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mercoledì 31 agosto 2016
Michel Serres: "Cari filosofi, fermate i danni dell'ipertrofia tecnologica".
repubblica.it di FABIO GAMBARO
IN questo nostro mondo dominato dall'ipertrofia digitale, i filosofi possono contribuire a trasformare l'eccesso d'informazione in conoscenza. Lo ricorda Michel Serres, il filosofo francese a cui oggi Riga - la rivista diretta da Marco Belpoliti e Elio Grazioli - dedica un ricco numero a cura di Gaspare Polizzi e Mario Porro (Marcos y Marcos), ricostruendo accuratamente il percorso transdisciplinare di uno studioso che da oltre mezzo secolo si confronta con la complessità di una realtà in mutazione.
"Quella che stiamo vivendo è una rivoluzione antropologica", spiega Serres, il cui ultimo libro tradotto in italiano è Non è un mondo per vecchi (Bollati Boringhieri), dedicato all'inedito mondo dei nativi digitali. "Oggi sta nascendo un uomo nuovo, la cui caratteristica principale è la quasi completa esternalizzazione - nei computer, nei cellulari, in rete - della sua memoria, delle sue conoscenze e delle sue capacità di calcolo.
È l'ultima fase di un processo che ha accompagnato la storia dell'umanità. All'inizio gli uomini conoscevano solo la trasmissione orale, che utilizza il corpo e la voce come supporto del messaggio. Con l'invenzione della scrittura, l'uomo ha cominciato a utilizzare un supporto esterno: la pelle, la pergamena, la carta. Questa prima tappa dell'esternalizzazione ha prodotto enormi cambiamenti, per esempio la nascita della moneta, della legge scritta o delle religioni monoteistiche. Socrate, che vuole solo parlare, è sostituito da Platone che scrive".
Qual è stata la tappa successiva?
"L'invenzione della stampa, che ha moltiplicato le potenzialità dell'esternalizzazione, producendo altre trasformazioni, dal protestantesimo alla nascita della democrazia. L'eroe è Montaigne, seguito dagli umanisti. Oggi però stiamo vivendo una nuova fase, dato che il supporto digitale consente un'esternalizzazione della memoria e delle conoscenze senza precedenti. Le nuove tecnologie, che sono diventate un'estensione delle nostre facoltà, consentono un accesso facile e permanente a una massa enorme d'informazioni. Anche quest'ultima fase sta producendo enormi conseguenze sul piano sociale, economico e politico. Si pensi per esempio alla quantità di posti di lavori distrutti dalla disintermediazione consentita dalla rete. Dopo Platone e Montaigne, i nuovi eroi sono i giovani nativi digitali, che io ho riassunto in un personaggio chiamato Pollicina, la quale, grazie al suo smartphone, ha tutto a portata di pollice".
Pollicina ha accesso a un'enorme quantità d'informazioni, immagini e programmi, ma spesso appare in balia di una massa che non riesce a controllare...
"È vero, ma è stato così anche in passato. Leibniz, quando era bibliotecario del duca di Hannover, scrisse che si trovava in presenza di un'impressionante massa di libri di cui non aveva il controllo. Si domandava se tutto quell'accumulo di parole scritte avrebbe favorito la barbarie o la cultura. L'uomo ha sempre cercato di gestire la massa crescente delle informazioni: in passato ha imparato a ordinare e classificare, oggi inventa i motori di ricerca. Tuttavia, più che dominare l'oceano della cultura, noi possiamo solo provare a navigarlo cercando di orientarci tra le sue correnti. Dobbiamo accettare l'idea che le nuove tecnologie ci mettono a disposizione un immenso mare di cultura in cui dobbiamo tuffarci senza però illuderci di controllarlo".
Questa massa d'informazioni cambia la nostra relazione con la conoscenza e il sapere?
"Quando la scrittura ha sostituito la comunicazione orale, si è verificata una rivoluzione cognitiva. Oggi sta avvenendo la stessa cosa, dato che Pollicina "conosce" in maniera nuova e diversa. Le sue modalità cognitive, tuttora in formazione, sono più intuitive e pragmatiche. Se in passato il sapere è stato dominato dall'astrazione - Platone ha inventato l'idea di cerchio per dominare la totalità degli oggetti rotondi - oggi è dominato dagli algoritmi. A poco a poco, si afferma una cultura meno analitica, più sintetica e concreta, il che implica il superamento di una certa filosofia tradizionale. Le nuove tecnologie consentono forme di conoscenza collaborativa, attraverso le quali è possibile far evolvere il sapere comune con il concorso delle conoscenze individuali. Grazie alla connessione degli uni agli altri, il collettivo diventa cosciente delle proprie conoscenze, diventa meno cieco a se stesso. Non è ancora l'intelligenza collettiva, ma un progresso in tale direzione ".
Significa che la tradizionale trasmissione del sapere dal maestro all'allievo è rimessa in discussione?
"In passato, il maestro poteva presupporre l'incompetenza dei suoi allievi. Oggi non è più così, gli allievi possiedono moltissime informazioni. Dalla presunzione d'incompetenza si è passati alla presunzione d'informazione. È la fine di una certa pedagogia unidirezionale. Naturalmente, ciò non significa che si possa fare a meno dei maestri, perché l'informazione non è la conoscenza. Il maestro, ma anche il filosofo, è colui che aiuta a trasformare l'informazione in conoscenza. Pollicina ha ancora bisogno di qualcuno che l'aiuti a operare questo passaggio".
Un certo pragmatismo anglosassone riconduce tutto alla coppia soluzione/problema, alimentando l'ideologia del "soluzionismo" tipica dei giganti della Silicon Valley. Che ne pensa?
"È vero, alcune aziende sono ossessionate dal processo che risolve un problema. Ma la cultura non è solo trovare soluzioni a problemi pratici, è anche conoscenza e spirito critico. Le nuove tecnologie veicolano molta cultura anglosassone, sta a noi europei cercare di bilanciare questa invasione strisciante. Nell'accesso alle informazioni consentito dalle nuove tecnologie, al di là della dimensione pratica, c'è una dimensione universale che per me è quasi un'utopia culturale. Pollicina infatti tiene in mano tutti i luoghi, tutte le informazioni e tutte le persone. In passato questa era la condizione dei potenti, di Augusto o di Luigi XIV. Oggi è la condizione di milioni di persone".
Ma affidando la memoria e la conoscenza a un supporto esterno, non si corrono grandi rischi?
"Effettivamente l'esternalizzazione implica anche una debolezza, perché il supporto esterno può andare perso o distrutto. Come pure si rischia la dipendenza da chi ne controlla le procedure, per non parlare delle questioni legate alla proprietà. Insomma, i problemi da risolvere sono molti. Senza dimenticare che, affidando la memoria e le conoscenze agli oggetti tecnologici, a poco a poco si perdono alcune funzioni intellettuali. Tuttavia, ogni volta che si perde qualcosa, il vuoto viene riempito da qualcos'altro. La perdita ci fa paura, ma è portatrice di una potenzialità che per ora non possiamo neanche immaginare. Stiamo perdendo la memoria, ma l'oblio è una facoltà cognitiva molto importante. In fondo, Galileo ha potuto interessarsi all'esperienza perché ha "dimenticato" Aristotele. È per questo che resto ottimista, anche se ogni tanto me lo rimproverano ".
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