giovedì 16 giugno 2016

I “furbetti” come pretesto per intimidire tutto il pubblico impiego

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Il governo spara un decreto dittatoriale per rendere rapidissimo il licenziamento dei dipendenti pubblici. L’ambito ufficiale è ristretto ai cosiddetti “furbetti del cartellino”, impietosa parafrasi dell’ormai celebre frase uscita fuori dalle intercettazioni tra immobiliaristi d’assalto (Ricucci, Coppola, ecc) una decina di anni fa.
Come recita il decreto, chi verrà sorpreso in flagrante (tramite telecamere poste sulle macchinette in cui si striscia il badge per segnare l’orario di ingresso e d’uscita) verrà prima sospeso entro 48 ore, poi licenziato entro 30 giorni, al termine di una procedura “processuale” acceleratissima, che conserva la parvenza del rispetto del diritto di difesa senza però consentirne più un esercizio efficace. Anche per i dirigenti che fanno finta di non vedere potrebbe scattare una misura analoga.
Che non sia questo il centro della questione è evidente da altri articoli del decreto, che ridisegnano i comparti della pubblica amministrazione riducendoli da 15 a 4, nel palese tentativo di eliminare le sacche di conflittualità sindacale elevando nei fatti le soglie di rappresentatività fissate dalla legge.
Ma andiamo con ordine. Nessun sindacato – tranne forse qualche oscura sigletta ultracorporativa – ha mai difeso chi falsificava la presenza sul lavoro, segno che la pratica – antica quanto lo Stato, di qualsiasi paese ed epoca – trova la riprovazione esplicita di tutta la categoria (gli “onesti”, come ipocritamente vengono definiti tutti quelli che lavorano davvero).

Ma il can can sollevato sul problema dei “furbetti” non è affatto un’operazione di pulizia morale, quanto un esercizio di forza diretto ad intimorire tutti I dipendenti pubblici. Banalmente: una volta rotta l’inviolabilità del rapporto tra lo Stato e i suoi dipendenti, sia pure in relazione ad una sola fattispecie assolutamente indifendibile, si apre la strada per allargare questa pratica ad altri comportamenti fin qui pienamente legali (dal lavoro sindacale agli scioperi, dalla denuncia degli abusi o delle truffe di alcuni dirigenti alla sorveglianza critica del funzionamento della macchina burocratica, ecc). E il governo lo dice quasi esplicitamente, quando afferma che “la pacchia è finita” (non potendo per ora togliere l’art. 18 nel pubblico impiego).
La stessa massiccia partecipazione dei media di regime sta lì a sottolinare un’operazione che viene da lontano (avete mai letto un’inchiesta di Rizzo e Stella sulle furbate delle forze dell’ordine o della magistrattura? O sui vizieti dei giornalisti?) e che pretende un risultato più ampio: irregimentare e disciplinare il lavoro pubblico.
L’esatto contrario dell’atteggiamento tenuto con le cosiddette “forze dell’ordine”, blandite sia sul piano contrattuale e salariale (per loro, di fatto, la riforma Fornero non vale…), sia o soprattutto su quello legislativo. Il reato di tortura, per cui persino l’Unione Europea richiama all’ordine il nostro paese (unico a non prevederlo, tra quelli “storici”), non riesce proprio atrovare spazio. E neanche l’assai più banda misura del numero identificativo sulle divise, che persino Israele trova normale far esibire per sapere – se non altro al livello dei superiori in grado – chi è tra gli agenti ad aver commesso qualcosa di illegale o “esagerato”.
Detto questo, comunque il rpovvedimento di ieri segna il rovesciamento definitivodi un modo di governare, che mette da parte la ricerca del consenso e usa senza remore l’arma della minaccia, del ricatto e dell’intimidazione.
La pianta organica della pubblica amministrazione, fino a venti anni fa, era stata regolarmente gonfiata per accontentare esigenze clientelari di questo o quel ministro, di questo o quell’assessore regionale. Gli ultimi episodi registrati sono state le assunzioni all’Atac di Roma, volute da Gianni Alemanno per sistemare alcuni “camerati”, tra cui anche Francesco Bianco, uno dei condannati per l’omicidio del compagno Roberto Scialabba ad opera dei Nar.
Ovvio dunque che ci fosse un sacco di gente “non necessaria” dal punto di vista lavorativo, e questa inutilità è stata alla base dell’affermarsi di comportamenti parassitari e “privatistici”; tanto, se c’eri o no, non cambiava nulla. Ma non c’era problema. L’Italia cresceva, quanto a produzione di ricchezza, e quel tanto di spreco di risorse che se ne andava in assunzioni inutili addirittura tornava utile – macroeconomicamente – come espansione dei consumi interni.
Questa situazione ha avuto una prima correzione con il blocco del turnover: non si assumeva più per sostituire chi andava in pensione. Se proprio serviva gente per incarichi non coperti da nessuno (una pianta organica può anche essere sovradimensionata, ma se i competenti non ci sono, non ci sono) si ricorreva ai precari; tra l’altro violando la legge,che vuole ci sia personale pubblico stabile, assunto per concorso e che presta giuramento di fedeltà allo Stato e alle sue leggi.
La soluzione “blocco del turnover”, come tutte quelle che sembrano “lineari”, ha in realtà prodotto più inefficienza e maggiori ingiustizie. Ad andar via erano i pensionandi, in modo casuale rispetto all’organizzazione del lavoro. Quelli che erano al lavoro anche se non servivano, ma avevano magari le spalle coperte da una uona raccomandazione, restavano al loro posto. Tanto per effettuare le mansioni necessarie si ricorreva ai precari e ci si rifiutava pure di assumerli.
Il fatto vero è che orac’è la crisi – da otto anni, senza vie d’uscita – e l’Unione Europea chiede di tagliare la spesa pubblica. A saltare per primi sono dunque proprio gli ex clientes, quelli che garantivano consenso in cambio di uno stipendio, il protitipo del mitico “uscere” senza incarico specifico.
Gente così abituata a sentirsi nel ventre di vacca del potere da non sentire neppure più che aria tira. La cosa più stupefacente, diciamolo, è che ancora in questi giorni ci sia gente che timbra cartellini di frodo, dopo almeno due anni di “maxi-inchieste” in tutta Italia che fanno vedere – in prima serata, su tutti i canali – altri “colleghi” come loro beccati, filmati e pedinati.
Furbetti senza qualità, in effetti, che però per il potere conservano ancora un margine di utilità: quello di intimidire il resto dei lavoratori pubblici.

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