mercoledì 1 gennaio 2014

Legalizzazione delle droghe leggere, lo scettro resta all’Olanda

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Amsterdam non è più sola: dopo quattro decenni di assoluta ed indiscussa supremazia come capitale mondiale dgli “stoners” (letteralmente “fattone”) da oggi apre ufficialmente battenti la concorrenza d’Oltreoceano, quella americana di Denver e quella uruguayana di Montevideo.
Entrambe le “legalizzazioni” della marijuana, tanto quella statale del Colorado quanto quella “sovrana” dell’Uruguay, sono rivoluzioni di portata storica e alla luce delle informazioni a disposizione, sembrano discostarsi abbastanza dal “modello Amsterdam”. In Uruguay, ad esempio, non sarà consentita la vendita di cannabis a non residenti e tanto li, quanto in Colorado non sarà possibile consumare in pubblico. In Olanda, invece, pur essendo in vigore un regime di “mera tolleranza”, si è consolidata in 40 anni una cultura della cannabis che potrebbe ancora a lungo, rimanere esclusiva di quel pionieristico esperimento (per inciso, fumare in pubblico e fuori dai coffeeshop non è consentito ma.. non è espressamente proibito).

Non abbiamo dati dal “Nuovo Mondo” ma a giudicare dalle informazioni che giungono, il sistema uruguayano, sebbene il più chiaro sul piano legislativo (la cannabis è ora perfettamente legale) sembra anche il più rigido su quello pratico: no cannabis ai non residenti, consumatori registrati,acquisti in farmacia, appena 40 grammi al mese a persona. I primi due punti, sono stati alla base della vigorosa protesta olandese “anti wietpas” ed hanno obbligato il governo ad una parziale marcia indietro, quanto al terzo punto, il quantitativo depenalizzato nei Paesi Bassi -5 grammi a persona- si è dimostrato sufficiente a non alimentare il mercato nero su larga scala. In Colorado non sembra un problema il quantitativo (1 oncia, 28 grammi, ovvero quanto si poteva detenere in Olanda negli anni ’80), sarà possibile per i non residenti acquistare ¼ di oncia (7 grammi) ma è tassativamentevietato il consumo in pubblico e non sono previste licenze speciali per “cannabis club”. Almeno è ciò che fa sapere il comune di Denver.
Un bel problema sollevato anche da 420 tours, la prima agenzia americana dedicata al “turismo della cannabis”.“Se la nuova legislazione, ammette il consumo solo nella propria abitazione, allora abbiamo un problema serio da risolvere” ha detto Matt Brown, fondatore di 420 tours, a Cbs news di Denver. Lo stesso sarà in Uruguay: niente consumo pubblico ma almeno sarà ammessa l’apertura dicannabis club privati. 
Vendita a stranieri, registrazione e soprattutto luoghi dove consumare la cannabis, non sono questioni marginali. Ne sanno qualcosa le autorità olandesi che hanno dovuto “inventare” un sistema senza poter contare su linee guida legislative e hanno dovuto collaudare delle inedite dinamiche, tra l’industria della cannabis e lo stato e tra questo ed i consumatori. E tutto ciò nonostante i proclami settimanali della politica: le misure restrittive contro i coffeeshop, infatti, non hanno mai prodotto alcun risultato e a dispetto delle apparenze, che vorrebbero l’esperienza olandese, iniziata nel 1976 e fortemente voluta dall’ex primo ministro cristiano-democratico Vries Van Agt, ormai al tramonto, la cultura della cannabis nei Paesi Bassi resta solida.
coffeeshop sono un prodotto degli anni ’70 e della cultura libertaria dell’epoca; ne venne consentita l’apertura (e ne vennero tollerate le attività) perchè in quel periodo il mercato europeo degli stupefacenti, era investito da un’ondata di oppiacei provenienti dall’Asia e l’urgenza delle autorità olandesi era allora quella di “separare i mercati” evitando ai consumatori di droghe leggere di venire in contatto con quelle pesanti.
Le legalizzazioni di Uruguay, Colorado e dello Stato di Washington, partono da presupposti simili ma pongono l’acccento in maniera netta sulla questione degli introiti per lo Stato e per la collettività: se la parola d’ordine in campagna elettorale del comitato referendario della Proposition 64 è stata “tassare la marijuana”, anche le ragioni di Mujica in Uruguay, guardano in quella direzione. Nelle normative americane, gli stati hanno disciplinato in maniera rigorosa l’intero ciclo produttivo della cannabis, al contrario della relativa indifferenza con cui i governi olandesi hanno affrontato la questione negli anni, affidando interamente la materia alle amministrazioni locali; indifferenza che ha contribuito alla nascita di una cultura e ha permesso ai coffeeshop di sviluppare una propria identità. Inoltre è stato possibile per gli estimatori organizzare manifestazioni (la celebre Cannabis Cup), mettere su una vera e propria industria e costruire cosi il mito di Amsterdam.
E’ presto per dire se altrettanto sarà possibile in Uruguay, in Colorado e nello Stato di Washington. Ma almeno per ora, lo scettro di patria mondiale degli “stoners” rimane saldamente in Olanda.
da ilfattoquotidiano.it

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