Tra i 71.448 candidati già esaminati agli «scritti», solo 32.036 sono stati ammessi agli orali. Il 55,2% non è stato ritenuto all’altezza. Più bocciati al Nord, meno al Sud.
Meglio
un somaro in cattedra o un somaro a spasso? Messa così la risposta è
ovvia: non c’è un solo genitore disposto ad affidare il figlio a un
insegnante scadente. Non uno. Ma sono così tanti i dubbi e le
contestazioni sul concorsone per assumere 63.712 docenti dalle materne
alle superiori che c’è da chiedersi: qual è il confine esatto tra la
«somarite» di una classe docente demotivata e una selezione che qua e là
pare essere stata studiata apposta per bocciare? Certo è che il
setaccio sta dando esiti agghiaccianti: un posto su tre resterà vuoto: i
candidati non sono all’altezza. Bocciati. Il quadro, apocalittico,
emerge dall’ultima ricerca di Tuttoscuola,
che da mesi al concorsone fa giustamente le pulci: sulla scelta delle
commissioni, sulle paghe da fame ai commissari (50 cent per ogni prova
scritta), sui quesiti prescelti (Ernesto Galli della Loggia ha scritto
che quelli di storia appaiono «più che un esame un tentativo di
decimazione») fino all’abisso che separa il Nord dove sono i posti vuoti
e il Sud da dove tanti «prof» spinti a trasferirsi urlano alla
«deportazione»...
Il ritardo nella valutazione degli scritti
Dice
dunque il monitoraggio che gli «scritti» (conclusi il 28 aprile) fino
ad oggi esaminati in quasi tre mesi dalle 825 commissioni e 202
sottocommissioni sono circa la metà del totale dunque, a causa delle
regole che prevedono venti giorni di stacco tra scritti e orali, «solo
il 62% o poco più dei vari concorsi banditi riuscirà a concludere le
procedure concorsuali in tempo utile». Cioè per il via all’anno
scolastico. Un ritardo enorme. Risultato: anche quest’anno non tutte le
cattedre saranno occupate da chi le ha vinte (mancanza di vincitori) ma
una grossa quota finirà agli iscritti alle graduatorie ad esaurimento
(dove queste ci sono ancora) o ai soliti supplenti annuali. Magari
bocciati al concorsone.
Il 55,2% è stato bocciato
Il
panorama comunque, a metà percorso, è chiaro. Tra i 71.448 candidati
già esaminati agli «scritti» di 510 «procedure», solo 32.036 sono stati
ammessi agli orali. Il 55,2%, infatti, non è stato ritenuto all’altezza.
Più bocciati al Nord, meno al Sud, spiega la tabella che pubblichiamo.
Ma è difficile trarne motivo di polemica su severità e lassismo: la
regione più selettiva è la Lombardia, quella meno il Friuli-Venezia
Giulia. Allora? Il nodo è questo: se andrà così anche nelle graduatorie
in arrivo fuori tempo massimo (315 per un totale di 93.083 candidati, in
larghissima parte per l’infanzia e la primaria) è probabile un buco di
circa 23 mila posti vacanti. Uno su tre. Troppo selettive le prove o
troppo impreparati i concorrenti? Le due cose insieme, probabilmente.
Emerge, racconta la rivista di Giovanni Vinciguerra, «una scarsa
capacità di comunicazione scritta, in termini di pertinenza, chiarezza e
sequenza logica e una carenza nell’elaborare un testo in modo organico e
compiuto. Si ricava anche un campionario di risposte incomplete, errori
e veri e propri strafalcioni, che sorprendono in maniera più acuta per
il tipo di concorso in questione, ovvero una selezione tra chi si
candida a insegnare alle nuove generazioni».
Gli errori dei candidati
Onestamente:
c’è qualche mamma che, per solidarietà verso chi soffre il dramma della
disoccupazione, affiderebbe suo figlio a un docente di italiano che
scrive «cmq» invece di comunque, «X» invece che «per» o «ke» invece di
«che»? Ha studiato Dante e Petrarca o il manuale «Abbreviazioni per
sms»? E chi accetterebbe un’insegnante che anziché svolgere il tema
prescritto si rivolge ai commissari e chiede l’assunzione definendosi
«una madre di famiglia con tre figli» alla ricerca del «posto fisso»?
Massima comprensione, sia chiaro. Ma quella aspirante professoressa
quali garanzie può dare a studenti che han diritto ad avere il meglio
del meglio o almeno, scusate il bisticcio, un docente decente? Che se ne
fa, un ragazzo che vuole imparare l’inglese, d’un professore che ignora
cosa sia l’ormai diffusissimo «peer tutoring» (l’insegnamento della
lingua attraverso il dialogo fra lo studente più forte e quello più
debole) e lo confonde con il «peer touring» che non c’entra un fico
secco? Per non dire degli strafalcioni ortografici, degli errori
madornali perfino nei quiz a risposta chiusa (esempio: qual è la
capitale della Svezia? -Parigi -Stoccolma -Bogotà -Madrid) o delle
risposte surreali. «Cos’è un compito autentico?», veniva chiesto a chi
aspira a lavorare nella scuola primaria. Per dirla facile facile: è un
compito «vicino al mondo concreto» noto al bambino. Che non parli di
cose astratte ma quotidiane e reali. L’Abc, per un maestro elementare.
Risposta di un concorrente: «Un compito autentico è un compito fatto
dall’alunno e non dal professore». Un capolavoro.
175 mila candidati al concorsone
Erano 175.245 i candidati del concorsone. E tutti, sottolinea Tuttoscuola,
avevano già «l’abilitazione all’insegnamento» presa magari «attraverso i
percorsi abilitanti post lauream Tfa, Siss e Pas», a questo punto da
rovesciare come calzini. Bene: «In alcuni compiti è emersa anche una
scarsissima conoscenza dell’italiano, tanto da indurre alcuni commissari
a chiedersi se si trattasse di candidati stranieri che non
padroneggiavano bene la nostra lingua, salvo poi verificare che erano
italianissimi». Per carità, era successo anni fa anche a un concorso
per magistrati. Dove uno dei commissari, seccato per i piagnistei sulle
bocciature, si era deciso a rivelare alcuni strafalcioni: da «qual’è»
con l’apostrofo a «Corte dell’Ajax», dall’«a detto» senza l’acca a
«risquotere». Con la «q». Raccapricciante.
La conservazione dello status quo
Ma qui, spiega Tuttoscuola,
è peggio: «La letteratura internazionale in materia di valutazione di
sistema considera la qualità professionale degli insegnanti come la
variabile più influente sui risultati degli studenti». Eppure da noi «in
cima alle preoccupazioni dei decisori politici e sindacali non c’è
stata la qualità degli insegnanti, ma il loro consenso politico,
guadagnato (...) attraverso la sostanziale conservazione dello status
quo dal punto di vista giuridico ed economico: carriera solo per
anzianità e uguale per tutti gli insegnanti...». Accusa sacrosanta. E
l’ecatombe di candidati alle scuole d’infanzia e alle primarie negli
scritti esaminati finora (22,4% di ammessi agli orali: quattro su cinque
no) pare l’indizio che la professione di insegnante basata sul vecchio
patto non scritto «ti pago poco ma ti chiedo un po’ meno» ha finito per
essere «inevitabilmente considerata non una prima scelta da parte dei
migliori studenti universitari (fatte salve le eccezioni, che per
fortuna non mancano), e anzi da molti una seconda o terza scelta». Ma
possiamo, oggi, sopravvivere al degrado d’una scuola sempre più
«stipendificio» e sempre meno concentrata sulla crescita degli studenti?
«Inutile nascondersi dietro un dito», accusa la rivista: «Finché
l’insegnamento non tornerà ad essere una prima scelta mancherà il
presupposto principale per tenere alto il livello qualitativo della scuola italiana». Anche al di là delle eventuali magagne nelle selezioni.
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