controlacrisi fabio sebastiani
Oggi
comincia, nonostante tutti gli appelli che si sono levati da diversi
settori della società civile, la discussione in Senato della norma che
aumenta la reclusione da sei a nove anni per tutti quei giornalisti che
riportano una condanna per diffamazione. E’ una norma “di casta” perché
il campo di applicazione è pensato espressamente per quei casi in cui il
“danneggiato” è un uomo politico o un magistrato. Fnsi,il sindacato dei
giornalisti, ha chiesto di ritirare la proposta, di abolire del tutto
la pena detentiva e di introdurre, al contrario, il reato di ostacolo
all’informazione.
Il primo allarme è stato lanciato il 26 maggio da
Ordine dei Giornalisti, FNSI e Ossigeno. II giorno dopo la
Rappresentante dell’OSCE, Dunja Mijatovic, ha rivolto un appello alle
autorità italiane. Subito, facendo riferimento alla documentazione
prodotta dall’associazione “Ossigeno per l’informazione”, le più
rappresentative associazioni europee dei giornalisti EFJ (European
Federation of Journalists), AEJ, IPI, e Index on Censorship hanno
segnalato l’iniziativa del Senato italiano al Consiglio d’Europa come un
fatto di assoluta gravità. Tutti hanno ricordato al Parlamento italiano
che la pena detentiva deprime la libertà di informazione e hanno
chiesto di rinunciare a un inasprimento che va contro gli standard
europei in materia di diffamazione e che inoltre contraddice l’impegno
solenne dell’Italia di cancellare del tutto la pena detentiva per questo
reato, con un disegno di legge presentato nel 2013 e ancora in attesa
di approvazione.
Proprio all’inizio di questo mese, il presidente
della FNSI Giuseppe Giulietti ha definito “anti-nazionale” l’aumento del
carcere e ha chiesto al governo, del tutto taciturno, di dichiararsi
contrario e al Parlamento di ritirare la norma, di introdurre nel codice
il reato di ostacolo all’informazione, di sbloccare e approvare il
parallelo disegno di legge, anch’esso all’esame del Senato, che prevede
invece di cancellare il carcere. Quest’ultima proposta di Giulietti è
stata condivisa dal deputato del PD Walter Verini, componente della
Commissione Giustizia della Camera. A favore di un chiarimento del testo
che inasprisce il carcere si è pronunciata anche l’associazione “Avviso
Pubblico”, schierata a difesa dei sindaci che subiscono minacce.
Quest’ultima presa di posizione è importante perché smonta parte della
retorica “manettara” che ha parlato della necessità di allentare la
pressione su quanti, tra gli amministratori pubblici, si sentono oggetto
di “condizionamenti” da parte dei giornalisti.
Intanto, a conferma
del clima fortemente repressivo che si sta facendo largo nel paese nei
confronti della libera informazione, arriva la notizia che il presidente
della Regione Lombardia Roberto Maroni ha diffidato la Rai e La7
dall’ospitare il giornalista Marco Lillo, vicedirettore de Il Fatto, per
promuovere il suo libro Il Potere dei Segreti. Maroni ha lasciato
intendere una citazione in giudizio per danni. L’ufficio legale della
Rai ha consigliato ai direttori di canale di non invitare Marco Lillo.
L’atteggiamento della Rai è stato criticato dal presidente della Fnsi,
Giuseppe Giulietti, che chiede l’intervento di Agcom e Commissione
parlamentare di vigilanza. Il libro riferisce contenuti di un’inchiesta
giudiziaria su politici, manager e prefetti.
Infine, il direttore del
quotidiano Roma, Pasquale Clemente, è stato condannato a due anni di
reclusione, riconosciuto colpevole di diffamazione a mezzo stampa nei
confronti del già parlamentare e magistrato Pasquale Giuliano”. Il
segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e
Giuseppe Giulietti, e il segretario del sindacato dei giornalisti della
Campania, Claudio Silvestri scrivono in una nota: “Senza entrare nel
merito della vicenda, che risale ai tempi in cui Clemente dirigeva la
Gazzetta di Caserta – dicono – l’aspetto sconcertante riguarda la
condanna al carcere del giornalista, in applicazione di una norma,
quella dell’articolo 595 del codice penale, ormai fuori dalla storia, ma
sulla cui cancellazione, più volte auspicata dagli organismi
internazionali, il Parlamento non solo continua a tergiversare, ma
immagina addirittura forme di inasprimento, come dimostra la norma
recentemente approvata in commissione Giustizia al Senato. I giornalisti
non chiedono tutele speciali e neanche impunità. Il carcere rappresenta
una misura sproporzionata, oltre che una forma surrettizia di bavaglio
all’informazione. È per questo necessario che riprenda al più presto
l’esame della proposta di legge volta a cancellare le pene detentive per
i giornalisti e che si abbia il coraggio di istituire il giurì per la
lealtà dell’informazione, a tutela del diritto dei cittadini ad essere
correttamente informati. Al collega Clemente, la solidarietà e la
vicinanza del sindacato dei giornalisti italiani”.
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martedì 7 giugno 2016
Chi tocca la penna muore!!! Oggi il Senato comincia a discutere di illibertà di stampa
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