Mazzini era convinto che trasformando l'Italia in una nazione
si sarebbe risolto anche il drammatico problema sociale del Sud.
Sbagliava.
Oggi ci accorgiamo che non sta andando come si pensava nel 1999, al momento della nascita dell'euro e dobbiamo ammettere che chi critica questa architettura ha più di una ragione e va quindi ascoltato con attenzione, senza inutili atteggiamenti europeistici per partito preso o peggio, per snobismo intellettuale. D'altronde di elementi a supporto dell'eurofobia ce ne sono molti. Un'elaborazione di dati Eurostat del Centro Studi Promotor, pubblicata in un'interessante inchiesta di Libero, mostrano come il Pil pro capite tra i paesi dell'Unione sia aumentato di più tra il 2001 (anno della nascita dell'euro) e il 2015 nei paesi dell'Est.
Lituania, Lettonia, Romania, Slovacchia e Polonia guidano questa classifica con un tasso di aumento che va da oltre il 100% al 32%. Per loro, in gran parte provenienti dalla cortina di ferro e dal socialismo reale, era prevedibile questo successo. Cosa che non si può dire per i paesi dell'Eurozona, che, salvo l'Irlanda (+24%), sono tutti sotto il +15% della Germania, che pur veniva da una onerosa riunificazione, mentre l'Italia è il fanalino di coda con una perdita di reddito disponibile nei quindici anni di euro pari all'8%. Insomma, ci siamo impoveriti, ha concluso il giornale diretto da Vittorio Feltri che elenca 50 motivi - alcuni molto ben argomentati - per arrivare a dire 'addio' all'Europa sull'onda del referendum inglese.
A queste elaborazioni si possono aggiungere anche altri studi, ad esempio della Bce, che hanno dovuto ammettere che l'integrazione economica non è andata come ci si aspettava a tavolino e che a farne le spese è stato, guarda un po', il Belpaese. Analoghe analisi esistono del FMI, che ha fatto mea culpa sulla stima effettiva degli effetti dell'austerità o dell'Ultra Weith Report, che ha certificato come negli anni dal 2011 al 2013 Grecia e Italia (i paesi che hanno sofferto di più la crisi del debito sovrano) sono stati quelli a registrare l'incremento maggiore di nuovi milionari, fattore shock che farebbe propendere per un effetto negativo dell'europartecipazione sulla distribuzione della ricchezza. Anche guru-economisti, come Stiglitz e Krugman, preconizzano il ritorno dell'ancien regime.
Poi ci sono anche i calcoli sulla perdita di potere d'acquisto degli italiani nel cambio del segno monetario: anche questi mettono il dito in una piaga mai suturata. Nel saggio L'euro è di tutti ho documentato, dati Istat alla mano depurati dall'inflazione, che nei primi 14 anni di vita della moneta unica beni di primissima necessità (passata di pomodoro, penna a sfera, pane, carne, gelato) ma anche affitti o giocate al lotto, siano aumentati dal 50 al 200%. Un salasso per chi viveva e vive di solo salario. In sintesi, ed è difficile trovare studi che lo neghino, con l'euro, evento comunque di portata storica, chi aveva solo reddito da lavoro, ci ha perso, mentre ovviamente chi aveva una rendita (molti, in un paese ricco come l'Italia) ci ha guadagnato, grazie all'abbassamento dei tassi d'interesse, cosa che peraltro non si può invece sostenere per lo Stato, che di questo beneficio non ha certo approfittato per ridurre l'enorme debito pubblico.
Ora che il buon Altiero Spinelli è tornato sugli scaffali delle librerie con il suo Manifesto di Ventotene e che la sua opera visionaria dopo il summit Renzi-Merkel-Hollande verrà ricordata in qualche sparuto convegno di europeisti-carbonari, è arrivato il momento di giocare a carte scoperte con chi vorrebbe tornare a monete e confini nazionali, spinti dalla crisi e dall'incertezza.
Noi che ci crediamo ancora all'Europa unita abbiamo argomenti solidi, convincenti, davvero confutabili, per milioni di italiani, francesi, tedeschi, che invece mostrano un solido scetticismo? Sappiamo rispondere alla freddezza dei numeri sulle nuove povertà e sui milioni di disoccupati con qualcosa che sia più concreto del bellissimo sogno spinelliano? Siamo in grado di arginare l'allergia all'integrazione che si fa largo anche nei paesi dell'Est guidati dall'Ungheria di Orban, che sono poi quelli che più ci hanno guadagnato dall'adesione all'Euroclub? La storia è importante ma senza vivere la realtà diventa solo un esercizio di erudizione fine a se stesso. Così come è servito Cavour per dare concretezza nazionale all'utopia mazziniana, serve uno statista che faccia lo stesso con il progetto dei vari Kohl e Delors e che trovi, non dico cinquanta, ma almeno dieci motivi per restare nell'Unione.
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