e periferico in quell’immane catastrofe che fu la seconda guerra mondiale.
L’attribuzione a sé da parte italiana di questo materiale iconografico potrebbe semplicemente mascherare la consapevolezza di non averne o di averne pochissimo e di volersi opportunisticamente appropriare di quello dell’avversario per colmare le proprie lacune, in un’epoca come quella odierna in cui le immagini contano di più dei concetti.
L’idea che alla base di questi errori vi sia un opportunismo di questo tipo viene in qualche modo confermata anche dall’analisi di chi sono gli autori. Se nel caso di singoli utenti di Facebook o di blogger che arricchiscono con immagini i propri commenti, l’errore in buona fede può sicuramente starci; nel caso di giornalisti, di grafici o di impiegati comunali che cercano materiale fotografico per la Giornata del ricordo l’errore mi sembra possibile, ma abbastanza più grave. Del tutto ingiustificabile invece risulta un’attribuzione sbagliata quando si tratta di media a diffusione nazionale e di opinion maker come Bruno Vespa, oppure di istituzioni pubbliche nazionali, come nel caso del sito del Ministero degli interni denunciato da Mlinar. Un ultimo caso in questo senso è stata la foto allegata ai tweet per il 10 febbraio di quest’anno della Camera dei deputati…
…e del presidente della Camera Laura Boldrini:
L’originale di questa foto si trova alla Sezione storia della Biblioteca Nazionale e degli studi di Trieste (Narodna in študijska knjižnica – Odsek za zgodovino). A quanto ne so è stata pubblicata solo una volta, nel libro di Jože Pirjevec Foibe. Una storia d’Italia (Einaudi 2009). La foto completa è questa:
Si noti la didascalia presente sotto la foto.
Non appena alcuni utenti segnalano via tweet la falsificazione, lo staff comunicazione di @montecitorio e @lauraboldrini si affretta a rimuovere la foto da twitter scusandosi per l’errore ma, considerando che quell’immagine è stata pubblicata solo ed esclusivamente con una didascalia che ne spiega con chiarezza il contesto, è difficile pensare che il suo utilizzo per raffigurare le foibe sia dovuto soltanto a un’ingenuità. Ciò che inquieta è che siano le stesse istituzioni dello Stato a prestarsi a questo gioco, ma dal momento che la Giornata del ricordo è diventata uno dei pilastri della creazione di una mitologia collettiva nazionale italiana e della memoria condivisa, non stupisce che il travisamento della realtà storica e delle immagini venga portato avanti anche ad alto livello politico.
Il materiale fotografico è documentazione storica. Dovrebbe essere utilizzato come tale, con rigore e consentendo a chi lo guarda di avere tutte le informazioni che gli permettano di utilizzarlo al meglio: che cosa mostra la foto, dove è stata scattata, quando, da chi, dov’è conservata. Dovrebbe essere uno strumento per capire meglio gli avvenimenti storici, per poter comprendere gli eventi non solo attraverso la lettura, il racconto e la riflessione, ma anche attraverso la vista. L’utilizzo che invece si è fatto del materiale fotografico che abbiamo preso in esame è l’opposto di questo. Le immagini sono state utilizzate (e manipolate) per colpire le emozioni e non la ragione, sono state usate come santini della vittima di turno, come oggetti devozionali, reliquie con le quali esprimere e consolidare la propria fede, sono state manipolate per dimostrare l’esatto opposto di ciò che rappresentano. E, come buona parte delle reliquie, si sono dimostrate false.
A noi il compito di resistere, continuando a segnalare le manipolazioni della storia e a contrastare l’omologazione e il pensiero unico.
___
* Piero Purini (Trieste, 1968) si è laureato in storia contemporanea all’Università di Trieste sotto la guida del prof. Jože Pirjevec. Ha poi frequentato corsi di perfezionamento post laurea presso l’Università di Lubiana e quindi ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Klagenfurt sotto la guida del prof. Karl Stuhlpfarrer. Si occupa principalmente di movimenti migratori, di spostamenti di popolazione e di questioni legate all’identità e all’appartenenza nazionale: il fatto di aver studiato in Italia, Slovenia ed Austria gli ha permesso di analizzare la storia di una regione etnicamente complessa come la Venezia Giulia in una prospettiva più internazionale ed europea. È autore dei libri Trieste 1954-1963. Dal Governo Militare Alleato alla Regione Friuli-Venezia Giulia (Trieste, Circolo per gli studi sociali Virgil Šček – Krožek za družbena vprašanja Virgil Šček, 1995) e Metamorfosi etniche.
I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975 (KappaVu, Udine 2010; nuova edizione: 2014). Per Giap ha scritto il saggio Quello che Cristicchi dimentica. Magazzino 18, gli «italiani brava gente» e le vere larghe intese (febbraio 2014). Affianca all’attività di storico anche quella di musicista.
Nicoletta Bourbaki è l’eteronimo usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia e le manipolazioni storiche in rete, formatosi nel 2012 durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.
1. UN GIORNO A DANE, SLOVENIA, 31 LUGLIO 1942
Guardate questa foto:
Un plotone d’esecuzione in divisa, cinque fucilati di schiena che attendono la scarica.
Guardate quest’immagine:
E questa ancora:
Ce ne sono molte altre simili nei manifesti che pubblicizzano iniziative per il Giorno del ricordo.
A questo punto vi sarete convinti: i fucilati, chiaramente, sono italiani che vengono uccisi dalle truppe jugoslave.
La foto viene messa in onda nella trasmissione Porta a porta condotta da Bruno Vespa per la giornata del ricordo del 2012. Ospiti in studio, tra gli altri, gli storici Raoul Pupo e Alessandra Kersevan.
In quella trasmissione però
emerge, con enorme disappunto di Bruno Vespa, che la foto non mostra la
fucilazione di vittime italiane da parte dei feroci partigiani titini.
Tutt’altro. Alessandra Kersevan fa notare che la foto ritrae la
fucilazione di cinque ostaggi sloveni da parte delle truppe italiane
durante l’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943). Bruno Vespa
attacca furiosamente la signora Kersevan (non si sa perché altri ospiti
vengono definiti professore o professoressa, titolo che spetterebbe di
diritto anche a questa ricercatrice storica); Raoul Pupo interviene
sulla questione solo quando viene interpellato direttamente dalla
Kersevan e conferma che il contenuto dell’immagine è completamente
opposto a quanto viene fatto passare nella trasmissione. Quando è
costretto a prendere atto che la foto ritrae effettivamente ostaggi
sloveni fucilati da un plotone d’esecuzione italiano, il conduttore si
giustifica dicendo che l’immagine è tratta da un libro sloveno.
Bruno Vespa non porgerà mai le proprie scuse alla professoressa Kersevan per il madornale errore.
In effetti la fotografia è stata scattata nel villaggio
di Dane, nella Loška Dolina, a sudest di Lubiana. Si sa anche il giorno
in cui la foto fu scattata, il 31 luglio 1942, e addirittura i nomi dei
fucilati:
Franc Žnidaršič,
Janez Kranjc,
Franc Škerbec,
Feliks Žnidaršič,
Edvard Škerbec.
Come nella Wehrmacht e nelle SS, anche nell’esercito italiano si
documentavano stragi e crimini, salvo tenerli nascosti negli anni
successivi per confermare il (finto) cliché del «bono soldato italiano».Franc Žnidaršič,
Janez Kranjc,
Franc Škerbec,
Feliks Žnidaršič,
Edvard Škerbec.
Il rullino di cui la fotografia faceva parte viene
abbandonato dalle truppe italiane dopo l’8 settembre 1943 e finisce
nelle mani dei partigiani. Nel maggio del 1946 la foto (insieme ad altro
materiale che testimonia la Lotta di liberazione jugoslava ed i crimini
di guerra italiani e tedeschi in Slovenia) viene pubblicata a Lubiana
nel libro Mučeniška pot k svobodi («La travagliata strada verso la libertà»).
Nello stesso anno, sempre a Lubiana, viene pubblicato – stavolta in italiano – un altro libro sullo stesso tema, Ventinove mesi di occupazione italiana nella provincia di Lubiana: considerazioni e documenti, a cura di Giuseppe Piemontese.
Nello stesso anno, sempre a Lubiana, viene pubblicato – stavolta in italiano – un altro libro sullo stesso tema, Ventinove mesi di occupazione italiana nella provincia di Lubiana: considerazioni e documenti, a cura di Giuseppe Piemontese.
Da quest’ultimo libro è tratta questa pagina, che riporta la foto con la didascalia: «…e un ufficiale si diletta a fotografare…»
…che è la continuazione del commento ad un foto
pubblicata accanto: «Prima di venir fucilati devono scavarsi la fossa».
Non è la stessa fucilazione ma sono gli stessi fucilatori, è
un’esecuzione di ostaggi nella vicina Zavrh pri Cerknici, avvenuta
quattro giorni prima.
In un’altra pubblicazione – Tone Ferenc, La provincia “italiana” di Lubiana. Documenti 1941-1942, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine 1994 – si trova la didascalia con tutte le informazioni necessarie a identificare la fucilazione di Dane:
Eppure non basta: si continuano a presentare i cinque ostaggi sloveni della foto come italiani vittime degli slavocomunisti.
In alcuni casi l’uso della foto nei manifesti della
Giornata del ricordo scatena reazioni internazionali: a protestare
contro il clamoroso errore (ammesso e non concesso che non si tratti di
una bufala voluta) è addirittura il Ministero degli esteri sloveno che
segnala al Comune di Bastia Umbra l’uso improprio della fonte. Altre
volte lettere giungono da storici indipendenti come Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi e Sandi Volk.
Le reazioni sono spesso di scuse (con la conseguente rimozione del
materiale iconografico da siti on line), ma in alcuni casi – quali
quella dell’assessore alla cultura di Bastia Umbra Rosella Aristei – si
procede ad un’improbabile giustificazione dell’uso della foto come
denuncia simbolica della violenza, esecrabile in tutte le sue varie
forme.
La vicenda della foto di Dane ha il suo apice in una
lettera di protesta spedita direttamente al presidente Napolitano da
parte di Miro Mlinar, Presidente dell’Associazione dei
combattenti per i valori della lotta di liberazione nazionale di
Cerknica (Slovenia), offeso dal fatto che l’immagine fosse stata
addirittura pubblicata impropriamente sul sito del Ministero degli
interni italiano. Purtroppo non abbiamo lo screenshot del sito del
Ministero, tuttavia la lettera di Mlinar è reperibile qui.
Il Presidente dell’Associazione dei combattenti slovena sostiene che è stata proprio la pubblicazione sul sito ufficiale italiano a giustificare in seguito l’uso scorretto della foto, facendola diventare uno strumento improprio per aizzare l’odio verso il popolo sloveno. Per questo suggerisce a Napolitano di spostare la data del Giorno del ricordo al 10 giugno, «data del vero inizio delle tragedie del popolo italiano.» A quanto mi risulta il primo presidente proveniente dal partito italiano che più aveva contribuito alla Resistenza non si è nemmeno degnato di rispondere a Mlinar.
Il Presidente dell’Associazione dei combattenti slovena sostiene che è stata proprio la pubblicazione sul sito ufficiale italiano a giustificare in seguito l’uso scorretto della foto, facendola diventare uno strumento improprio per aizzare l’odio verso il popolo sloveno. Per questo suggerisce a Napolitano di spostare la data del Giorno del ricordo al 10 giugno, «data del vero inizio delle tragedie del popolo italiano.» A quanto mi risulta il primo presidente proveniente dal partito italiano che più aveva contribuito alla Resistenza non si è nemmeno degnato di rispondere a Mlinar.
Per la vicenda delle false attribuzioni della foto di Dane rimando a questo dossier e ringrazio Ivan Serra e lo staff del sito diecifebbraio.info per la minuziosa ricostruzione della bufala e delle sue implicazioni internazionali.
In qualche modo, tuttavia, la vicenda dell’abuso della
foto di Dane arriva fino ai media nazionali. Finalmente, pochi giorni
fa, se ne occupa un articolo sull’Espresso, grazie ad un post pubblicato proprio qui su Giap:
Si spera che con questo passaggio su un periodico a diffusione nazionale finalmente Franc Žnidaršič, Janez Kranjc, Franc Škerbec, Feliks Žnidaršič ed Edvard Škerbec possano avere la giustizia e la collocazione storica che si meritano.
⁂
2. FUCILATI MONTENEGRINI SPACCIATI PER «VITTIME DELLE FOIBE»
Le bufale legate alla giornata del ricordo non si limitano alla fucilazione degli ostaggi di Dane. Ecco qui un altro esempio:
ed ancora un altro:
Nell’intento di chi ha utilizzato queste foto, la prima
rappresenterebbe un gruppo di italiani uccisi dai titini e la seconda un
partigiano che prende a calci un povero prigioniero italiano.
Anche in questo caso invece la realtà è un’altra (già le
divise dei due militari della seconda immagine non lasciano dubbi che
si tratti di un soldato e di un ufficiale italiano): entrambe le foto
fanno parte dello stesso rullino e documentano la fucilazione di ostaggi
e partigiani in Montenegro, occupato dall’esercito italiano dall’aprile
del 1941 all’8 settembre 1943. Ne esiste la sequenza completa (sul sito criminidiguerra.it ), qui le tratteremo una per una perché ogni fotogramma contiene particolari che smentiscono si tratti di italiani.
I prigionieri montenegrini sono presi a calci da un
soldato italiano riconoscibile dalla divisa mentre vengono portati sul
luogo della fucilazione:
Poi i prigionieri sono schierati davanti al plotone
d’esecuzione. Che non si tratti di italiani è intuibile dal copricapo
del terzo e del quinto condannato da sinistra che indossano la tipica
berretta montenegrina. Quattro ostaggi alzano il pugno chiuso, evidente
testimonianza che – almeno quei quattro – sono partigiani comunisti.
L’uomo al centro della foto, accanto a quello che mostra il pugno,
indossa il berretto partigiano, la cosiddetta “titovka”.
Parte la scarica (italiana)…
Gli ostaggi sono morti. E’ la stessa foto che illustra
la notizia del Giorno del ricordo a Cernobbio, ma ora sappiamo che sono
vittime montenegrine degli italiani e non italiani vittime degli
jugoslavi.
L’ultima foto del rullino:
⁂
3. NUMERO D’INVENTARIO 8318
Altra foto che non rappresenta vittime delle foibe, ma che viene fatta passare come tale:
Fin da subito di questa foto non mi hanno convinto
diversi particolari: il paesaggio non è per nulla istriano o carsico, le
divise non sembrano assolutamente divise “titine” o anche di partigiani
non inquadrati in formazioni regolari, i cadaveri sono troppi e troppo
“freschi” per essere stati estratti da una foiba. Nel caso in cui non si
trattasse di vittime estratte da una foiba ma di un’esecuzione sommaria
da parte degli jugoslavi, colpisce invece il fatto che i morti sembrano
essere tutti maschi e che non ci sia tra loro nemmeno una persona in
divisa (dal momento che, nella vulgata fascista e neofascista sulle
foibe, nel 1943 sarebbero stati eliminati tutti coloro che potevano
essere considerati funzionari dello Stato italiano, compresi dunque
militari e pure donne).
Dopo innumerevoli supposizioni (Katyn? Stragi di ebrei
nel Baltico?), grazie alla solerzia di un giapster, Tuco, troviamo
l’originale. Si trova nell’archivio dell’Armata Popolare Jugoslava a Belgrado. Eccola:
Che si tratti di una stampa dal negativo è chiaro dalla
pulizia e dalla definizione dell’immagine: in nessuno dei siti italiani
che riportano la foto, questa è così nitida e i dettagli così visibili.
Ma ciò che è più interessante è quel che c’è scritto dietro. Il sito,
infatti, riporta anche il retro della foto, dove ogni archivio
fotografico segnala le note e la descrizione relativa all’immagine.
La traduzione è la seguente: «Numero d’inventario 8318.
Crimine degli italiani in Slovenia. Negativo siglato A-789/8. Originale:
Museo dell’JNA a Belgrado»
Dunque non si tratta, nemmeno in questo caso, di vittime
delle foibe, ma piuttosto del contrario: vittime slovene uccise
dall’esercito italiano.
Ciò che è impressionante è la velocità con cui su
internet un’immagine diventa virale (e dunque “vera”): cercando nel web
il 10 febbraio alle otto di sera, quest’immagine – secondo le mie
modeste conoscenze informatiche – appariva sette volte, tutte e sette
associata al descrittore “foibe”. Due giorni dopo (giovedì 12 verso le
23.00) la foto era reperibile su ben 103 siti, a dimostrazione
dell’incredibile potenza moltiplicativa di Internet, pur trattandosi di
una bufala.
⁂
4. SI PARLA DEL «DRAMMA DEGLI INFOIBATI» E SI MOSTRA UN UFFICIALE DELLE SS MA FORSE LA STORIA E’ ANCORA PIU’ ASSURDA
Su internet si trova anche la seguente immagine:
[N.d.R. Su questa foto, vedi la discussione qui sotto con intervento di Nicoletta Bourbaki.]
⁂
5. BRUNO VESPA CI RICASCA: I PARTIGIANI IMPICCATI A PREMARIACCO
Torniamo ora a Bruno Vespa. Oltre a non essersi mai
scusato ufficialmente con Alessandra Kersevan per l’errore (?) dei
fucilati di Dane, nella trasmissione dedicata alla Giornata del ricordo
di quest’anno (2015), mentre sta parlando di «esecuzioni sommarie a
Trieste», manda in onda questa foto:
Chiaramente lo spettatore ignaro viene indotto a pensare
che si tratti di italiani impiccati dai partigiani titini. Invece non è
così: come nel caso di Dane, Vespa mostra in un contesto un’immagine
che è esattamente l’opposto. Si tratta infatti di partigiani friulani
(più uno goriziano ed uno sloveno) impiccati a Premariacco in Friuli il
29 maggio del 1944. Anche i nomi delle vittime di questa strage sono
conosciuti:
Sergio Buligan, 18 anni;
Luigi Cecutto, 19 anni;
Vinicio Comuzzo, 18 anni;
Angelo Del Degan, 18 anni;
Livio Domini, 18 anni;
Stefano Domini, 19 anni;
Alessio Feruglio, 19 anni;
Aniceto Feruglio, 17 anni;
Pietro Feruglio, 18 anni;
Ardo Martelossi, 19 anni;
Diego Mesaglio, 20 anni;
Mario Noacco, 20 anni;
Mario Paolini, 18 anni,
tutti di Feletto Umberto.
Inoltre:
Ezio Baldassi di San Giovanni al Natisone, 16 anni;
Guido Beltrame di Manzano, 60 anni;
Sergio Torossi di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Antonio Ceccon di Dogna, 19 anni;
Luigi Cerno di Taipana, 21 anni;
Bruno Clocchiatti di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Oreste Cotterli di Udine, 41 anni;
Agostino Fattorini di Reana del Rojale, 24 anni;
Dionisio Tauro di Chions, 41 anni;
Guerrino Zannier di Clauzetto, 25 anni;
Mario Pontarini o Pontoni;
Luigi Bon di Gorizia, 35 anni;
Jože Brunič di Novo Mesto.
Sergio Buligan, 18 anni;
Luigi Cecutto, 19 anni;
Vinicio Comuzzo, 18 anni;
Angelo Del Degan, 18 anni;
Livio Domini, 18 anni;
Stefano Domini, 19 anni;
Alessio Feruglio, 19 anni;
Aniceto Feruglio, 17 anni;
Pietro Feruglio, 18 anni;
Ardo Martelossi, 19 anni;
Diego Mesaglio, 20 anni;
Mario Noacco, 20 anni;
Mario Paolini, 18 anni,
tutti di Feletto Umberto.
Inoltre:
Ezio Baldassi di San Giovanni al Natisone, 16 anni;
Guido Beltrame di Manzano, 60 anni;
Sergio Torossi di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Antonio Ceccon di Dogna, 19 anni;
Luigi Cerno di Taipana, 21 anni;
Bruno Clocchiatti di Corno di Rosazzo, 17 anni;
Oreste Cotterli di Udine, 41 anni;
Agostino Fattorini di Reana del Rojale, 24 anni;
Dionisio Tauro di Chions, 41 anni;
Guerrino Zannier di Clauzetto, 25 anni;
Mario Pontarini o Pontoni;
Luigi Bon di Gorizia, 35 anni;
Jože Brunič di Novo Mesto.
Ecco la foto non deturpata dal logo della trasmissione di Vespa:
Dal momento che in contemporanea ci fu un’esecuzione
collettiva anche a San Giovanni al Natisone e non è perfettamente chiaro
quali dei partigiani elencati sopra siano stati uccisi a Premariacco e
quali a San Giovanni, pubblichiamo qui di seguito anche la foto dei
caduti per la libertà di San Giovanni al Natisone, sperando in questo
modo di evitare preventivamente che si insulti anche la loro memoria
(anche considerando che l’Anpi di Udine, pochi giorni dopo la bufala di
Bruno Vespa, ha tolto dal proprio sito foto e riferimenti ai martiri del 29 maggio. Speriamo si tratti di un caso.)
[N.d.R. Nei commenti a questo post viene spiegato l’arcano: «il sito dell’ANPI di Udine ha cambiato non solo server, ma anche piattaforma (da Drupal a WordPress); in ragione di ciò tutti i link interni devono essere editati a mano.»]
[N.d.R. Nei commenti a questo post viene spiegato l’arcano: «il sito dell’ANPI di Udine ha cambiato non solo server, ma anche piattaforma (da Drupal a WordPress); in ragione di ciò tutti i link interni devono essere editati a mano.»]
⁂
6. CHE C’ENTRA SREBRENICA CON LE FOIBE?
C’è poi l’articolo de «Il Piccolo» di Trieste che
sarebbe esilarante se non trattasse di un argomento, anzi due, così
macabro e doloroso.
Il sottotitolo della foto reca la dicitura:
«L’esumazione di una parte dei cadaveri rinvenuti in una foiba». Peccato
che la foto sia a colori, gli esumatori indossino jeans e sia evidente
come l’immagine sia di decenni più recente. Facendo una rapida ricerca
su internet si trova l’originale: è una fossa comune nel villaggio di
Kamenica in Bosnia, nel Cantone di Tuzla, in cui sono stati sepolti
musulmani bosniaci dopo la deportazione da Srebrenica.
L’errore è così grossolano che il giornale nel giro di
poche ore sostituisce la foto con questa (che si riferisce
effettivamente al recupero di corpi dalla foiba di Vines, 1943):
⁂
7. LA «VERA STORIA» CON COPERTINA FALSA
Passiamo poi ad uno dei taroccamenti più evidenti
dell’intera vicenda “foibe”, che richiama alcuni dei luoghi comuni più
triti sulla bestialità dei partigiani, la sanguinarietà truculenta e la
partecipazione delle partigiane (le terribili “drugarice”) alle azioni
più violente. Si tratta della copertina del libro Una grande tragedia dimenticata. La vera storia delle foibe, di Giuseppina Mellace, edito da Newton Compton.
Nella copertina si vede un trio (ad occhio: un
partigiano e due partigiane) nell’atto di sgozzare una vittima
(presumibilmente un povero italiano). Anche qui però il taroccamento è
palese. La foto originale infatti è questa:
Anche in questo caso si assiste ad un totale ribaltamento del senso dell’immagine. I carnefici della foto infatti sono una Crna trojka
(“Terzetto Nero”), unità četniche, cioè appartenenti all’esercito
nazionalista serbo. Si trattava di una sorta di tribunale volante che
aveva il compito di eliminare collaborazionisti dell’occupatore. Con
l’evolversi della guerra e con l’avvicinamento di Draža Mihailović ai tedeschi, le Crne trojke
si dedicarono sempre più all’esecuzione sommaria di partigiani
comunisti, di simpatizzanti del movimento partigiano e dei loro
familiari. Che si tratti di četnici e non di partigiani è facilmente
deducibile dall’abbigliamento: anziché la bustina partigiana (la
cosiddetta titovka, già citata nel caso dei fucilati montenegrini), gli individui fotografati sul libro della Mellace hanno in testa una šajkača, il tipico copricapo serbo, utilizzato dai nazionalisti serbi.
Qui di seguito la differenza tra una titovka (che
peraltro è sempre ornata da una stella rossa) e una šajkača (che
solitamente ha in fronte uno scudo con l’aquila serba, decisamente più
grande, come si può notare dal copricapo del četniko in piedi al centro
della foto).
Inoltre che la vittima non sia un italiano è nuovamente
intuibile dalle calzature, che sono – come nel caso di alcuni dei
fucilati del Montenegro – opanke, cioè le babbucce tipiche della Serbia e
del Montenegro.
⁂
8. MORTI NEI LAGER NAZISTI E FASCISTI SPACCIATI PER… INDOVINATE COSA?
Per taroccare le immagini relative alla Giornata del
ricordo non si è disdegnato di utilizzare anche i campi di
concentramento e sterminio nazisti.
Il Comune di Brisighella (ma a grandi linee mi pare che
l’utilizzo della foto sia più diffuso) commemora le foibe con questa
foto:
…che in realtà è una foto di cadaveri nel campo di
Bergen-Belsen; mentre su alcuni siti e addirittura in un manifesto della
Provincia di Foggia appare quest’altra foto di bambini in un campo
nazista…
…spacciata – non si capisce bene in che modo – per una foto relativa alle foibe.
Sempre in tema di campi di concentramento ecco un’altra foto clamorosamente sbagliata:
In realtà si tratta di un deportato croato
nel campo di concentramento italiano dell’isola di Arbe.L’immagine è
addirittura sulla copertina di un libro di Alessandra Kersevan:
⁂
9. FRANCESI IN FUGA DA HITLER SPACCIATI PER ESULI ISTRIANI
Non basta, manca l’esodo. Ecco qui una foto che negli ultimi tempi ha girato parecchio su internet: una bambina e la sua famiglia scappano dall’occupazione jugoslava di una città istriana.
Ma ecco la sorpresa:
La didascalia dice: «Bambini fuggono dall’avanzata di Hitler nel 1940». Si tratta di una foto scattata nel giugno del 1940 quando le truppe del Reich invasero la Francia. Dunque sbagliata la collocazione (non Istria, ma Francia), sbagliato l’anno (non 1945-47, ma 1940), sbagliato l’invasore (non Tito, ma Hitler).
La foto si trova addirittura sulla copertina di questo libro di Hanna Diamond, storica e francesista, docente all’Università di Bath in Inghilterra, ma come ben si sa, raramente in Italia si prendono in considerazione gli studi stranieri…
⁂
10. BRIGANTI INFOIBATI
Appare su un sito la seguente foto di infoibati:
Peccato che queste vittime delle foibe siano state
uccise circa ottant’anni prima, e non dall’esercito jugoslavo, bensì da
quello italiano. Infatti è una delle tante foto che le armate sabaude
scattavano ai cadaveri dei briganti appena uccisi, nell’intento di
dimostrare la semibestialità delle masse rurali meridionali, di
documentarlo con scientificità lombrosiana e di assecondare il gusto
morboso dell’epoca. Al di là dell’errore marchiano (ma ci siamo
abituati) in questo caso è interessante vedere la genesi dell’errata
attribuzione che dimostra la superficialità assoluta con cui molti
scelgono la documentazione fotografica da allegare agli articoli.
L’immagine, infatti, è evidentemente tratta da quest’altro sito,
in cui appaiono tre foto di briganti uccisi, stigmatizzando il fatto
che esista la Giornata del ricordo per gli infoibati, ma non per le
vittime della lotta al brigantaggio.
⁂
11. DOVEROSE RIFLESSIONIColpisce il fatto che, mentre per le foibe manca una documentazione fotografica delle uccisioni e le immagini relative al recupero dei corpi sono abbastanza rare (il che potrebbe essere un ulteriore riscontro che le effettive uccisioni nelle cavità carsiche furono relativamente poche, nell’ordine di grandezza delle centinaia e non delle migliaia), immagini dell’esodo sono invece piuttosto diffuse, soprattutto di quello da Pola, ma in occasione della Giornata del ricordo non si disdegna di adoperarne di fasulle. Perché?
Una parte di responsabilità va sicuramente attribuita al fatto che spesso queste ricorrenze sono organizzate (o pubblicizzate graficamente) da persone senza una sufficiente preparazione storica, quando non del tutto estranee all’ambito. Mi pare possibile che le foto vengano selezionate in base all’impatto emotivo che possono suscitare su chi le guarda e dunque non si vada troppo per il sottile. La foto dell’esodo “francese” ha in primo piano un’adolescente dall’espressione spaventata, che sicuramente è un elemento di grande presa emotiva e ha l’effetto di rappresentare l’esodo istriano per quello che non è stato: una fuga disordinata da un invasore sanguinario (come invece lo fu quella dei profughi francesi dalla Wehrmacht) invece che un processo migratorio sviluppatosi nell’arco di un decennio abbondante, come i dati statistici permettono di rilevare.
Tuttavia ciò che colpisce di più è il fatto che la maggior parte dei falsi che siamo riusciti a smascherare presenti un totale ribaltamento del contenuto: sono foto che mostrano vittime slovene (o croate o partigiane) uccise dagli italiani, ma vengono presentate come l’opposto, italiani vittime delle violenze slavocomuniste.
Una spiegazione “tecnica” potrebbe essere quella che gli addetti al reperimento del materiale si siano limitati a digitare su Google qualcosa tipo “Jugoslavia”, “crimini” o “vittime” e “italiani” e senza accorgersi siano capitati in siti dove vengono documentate le violenze italiane in Jugoslavia: l’utilizzo di quelle immagini sarebbe dunque semplicemente un errore di superficialità. Se è vero che la cura nella corretta identificazione delle immagini fotografiche è significativamente inferiore a quella riservata ad altre tipologie documentali, nel caso delle immagini delle foibe questa pessima pratica sembra quasi essere la norma.
Non mi sento però di escludere che questa totale inversione sia invece dolosa: che si tratti di un atto volontario nato proprio per instillare on line confusione e il dubbio che le foto delle vittime della resistenza siano effettivamente tali (e rendere questo dubbio virale attraverso l’incredibile forza di replica di internet), o forse più semplicemente per provocare, offendere e screditare la memoria della Lotta di liberazione jugoslava.
Un altro aspetto che salta agli occhi ricercando in questo campo è la carenza di immagini testimonianti la repressione violenta degli italiani ad opera dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, se confrontate alle foto esistenti di violenze italiane in Jugoslavia, decisamente più numerose e dettagliate. D’altra parte ciò è fisiologico: i popoli jugoslavi subirono un’invasione che provocò un numero enorme di vittime. La Jugoslavia ebbe un milione di morti su una popolazione di quindici milioni (cfr. John Keegan, Atlas of the Second World War); nella provincia di Lubiana vi furono 30.299 vittime su una popolazione totale di 336.300 abitanti (9% degli abitanti). Nella Venezia Giulia, invece, il numero delle vittime “italiane” dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo arriva a poche migliaia (contando anche coloro che morirono in prigionia di stenti e malnutrizione, cosa che accadeva anche nei campi di prigionia angloamericani), tra cui alcune centinaia di “infoibati”. Non lo dico io ma il rapporto della Commissione storica italo-slovena, che certo non si può accusare di “titoismo”.
A dispetto della risonanza mediatica che viene data alle foibe e alle vicende del confine orientale, si trattò di un episodio minore e periferico in quell’immane catastrofe che fu la seconda guerra mondiale.
L’attribuzione a sé da parte italiana di questo materiale iconografico potrebbe semplicemente mascherare la consapevolezza di non averne o di averne pochissimo e di volersi opportunisticamente appropriare di quello dell’avversario per colmare le proprie lacune, in un’epoca come quella odierna in cui le immagini contano di più dei concetti.
L’idea che alla base di questi errori vi sia un opportunismo di questo tipo viene in qualche modo confermata anche dall’analisi di chi sono gli autori. Se nel caso di singoli utenti di Facebook o di blogger che arricchiscono con immagini i propri commenti, l’errore in buona fede può sicuramente starci; nel caso di giornalisti, di grafici o di impiegati comunali che cercano materiale fotografico per la Giornata del ricordo l’errore mi sembra possibile, ma abbastanza più grave. Del tutto ingiustificabile invece risulta un’attribuzione sbagliata quando si tratta di media a diffusione nazionale e di opinion maker come Bruno Vespa, oppure di istituzioni pubbliche nazionali, come nel caso del sito del Ministero degli interni denunciato da Mlinar. Un ultimo caso in questo senso è stata la foto allegata ai tweet per il 10 febbraio di quest’anno della Camera dei deputati…
…e del presidente della Camera Laura Boldrini:
L’originale di questa foto si trova alla Sezione storia della Biblioteca Nazionale e degli studi di Trieste (Narodna in študijska knjižnica – Odsek za zgodovino). A quanto ne so è stata pubblicata solo una volta, nel libro di Jože Pirjevec Foibe. Una storia d’Italia (Einaudi 2009). La foto completa è questa:
Si noti la didascalia presente sotto la foto.
Non appena alcuni utenti segnalano via tweet la falsificazione, lo staff comunicazione di @montecitorio e @lauraboldrini si affretta a rimuovere la foto da twitter scusandosi per l’errore ma, considerando che quell’immagine è stata pubblicata solo ed esclusivamente con una didascalia che ne spiega con chiarezza il contesto, è difficile pensare che il suo utilizzo per raffigurare le foibe sia dovuto soltanto a un’ingenuità. Ciò che inquieta è che siano le stesse istituzioni dello Stato a prestarsi a questo gioco, ma dal momento che la Giornata del ricordo è diventata uno dei pilastri della creazione di una mitologia collettiva nazionale italiana e della memoria condivisa, non stupisce che il travisamento della realtà storica e delle immagini venga portato avanti anche ad alto livello politico.
Il materiale fotografico è documentazione storica. Dovrebbe essere utilizzato come tale, con rigore e consentendo a chi lo guarda di avere tutte le informazioni che gli permettano di utilizzarlo al meglio: che cosa mostra la foto, dove è stata scattata, quando, da chi, dov’è conservata. Dovrebbe essere uno strumento per capire meglio gli avvenimenti storici, per poter comprendere gli eventi non solo attraverso la lettura, il racconto e la riflessione, ma anche attraverso la vista. L’utilizzo che invece si è fatto del materiale fotografico che abbiamo preso in esame è l’opposto di questo. Le immagini sono state utilizzate (e manipolate) per colpire le emozioni e non la ragione, sono state usate come santini della vittima di turno, come oggetti devozionali, reliquie con le quali esprimere e consolidare la propria fede, sono state manipolate per dimostrare l’esatto opposto di ciò che rappresentano. E, come buona parte delle reliquie, si sono dimostrate false.
A noi il compito di resistere, continuando a segnalare le manipolazioni della storia e a contrastare l’omologazione e il pensiero unico.
___
* Piero Purini (Trieste, 1968) si è laureato in storia contemporanea all’Università di Trieste sotto la guida del prof. Jože Pirjevec. Ha poi frequentato corsi di perfezionamento post laurea presso l’Università di Lubiana e quindi ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Klagenfurt sotto la guida del prof. Karl Stuhlpfarrer. Si occupa principalmente di movimenti migratori, di spostamenti di popolazione e di questioni legate all’identità e all’appartenenza nazionale: il fatto di aver studiato in Italia, Slovenia ed Austria gli ha permesso di analizzare la storia di una regione etnicamente complessa come la Venezia Giulia in una prospettiva più internazionale ed europea. È autore dei libri Trieste 1954-1963. Dal Governo Militare Alleato alla Regione Friuli-Venezia Giulia (Trieste, Circolo per gli studi sociali Virgil Šček – Krožek za družbena vprašanja Virgil Šček, 1995) e Metamorfosi etniche.
I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975 (KappaVu, Udine 2010; nuova edizione: 2014). Per Giap ha scritto il saggio Quello che Cristicchi dimentica. Magazzino 18, gli «italiani brava gente» e le vere larghe intese (febbraio 2014). Affianca all’attività di storico anche quella di musicista.
Nicoletta Bourbaki è l’eteronimo usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia e le manipolazioni storiche in rete, formatosi nel 2012 durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.
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