lunedì 3 ottobre 2016

La lezione di Deutsche Bank

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“Era inevitabile, il titolo ha perso il 78% in due anni e mezzo, c’è ovviamente del fumo, e dove c’è del fumo c’è del fuoco”Kenneth Polcari, O’ Niel Securities, in “Va evitata un’altra Lehman, è troppo grande per fallire” La stampa, 1 ottobre 2016.
“Beneficiando di una eccezionale e generosissima solidarietà europea in occasione della Riunificazione, e poi con l’euro, la Germania è diventata sempre più grande e più forte. L’Unione non è riuscita ad europeizzare la Germania; si è trasformata nel guscio rotto dell’aquila tedesca: grande e forte, ma anche terribilmente sola. Ha negato solidarietà a chiunque, e verrà ripagata con la stessa moneta”Guido Salerno Aletta, Le ceneri di Angela, Milano Finanza 1 ottobre 2016.
Certo, agli americani non vanno giù il gasdotto russo-tedesco North Stream, le timide aperture verso la fine delle sanzioni a Mosca, il dialogo commerciale fortissimo e solidissimo Berlino Pechino. Così come l’amministrazione Usa vuole che finisca l’austerity in Europa perché l’America, così come tutto il mondo, sta importando dall’eurozona una terribile deflazione, e non le va giù quell’incredibile 8,7% del surplus tedesco delle partite correnti. E ancora, ci sta tutta la guerra finanziaria: le grandi banche americane, dopo essere state salvate con denaro pubblico per circa 700 miliardi di dollari, hanno ripreso lo scettro mondiale dell’equity e delle funzioni di investment banking (fusioni e acquisizioni, collocamenti azionari, private placement, ma anche riacquisto di azioni), facendo letteralmente fuori le europee. 

Ma c’è da dire che le multe le hanno sonoramente subite anche le banche americane, inglesi e svizzere. La guerra finanziaria non spiega tutto, a meno che vogliamo ipotizzare che, a distanza di 42 anni dal Piano Werner, qualcuno negli Usa stia pensando bene di far saltare in aria l’euro. Perché questo provocherebbe se DB saltasse in aria, la fine dell’eurozona. 
O ancora, costringere la Merkel ad intervenire su DB in modo che altri paesi siano legittimati a loro volta ad aiutare i loro sistemi bancari, non più possibile dal 2013 in base alla normativa del bail in. E’ quello che si aspetta, forse con ingenuità, Renzi, che intanto se la gode. 
Ma la vicenda di Deutsche Bank ha a che fare essenzialmente con il modello tedesco, da noi importato a partire dai governi tecnici Monti-Letta-Renzi. E’ il modello export-led basato sulla deflazione salariale interna. 
Questo modello implica la distruzione della domanda interna per avere moderazione salariale e da qui aumentare enormemente le esportazioni, con surplus commerciali sempre più crescenti. L’export in Germania arriva alla sbalorditiva cifra del 51% sul pil, contro il 29% nostro e il 21% cinese (quello americano non arriva al 19%…). 
Stroncando la domanda interna, i capitali tedeschi hanno sempre più bisogno di lidi dove allocarli per avere decenti rendimenti. In un contesto di bassi interessi mondiali, la ricerca del rendimento è fatta non ponderando i rischi e quel che è successo negli ultimi dieci anni (subprime, Irlanda, Spagna, Grecia, cantieristica navale, noli marittimi) ci fa capire che di finanza i tedeschi non ne masticano molto, arrischiandosi in avventure finanziarie dove hanno sempre perso. 
La Grecia è tutta qui, credito franco tedesco arrischiato, pagato dai contribuenti europei e dal popolo greco. I creditori non hanno perso nulla. 
In Usa DB ha perso parecchio e dal 2007 non si è mai ripresa. Non si sa bene come vengano valutati i circa 55 mila miliardi di euro di derivati in pancia a DB, né la Bafin, prima, cioè l’organo di vigilanza tedesca, né la Vigilanza Europea della Bce, dopo, hanno mai scoperto la pentola. 
Se dieci fondi speculativi americani hanno dismesso soldi da DB per decine di miliardi di dollari vuole dire che se c’è fumo, c’è del fuoco. DB è il simbolo del fallimento della Vigilanza Europea, quella che alle banche italiane, specializzate nelle funzioni di credito commerciale, ha fatto il pelo nuovo, mentre ometteva di intervenire su Commerzbank, su DB e sulle stesse Landesbanken, tra l’altro non soggette a vigilanza comunitaria, ma nazionale. 
Lo stato tedesco è intervenuto a suo tempo con circa 300 miliardi di euro di aiuto al sistema finanziario del Paese, ma tutti sono dell’idea che tuttora quello germanico rimane il sistema più fragile. Troppe operazioni corsare andate a male in giro per il mondo, troppa finanza speculativa che ha presentato il conto. Il risparmio tedesco, che non trova allocazione sul piano interno, andato in fumo nella roulette finanziaria globale. 
La posizione finanziaria netta tedesca è positiva per la bellezza di 1548 miliardi di euro, capitali allocati all’estero perché la domanda interna è sacrificata. Dalla crisi dell’eurozona i capitali italiani ed europei si sono spostati in Germania finanziando il debito pubblico con rendimenti zero se non negativi, a tal punto che 1123 miliardi di euro di capitali europei finanziano a costo zero il debito tedesco. Per contro, i capitali tedeschi vanno nell’area del dollaro con modalità di finanza altamente speculativa, logico che ci lasciano le penne. 
Inoltre, nella guerra finanziaria si inserisce la Brexit: la situazione di DB dimostra che i tedeschi sono poco adatti all’investment banking per l’eurozona. Logica vuole che nei prossimi anni tale funzione per il continente europeo l’avrà la City londinese, collegata agli hub finanziari asiatici, Mumbay, Singapore, Hong Kong e Shanghai.
Renzi potrà pure godere di questa situazione, ma lui ha adottato il modello tedesco, a partire dal Jobs Act. Vale a dire domanda interna stroncata, bassa natalità per via dei bassi salari e per la disoccupazione mantenuta volutamente alta (in Germania è al 6,1% ma solo perché ci sono 5,5 milioni di mini job), export come volano di crescita, surplus delle partite correnti (quest’anno arriviamo al 3%…), predominanza del risparmio sugli investimenti, capitali che vengono allocati all’estero perché non ci sono occasioni d’affari nel paese. DB è la chiara dimostrazione che quel modello è fallimentare. Renzi potrà pure avere la schadenfreude, ma a pagare è il proletariato tedesco e italiano. 
Le “riforme strutturali” presentano il conto: in Italia con l’esplosione dei crediti deteriorati, in Germania mandando in fumo nella finanza speculativa il risparmio tedesco. Il falò delle vanità. Ora i “fratelli europei” hanno la schadenfreude per DB e Commerzbank, segno di quanto la moneta unica ha portato la fratellanza nel continente europeo…
da http://www.marx21.it/

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