Dopo le interviste di Barbara Spinelli e Paolo Flores d'Arcais, anche il giornalista deL'Espresso a favore di una lista italiana a sostegno del leader di Syriza: "La possibilità che sia il punto di riferimento della galassia ampia ma sfilacciata di persone, movimenti, iniziative e fasce sociali che un anno fa si sono astenute o hanno scelto Grillo passa attraverso la nostra capacità di individuare metodi e rappresentanti che si mettano alle spalle il passato".
di Alessandro Gilioli
Proprio un anno fa in questi giorni si andavano delineando le molte pratiche suicide che nel febbraio del 2013 avrebbero negato rappresentanza parlamentare alla sinistra italiana: con i vertici di Italia dei Valori, Rifondazione e Pdci che tentavano la propria autoperpetuazione attraverso il meccanismo dell'Ingroiellum e si spartivano in anticipo, negli uffici romani di Santa Maria in Via, perfino quei rimborsi elettorali che non avrebbero mai ricevuto.
È tuttavia abbastanza inutile, oggi, stilare la 'classifica delle colpe': decidere se cioè di quelle logiche sia stato più responsabile Di Pietro o Ferrero, Diliberto o lo stesso Ingroia, Orlando o De Magistris, o qualcuno degli altri che partecipavano alle riunioni a porte chiuse con cui ci si avviava verso quella cosa che poi è stata chiamata Rivoluzione Civile.
È inutile, se non in relazione all'opportunità di imparare dai propri errori, quindi di non ripeterli, adesso che si torna a parlare di una possibile lista da presentare alle elezioni europee, in collegamento con Syriza e in appoggio al candidato presidente Ue Alexis Tsipras.
Sicché il primo equivoco da sciogliere, diciamo quasi prepolitico, riguarda proprio il ruolo dei partiti, anzi dei «partitini parodia» come li ha chiamati un po' severamente Paolo Flores d'Arcais.
Organizzazioni che non “hanno la peste” e anzi sono composte da un corpo vivo di militanti, attivisti e simpatizzanti il cui ruolo è prezioso non solo dal punto di vista organizzativo, ma anche per il patrimonio politico di battaglie compiute sul territorio che meritano ogni possibile declinazione elettorale. Ma anche organizzazioni i cui vertici, nell'esperienza di Rivoluzione Civile, prima si sono attribuiti la funzione di decisori-spartitori, poi hanno riproposto pratiche vecchie e perdenti, infine hanno ingombrato con la loro logica mentale novecentesca un'esperienza che poteva e doveva nascere subasi diverse.
Di nuovo: la questione non è che la cosiddetta 'società civile' sia ontologicamente migliore dei partiti, anzi. La questione consiste nelle pratiche da implementare e nel modo di pensare delle persone che le implementano. I vertici dei 'partitini', un anno fa, hanno reiterato tutti quei comportamenti e quelle scelte che avevano già smesso di funzionare da tempo e che erano ormai parte del problema, non della soluzione. Il 'passo indietro' che quei vertici un anno fa non hanno voluto fare non è quindi un fatto di immagine, di marketing: è proprio una precondizione per un mutamento comportamentale e cognitivo nell'approccio alla politica, quindi nello sguardo oltre le asfittiche mura della propria sigla e delle proprie sezioni. Un passo indispensabile per rivolgersi a un'opposizione che in Italia è tanto presente nel Paese quanto assente nella rappresentanza.
La possibilità che una “lista Tsipras” sappia essere il punto di riferimento della galassia ampia ma sfilacciata di persone, movimenti, iniziative e fasce sociali che un anno fa si sono astenute o hanno scelto Grillo passa quindi attraverso la nostra capacità di individuare metodi e rappresentanti che si mettano alle spalle il passato e prendano perfino atto del vuoto negativo che la parola 'sinistra' ha assunto per la gran parte delle nuove generazioni.
Persone che ripartano dai fondamentali: sono i mezzi a qualificare il fine e non è il fine a giustificare i mezzi; nessun reale cambiamento sociale si avvia senza essere noi stessi, ogni giorno, il cambiamento; la nostra felicità non solo dipende da quella degli altri ma consiste sempre più nel contrario dell’estensione del nostro io, nell'opposto perfetto rispetto alla visione centripeta e di destra (sì, di destra) che ci ha portato fino a questo punto.
Persone che sappiano rappresentare non solo le aspirazioni di maggiore uguaglianza sociale ma anche quelle di tipo umanista che si stanno facendo strada nella società post ideologica, basate cioè su una critica esistenzialista più che economicista al modello attuale di capitalismo: a partire dal superamento del Pil come indicatore unico di benessere e della dinamica di produzione-consumo come strumento unico per perseguire il 'diritto alla felicità'.
Persone infine che conoscano nel profondo le dinamiche provocate dalla rivoluzione della Rete e ne sappiano valutare gli effetti in termini di mutazione individuale e collettiva, così come in altri secoli è stato valutato l'impatto della macchina da stampa e del telaio a vapore.
Solo così, forse, si può sperare di superare il paradosso italiano attuale: quello per cui proprio in quest'epoca in cui «non c'è più la sinistra», i temi “di sinistra” godono dell’appoggio di fette di cittadinanza che sfiorano e a volte superano la maggioranza dei consensi: reddito minimo per i precari e disoccupati, acqua pubblica, istruzione e sanità pubbliche e di qualità, tagli decisi alle spese militari, tutela del suolo anziché grandi opere, biotestamento libero, uguali diritti per gli omosessuali, integrazione attiva dei migranti, trasparenza assoluta della politica vista come servizio provvisorio alla società e non come professione, priorità assoluta dell'ambiente e del territorio a ciascuno circostante, investimento sulla ricerca e sulla conoscenza, lotta all’economia speculativa e alle rendite, riduzione degli eccessi sperequativi che sottraggono risorse all'economia reale per indirizzarle verso quella di carta – e così via.
Così come se fosse opportunamente sistematizzata e comunicata probabilmente incontrerebbe vasti consensi, in un Paese a tradizione europeista come l'Italia, la visione civile e sociale dell'Europa che propone Barbara Spinelli, lontana tanto dal Golem mercatista-montiano quanto dai demagogismi a tratti xenofobi dei Forconi o di Forza Italia.
È, tutto questo, un percorso che si può fare nella manciata di mesi che mancano alle elezioni europee? Sicuramente no. Ma – anche grazie alla candidatura di Tsipras – le elezioni europee possono essere un'ottima occasione per intraprenderlo, per iniziare a costruirlo. Per far emergere i principi, le idee, le pratiche e le aspirazioni a cui qui si è accennato. E per far emergere, se possibile, anche una nuova prima linea di persone che se ne facciano carico.
Del resto, l'alternativa a questo sforzo comune è refluire nell'astensione, o nel voto 'provocatorio' a leader padronali come Grillo e Casaleggio, o nell'assegno in bianco al nuovismo mediatico di Matteo Renzi. O, peggio, nella reiterazione delle fallimentari esperienze che proprio in questi giorni compiono un anno.
da micromega
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