"Eravamo
in quattro, avevamo pagato i trafficanti per raggiungere la Serbia. Ad
un certo punto hanno estratto le armi, ci hanno legato le mani e bendato
gli occhi. Poi ci hanno portato dentro una casa. Abbiamo sentito
urla provenire da altre stanze. Hanno continuato a picchiarci e
a torturarci fino a quando uno dei capi ci ha detto di telefonare a casa
ai nostri parenti per far spedire 1000 dollari americani a testa. Se i
famigliari avessero pagato, sarebbero finite le botte altrimenti i
profughi sarebbero spariti, sarebbero stati liquidati". Il racconto che
Mohamed tra le lacrime ha fatto al fotografo Livio Senigallieri, ha
dell'incredibile. Il sospetto è che i migranti, almeno quelli che
percorrono la rotta balcanica, vengano spolpati fino all'osso anche con
il traffico d'organi, è ormai quasi una certezza. "Nel mese scorso,
durante il lungo viaggio sulla 'rotta balcanica', tra le tante storie
raccolte da Lesbo a Gorizia avevo percepito qualcosa di non detto. Tanti
racconti si fermavano a un certo punto",racconta Senigallieri nel blog
di Riccardo Noury, responsabile italiano di Amnesty international.
Di recente il fotoreporter ha visitato per 24 giorni i principali campi profughi sul Mediterraneo o lungo la rotta balcanica: "quando li avvicinavo per chiedere delle interviste utili al documentario, non mi sentivo di andare piu' a fondo e di scavare in quel 'non detto'. Mi sono reso conto conto che queste persone piu' che di medici e di cibo hanno bisogno di psichiatri. Traumi di guerra e mancanza di prospettive li distrugono giorno dopo giorno. La loro capacita' di resistenza e' messa a dura prova".
E' nei campi nel nord della Serbia che Livio riesce a ottenere le confidenze di queste persone: "molti non si aspettavano di essere tanto maltrattati in quella che loro immaginano la 'Patria del diritto'". In attesa del pagamento- prosegue Mohamed - siamo stati messi in una cantina sudicia senza latrina e non ci hanno dato neppure pane e acqua. Abbiamo creduto di morire. Poi quando il pagamento e' arrivato, siamo stati marchiati a fuoco come delle bestie. Era la nostra ricevuta di pagamento. E siamo stati lasciati liberi. Degli altri non abbiamo saputo piu' nulla".
Il fotogiornalista a questo episodio aggiunge che, anche se non esistono prove che lo confermino, "si parla di un traffico d'organi organizzato dalla malavita per spolpare i profughi fino all'osso".
Ma il racconto del ragazzo non e' finito: alle botte e alle torture, si aggiungono anche "le violenza sessuali e abusi di ogni genere". La parte piu' imbarazzante e dolorosa da condividere.
Un ragazzo iraniano si scopre con rabbia il braccio e mostra il marchio: "vedi cosa ci hanno fatto? Ecco il marchio della vergogna. Il capo della banda parlava macedone ma c'erano anche serbi, greci e pakistani. Le mafie sono tutte d'accordo e noi siamo solo come agnelli in attesa del sacrificio".
"La corruzione e' arrivata a tali livelli che i migranti sono un business per tutti" e' il commento di denuncia di Livio Senigalliesi, che ha ricordato: "tutto questo avviene qui vicino a noi, ad un'ora di volo da Roma. La polizia macedone conosce le coordinate del luogo ma non interviene", mentre "con tutte le tecnologie oggi a disposizione ci vorrebbe poco a stroncare la rete dei trafficanti. Perche' non usare Frontex, Interpol, intelligence o i droni della Nato per colpire questi pericolosi criminali?" e' la sua domanda, a cui si aggiunge un interrogativo ben piu' grave: "chi restituira' mai a questi ragazzi la convinzione di essere arrivati in un luogo migliore di quello che
hanno lasciato?"
Di recente il fotoreporter ha visitato per 24 giorni i principali campi profughi sul Mediterraneo o lungo la rotta balcanica: "quando li avvicinavo per chiedere delle interviste utili al documentario, non mi sentivo di andare piu' a fondo e di scavare in quel 'non detto'. Mi sono reso conto conto che queste persone piu' che di medici e di cibo hanno bisogno di psichiatri. Traumi di guerra e mancanza di prospettive li distrugono giorno dopo giorno. La loro capacita' di resistenza e' messa a dura prova".
E' nei campi nel nord della Serbia che Livio riesce a ottenere le confidenze di queste persone: "molti non si aspettavano di essere tanto maltrattati in quella che loro immaginano la 'Patria del diritto'". In attesa del pagamento- prosegue Mohamed - siamo stati messi in una cantina sudicia senza latrina e non ci hanno dato neppure pane e acqua. Abbiamo creduto di morire. Poi quando il pagamento e' arrivato, siamo stati marchiati a fuoco come delle bestie. Era la nostra ricevuta di pagamento. E siamo stati lasciati liberi. Degli altri non abbiamo saputo piu' nulla".
Il fotogiornalista a questo episodio aggiunge che, anche se non esistono prove che lo confermino, "si parla di un traffico d'organi organizzato dalla malavita per spolpare i profughi fino all'osso".
Ma il racconto del ragazzo non e' finito: alle botte e alle torture, si aggiungono anche "le violenza sessuali e abusi di ogni genere". La parte piu' imbarazzante e dolorosa da condividere.
Un ragazzo iraniano si scopre con rabbia il braccio e mostra il marchio: "vedi cosa ci hanno fatto? Ecco il marchio della vergogna. Il capo della banda parlava macedone ma c'erano anche serbi, greci e pakistani. Le mafie sono tutte d'accordo e noi siamo solo come agnelli in attesa del sacrificio".
"La corruzione e' arrivata a tali livelli che i migranti sono un business per tutti" e' il commento di denuncia di Livio Senigalliesi, che ha ricordato: "tutto questo avviene qui vicino a noi, ad un'ora di volo da Roma. La polizia macedone conosce le coordinate del luogo ma non interviene", mentre "con tutte le tecnologie oggi a disposizione ci vorrebbe poco a stroncare la rete dei trafficanti. Perche' non usare Frontex, Interpol, intelligence o i droni della Nato per colpire questi pericolosi criminali?" e' la sua domanda, a cui si aggiunge un interrogativo ben piu' grave: "chi restituira' mai a questi ragazzi la convinzione di essere arrivati in un luogo migliore di quello che
hanno lasciato?"
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