sabato 20 agosto 2016

#FilieraSporca: di chi sono le mani che toccano il nostro cibo? L'indifferenza della Grande distribuzione.

Per capire la questione del caporalato in agricoltura, non basta parlare di tendopoli e ghetti.
Per agire sulle cause che determinano lo sfruttamento della manodopera, italiana e migrante, occorre una analisi di tutta la filiera agroalimentare, dai lavoratori alle grandi aziende multinazionali.
“Bisogna iniziare a guardare al caporalato come un problema strutturale del sistema dell’agroindustria. Affrontarlo in modo parcellizzato, come è stato fatto finora, non aiuterà a risolvere la questione ”- ad aprire la giornata Lorenzo Misuraca, giornalista, dell’associazione antimafia daSud.

La seconda indagine di #FilieraSporca, La raccolta dei rifugiati. Trasparenza di filiera e responsabilità sociale delle aziende, nasce come la prima dal lavoro delle associazioni daSud, Terra!Onlus e Terrelibere.org. Un vero e proprio viaggio nei campi e nelle aziende italiane, per indagare le cause del caporalato, insistendo sugli aspetti più oscuri della filiera agroalimentare, che si intrecciano ai vuoti della nostra politica, come l’accoglienza profughi. È l’esempio dell’utilizzo di migranti richiedenti asilo del Cara di Mineo per il lavoro schiavile nei campi.
Unire tutti gli anelli della filiera, compattare il quadro, senza tralasciare nulla. È questo l’obiettivo della campagna #FilieraSporca, il rapporto giunto alla sua seconda edizione e presentato oggi alla Sala Stampa della Camera, che, attraverso approfondite ricerche sul campo, traccia un complesso quadro dell’economia agricola italiana, retta ormai su corruzione, mafie e cattive leggi. Pochissime giornate di lavoro dichiarate in busta paga (seppur con un contratto formale); zero sussidi di disoccupazione; aziende e braccianti “fantasma”. Sono questi gli attori e le storie che vivono nel rapporto, storie forse già note, rispetto alle quali però la politica ha smesso di trovare soluzioni e soprattutto dispositivi di prevenzione.

Parola chiave della giornata, “trasparenza”. È a questo che puntano i membri delle associazioni e i ricercatori che hanno preso parte al dossier. “La soluzione che abbiamo individuato è la trasparenza. Il mercato deve essere controllato. Bisogna tornare a monitorare quello stesso mercato che in passato è andato fuori controllo, specie nel Sud, attraverso un lavoro di accertamento sociale, da parte della società civile e da parte anche delle stesse aziende virtuose ”- queste le parole di Antonello Mangano di Terrelibere.org, che ha ribadito la necessità di arrivare ad un’”etichetta trasparente” sui prodotti agroalimentari, che risponda a queste domande: da dove arrivano? Chi li produce? Chi sono i fornitori?
Proposta, questa della “etichetta trasparente”, che le associazioni avevano lanciato già nel primo rapporto di #FilieraSporca, e che pensavano potesse svilupparsi agilmente da una sinergia con il governo e le istituzioni. E invece poco o nulla è stato fatto. Da qui il progetto, avanzato dall’On. Celeste Costantino, membro della Commissione Antimafia ed ex portavoce di daSud, di presentare una proposta di legge sulla etichetta trasparente, di compiere un lavoro più accurato sulla questione, partendo proprio dagli obiettivi di questo secondo rapporto: svelare gli ‘invisibili’ della filiera agroalimentare. ‘Invisibili’ che sono i lavoratori, certo, ma che sono anche le aziende, le multinazionali, di cui la politica si è occupata ben poco.

Eccezion fatta per gli emendamenti al Codice Antimafia, un contributo fondamentale al dibattito su questo tema delle associazioni firmatarie del dossier. “Abbiamo provato ad aprire un varco e abbiamo spuntato due punti: la confisca penale "obbligatoria e allargata" per il "reato di caporalato" e la responsabilità oggettiva dell'ente che si avvalga dell'intermediazione dei caporali ”- ha dichiarato Costantino, lamentando purtroppo la brusca interruzione dei lavori sul Codice al Senato.

Di ‘trasparenza’ ha parlato anche Fabio Ciconte, portavoce di Terra! Onlus, che ha segnalato come #FilieraSporca abbia anche invitato un questionario sulla trasparenza di filiera a 10 gruppi della Grande Distribuzione presenti in Italia: Coop, Conad, Carrefour, Auchan-Sma, Crai, Esselunga, Pam Panorama, Sisa Spa, Despar, Gruppo Vegè e Lidl. Le risposte sono pervenute solo da Coop, Pam Panorama, Auchan-Sma e Esselunga. Conad ha spiegato di «non essere molto interessata a questo tipo di operazioni». “Questo dimostra che serve una legge sulla trasparenza- ha commentato Ciconte- in modo da conoscere per quante e quali mani è passato il prodotto che consumiamo”.

Provvedimenti che ricordano come il caporalato non sia un’emergenza, come la si è voluta affrontare da oltre vent’anni, bensì un dato strutturale del lavoro bracciantile e dell’economia nel nostro paese, che colma i vuoti creati da uno Stato e dagli organismi di intermediazione troppe volte assenti, deboli, a cui le aziende preferiscono un più “efficace” caporale, che recluti velocemente manodopera in nero. Perché la soluzione è sempre quella di tagliare i costi del lavoro, più semplice se si ha a che fare con i migranti, sebbene il discorso non cambi molto con i lavoratori italiani. E il caso di Paola Clemente, bracciante agricola 49enne morta nelle campagne di Andria lo scorso anno, lo dimostra.

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