Questo “consiglio” non è un normale gruppo di studiosi, ma un team di «cinque saggi» nominati dal governo di Berlino con il compito di valutare le politiche economiche in Germania e altrove.
Per essere ancora più chiari, a firmare l'impegnativo documento – «Un meccanismo per regolare la ristrutturazione dei debiti sovrani» – è stato Lars Feld, ritenuto il consigliere più ascoltato da Wolfgang Schaeuble, potente e luciferino ministro delle finanze tedesco. Dunque le “regole” qui indicate saranno ben presto proposte dentro l'Eurogruppo, perché diventino norma per le crisi del debito pubblico da qui in avanti. Vista la capacità di resistenza politica, e in alcuni casi persino della scarsità di comprensione tecnica delle conseguenze (basti pensare a come furono votato molti trattati europei dal Parlamento italiano, primo fra tutti l'inserimento del “pareggio di bilancio” in Costituzione), non esiste alcun dubbio che questa impostazione passerà, con correzioni minime e comunque ininfluenti.
Cosa propongono dunque i “consiglieri” tedeschi? Di trattare le crisi del debito sovrano (ossia degli Stati) esattamente come quello delle banche private. In parole povere con il meccanismo del bail in. Che – come ci siamo accorti con Banca Etruria, Cariferrara, Popolare di Vicenza, CariChieti, Banca Marche, ecc – significa una cosa sola: a pagare eventuali saranno azionisti, obbligazionisti (a prescindere se siano stati raggirati o meno) e correntisti per la quota eccedente i 100.000 euro.
Ma gli Stati non sono enti relativamente semplici come le banche private, in primo luogo perché rappresentano intere popolazioni e non solo un gruppo di azionisti; in secondo luogo, perché sono tra loro interconnessi – nell'Unione Europea – da un sistema di trattati. E per affrontare le crisi del debito pubblico è già stato costruito uno strumento rilevante, l'Esm, fondo di salvataggio europeo.
La proposta tedesca, dunque, parte proprio dall'Esm e disegna una doppia tagliola: a) gli Stati che richiederanno l'intervento del fondo Esm saranno obbligati a rinviare nel tempo le scadenze di rimborso dei titoli di stato; b) in caso il debito restasse insostenibile anche dopo questa dilazione (pluriennale, evidentemente), scatterà il taglio effettivo delle somme dovute ai risparmiatori che avevano sottoscritto i bond di quello stato.
Proviamo a tradurre dal linguaggio finanziario. La prima tagliola implica che tutti i sottoscrittori di tioli di Stato – grandi banche, investitori istituzionali, ma anche pensionati che ci hanno messo la liquidazione per difenderla dall'erosione dell'inflazione, ecc – al momento della scadenza non si vedranno restituire i soldi versati come “prestito allo stato”. E resteranno ad aspettare anni per poterli riavere indietro, senza ovviamente essere per nulla protetti dall'avanzare dell'inflazione ((che non resterà a zero per i prossimi millenni). Non ci fanno tenerezza i grandi fondi finanziari, ovviamente, che staranno già cominciando a spostare i propri investimenti dai titoli di stato a rischio (quelli dei Piigs, ma anche francesi) verso altri lidi più sicuri (e questo spostamento provocherà già da solo una robusta svalutazione dei prezzi di questi titoli, quindi un simmetrico aumento dei rendimenti, ossiia degli interessi che lo stato dovrà pagare). Ma dobbiamo aver presente sia le conseguenze sistemiche di questi spostamenti, sia il peso sociale di un rinvio delle scadenze (pensate a quel che potrebbe avvenire nella vostra famiglia se questi 20 o 30mila euro in Bot dovessero restare congelati per anni…).
La seconda mannaia è quella definitiva. Passato un certo tempo, e “accertato” – dai tecnici dell'Esm – che quello Stato ha ancora un debito insostenibile il rimborso, già rinviato per anni, subirebbe un drastico taglio. Qui le normali famiglie, paradossalemente, rischiano meno, perché ben raramente hanno investito più di 100.000 euro in titoli di stato. Ma sarebbe la mazzata finale per le banche nazionali dei paesi interessati, perché fin qui tutte hanno “sostenuto” il corso dei titoli pubblici – incventivati in questo anche dal quantitative easing della Bce – acquistando dosi massicce di Bot, Cct, Ctz, Btp, ecc (o come si chiamano nei diversi paesi a rischio).
Le conseguenze di un meccanismo del genere, una volta approvato, sarebbero immediatamente devastanti per le economie di questi paesi, perché “i mercati” fiutano il sangue molto prima che scorra e “anticipano” le cattive notizie spostandosi per il pianeta ala velocità di un click.
Comne fanno notare alcuni analisti, “la Germania, semplicemente, sta smettendo di credere al Patto di stabilità e ai suoi bizantini rituali. Pochi dentro e intorno al governo di Berlino si illudono ancora che gli attuali sistemi europei di vigilanza sui conti pubblici possano spingere certi Paesi a risanare. «I poteri delle istituzioni europee nel far rispettare le regole restano limitati», si legge nel documento, «dunque future crisi di debito pubblico non possono essere escluse»”.
Non si stratta di una “sfiducia” di poco conto, perché significa mettere in soffitta tutto l'armamentario descritto dal Fiscal Compact e corollari (Six Pack, Two Pack, ecc).
Tutti liberi, quindi? Ogni paese sciolto dai vincoli asfissianti che ne stanno distruggendo la struttura economica, dando peraltro fiato ai “populismi”?
L'esatto contrario. Berlino da tempo mostra insofferenza per la politica monetaria della Bce (che con il quantitative easing ha ridato fiato alle quotazioni dei titoli dei paesi sotto attacco speculativo, riducendo gli spread entro limiti tollerabili) e per le scete caute della Commissione guiidata da Juncker, giudicata troppo acquiescente con i paesi “discoli” (tutti quelli già nominati, più la Francia) e soprattutto poco attenta alla “credibilità” dei trattati sottoscritti.
Naturalmente è contrarissima a “mutualizzare” il debito europeo, come sarebbe logico in una struttura federale, perché tutto si può chiedere alla popolazione tedesca – dopo anni di narrazioni tossiche – tranne che di versare un euro in più ai “paesi cicala” del Mediterraneo (francesi compresi).
Dunque ha ripreso vigore e spessore propositivo l'idea di “contrattualizzare” gli impegni assunti dai diversi paesi, rendendoli il più simili possibile ai rapporti tra privati e al riparo da mediazioni politiche. Non a caso il documento tedesco prevede anche di “«costringere» i governi a emettere bond con clausole legali che ne rendono più facile il parziale default”. Inevitabilmente, una volta inserita nel prospetto di un bond una simile clausola, il prezzo crollerebbe all'istante e per quel governo sarebbe un suicidio emetterlo (i tassi di interesse da pagare schizzerebbero verso il cielo).
Un meccanismo del genere è un'assicurazione sulla vita delle finanze tedesche, ma anche la campana a morto per le velleità “comunitarie” e “solidali” dell'Unione Europea. È insomma in linea con le preoccupazioni di un paese a non vedersi coinvolto in “salvataggi” al di sopra delle proprie possibilità, ma mette iun mora qualsiasi "maggiore integrazione" tra i paesi. Tranne, forse, per quelli più in linea con gli standard germanici.
Per capirsi: non si tratta di “restringere” il nucleo duro dell'Unione ai paesi “che ci stanno” (ovvero disposti a firmare anche trattati più suicidi degli attuali), ma di selezionare soltanto quelli che “se lo possono permettere”.
Non per caso il documento dei cinque “saggi” regala un inciso proprio all'Italia, ewscludendola per sempre dalla possibilità di sedere “tra i grandi decisori” d'Europa: «Grandi economie avanzate come l’Italia sono probabilmente troppo grandi per essere salvate in ogni caso». Quindi si facciano da parte, accettando senza discutere quel che viene loro imposto oppure raus.
L'alternativa è a questo punto secca: o finire come la Grecia, lasciandosi saccheggiare senza resistenza, oppure costruire la rottura con l'Unione Europea, che implica anche un altro posizionamento geostrategico.
In ogni caso, è chiaro, stiamo correndo verso un periodo ultraturbolento e carico di disastri, non certo verso “la ripartenza” di cui si ciancia – in modo sempre più irresponsabile – a Palazzo Chigi.
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