Sette anni dopo il sisma dell’Aquila, i cittadini ancora faticano a districarsi nella cervellotica poltiglia burocratica. Per ricostruire Amatrice, sarebbe meglio non ripetere gli stessi errori.
I ceppi dell’umanità tormentata sono fatti di carta bollata», spiegò Franz Kafka nelle sue Conversazioni
con Gustav Janouch. Lo ricordino, quanti stanno per mettere mano alle
norme che guideranno la rimozione delle macerie, la ricostruzione e il
ritorno alla vita di Amatrice e gli altri paesi annientati dal
terremoto. Lo ricordino perché i cittadini aquilani sono ancora oggi,
sette anni dopo il sisma, impantanati in una poltiglia di regole e
regolette così cervellotiche da rendere difficile la posa di un solo
mattone senza l’aiuto non solo di un geometra ma di una équipe di
azzeccagarbugli.
Ricordate il dossier di Gianfranco Ruggeri, l’ingegnere esasperato dalle demenze
burocratiche che bloccavano i cantieri? Nei primi quattro anni dopo la
scossa del 6 aprile 2009 erano piovuti sull’Aquila «5 leggi speciali, 21
Direttive del Commissario Vicario, 25 Atti delle Strutture di Gestione
dell’Emergenza, 51 Atti della Struttura Tecnica di Missione, 62
dispositivi della Protezione civile, 73 Ordinanze della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, 152 Decreti del Commissario Delegato e 720
ordinanze del Comune». «Confesso però», ammise, «che nel casino qualche
ordinanza municipale potrebbe essermi sfuggita». Totale: 1.109 lacci e
lacciuoli. Aggiunte successive? Non si sa: «Mi sono stufato di
contarle». Ma non si tratta solo di numeri esorbitanti. Il problema è
quel che c’è dentro.
La «scheda parametrica» varata dall’Ufficio speciale per la ricostruzione dell’Aquila per
accelerare i lavori si auto-loda come «caratterizzata da norme
innovative volte allo snellimento delle procedure» e garantisce «tempi
rapidi di istruttoria». Bene: la sola «Scheda Progetto - Parte Prima» è
corredata da un «Manuale istruzioni» con un indice di 114 capitoli per
un totale di 258 pagine. Pagine che nel manuale per la «Scheda progetto
parte prima aggiornato al Decreto n.4» salgono a 271. Auguri.
Un esempio di semplificazione? «Il Coefficiente topografico di amplificazione sismica
St, per configurazioni superficiali semplici, è determinato in base
alla seguente classificazione prevista da NTC 2008, 3.2.2. Categorie di
sottosuolo e condizioni topografiche “Le su esposte categorie
topografiche si riferiscono a configurazioni geometriche prevalentemente
bidimensionali, creste o dorsali allungate, e devono essere considerate
nella definizione dell’azione sismica se di altezza maggiore di 30
m.”»...
Un altro? «Ai sensi dell’art. 4 comma 8 del DPCM 4 febbraio 2013 il contributo deve
ridurre la vulnerabilità e raggiungere un livello di sicurezza pari ad
almeno il 60% di quello corrispondente ad una struttura adeguata ai
sensi delle NTC2008 e successive modificazioni e integrazioni, fatta
eccezione per gli edifici con vincolo diretto di cui al decreto
legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 Parte II…».
Aveva ragione, tre secoli fa, l’abate Ludovico Muratori: «Quante più parole si
adopera in distendere una legge, tanto più scura essa può diventare».
Parole d’oro. Tanto da far sorgere il sospetto che proprio quella
slavina di Leggi speciali, Direttive del Commissario Vicario, Atti delle
Strutture di Gestione dell’Emergenza e così via sia stata accolta a suo
tempo non con preoccupazione ma con giubilo da chi dietro le rovine
vedeva l’occasione per fare affari. Come l’imprenditore che la notte del
terremoto del 2009 «rideva nel letto» o l’assessore aquilano che in
un’intercettazione (volgarotta, scusate) diceva: «Abbiamo avuto il culo
del terremoto e con tutte ‘ste opere che ci stanno farsele scappà mo’ è
da fessi…».
Perché sempre lì si torna: nella fanghiglia creata da un diluvio di regole,
ammoniscono le cronache di questi anni, il cittadino perbene
impossibilitato a destreggiarsi senza violare questa o quella norma
affoga, tanto più dopo che la sua vita è già stata devastata da un
trauma spaventoso quale il terremoto. Al contrario, in quella
fanghiglia, il faccendiere con le amicizie giuste e magari un retroterra
mafioso sguazza come nell’oro.
Oro alla portata degli imprenditori più spregiudicati. Al punto che nel caos generale,
come denunciarono Don Luigi Ciotti e Libera, ci fu chi riuscì a
piazzare all’Aquila perfino una quantità così esagerata di Wc chimici
(34 milioni di euro!) che nelle tendopoli ogni sfollato avrebbe potuto
produrre «fino a un quintale al giorno di pipì e di popò». Molto più di
un elefante adulto.
Anche ad Amatrice, in parallelo a una consolante efficienza e ad una straordinaria
generosità dimostrate da tutti gli uomini dello Stato arrivati in
soccorso alle popolazioni colpite, non è che la burocrazia sia ancora
riuscita a cambiar passo. La prima ordinanza 388 della Presidenza del
Consiglio, prima di arrivare al nocciolo, conteneva 7 «visto» e «vista»,
1 «considerato», 1 «ritenuto», 1 «rilevato», 1 «ravvisata», 1 «atteso»,
1 «acquisite»… Nella seconda i «visto» sono saliti a 9 più 1
«ritenuto», 1 «sentito», 1 «acquisite». Vecchi vizi.
Per carità, amen. Non si può chiedere ai burosauri di cambiare di colpo in piena emergenza.
Ma le regole per consentire ai cittadini rimasti senza casa di tornare a
progettare il loro futuro devono essere radicalmente diverse da quelle
elaborate in questi anni per altri sfollati. Devono essere chiare,
severe nel pretendere il rispetto delle norme antisismiche, attente a
evitare gli abusi del passato. Guai, però, se fossero così astruse da
intimidire. E da aggiungere nuovi tormenti a questa nostra umanità
tormentata.
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