Il colpo di stato che inaugurerà la Terza Repubblica, dimenticando completamente quella nata dalla Resistenza, avrà il volto pubblico dei “carini per il rinnovamento”.
contropiano.org Alessandro Avvisato
Il
format non è per niente nuovo.
Basta guardare le “segreterine” scelte da
Matteo Renzi: sembrano uscite da una selezione del casting di Mediaset,
replicanti quasi perfette delle Carfagna o delle Minetti, ma
sventolanti il proprio “merito” come garanzia di differenza
antropologica. Nella “segreteria giovane” renziana ci sono anche i
maschi, ma non vanno sullo schermo. Una preoccupazione tipica dei
“creativi” d'immagine e comunicazione politica. Un esempio? Prendete il
Floris di Ballarò, che ad ogni puntata contrappone una “segreterina” ad
un'altra donna, sempre molto più competente, ferratissima, con un
curriculum impressionante nella materia di cui si è scelto di
discutere... ma decisamente troppo anziane per attirare la simpatia
subliminale dello spettatore medio.
Bene, questa è la maschera piacente del
golpe in atto. Della diatriba sulla “legge elettorale” sapete già tutto,
e comunque abbiamo pubblicato diversi interventi, se ne parla da ogni
oblò televisivo e non. La “vecchia politica” (bersaniani, alfaniani,
casiniani e casinisti vari, montiani e vendoliani) hanno tentato di
“impaludare” l'accordo tra il sindaco di Firenze e il Caimano. In modo
da sminuire implacabilmente l'immagine “vincente” del giovane democristo
e renderlo “addomesticabile”.
Tentativo disperato, inutile, forse addirittura controproducente, alla fine.
Financial Times, Angela Merkel, tre
quarti del gotha dell'Unione Europea, hanno già scelto Renzi come il
proprio referente per distruggere quel che resta dell'assetto
costituzione, sociale, sindacale della Prima Repubblica. Berlusconi lo
ha semplicemente capito, e accettato. Gli lascia un'eredità
“comunicativa” che ha devastato la politica rendendola una commediola
all'italiana, un “Natale a Firenze” tra lazzi, battute e tormentoni
(“signori miei...”) che coprono l'espropriazione totale della “cosa
pubblica” da ogni illusione di “sovranità popolare”. Presente, passata e
futura.
Vale per la sfera politica come per
quella sindacale, il cui “accordo sulla rappresentanza” appare una
fotocopia esatta del “bastardellum” renzusconiano. Vale per
l'informazione, mai come oggi così pesantemente sottoposta a un dominio
incontrastato dei grandi gruppi economici e senza dover neppure
inventare istituzioni censorie.
All'interno della classe politica
parlamentare non ci sono né capacità di progetto, né velleità
istituzionali in grado di arrestare questa caduta. Al massimo un po'
recalcitramenti paludosi, senza pretese (qualche poltrona da conservare,
qualche filiera clientelare da proteggere, come nel caso della Lega
Nord risparmiata dalla mattanza promessa ai “partitini”) e senza
prospettive.
Stanno aprendo la porta sull'orrore. La
gabbia di ferro intorno a una popolazione da spremere e affamare si va
dunque chiudendo con decisione. L'offensiva aperta da Electrolux ha
l'ambizione, per il capitale multinazionale, di completare l'opera del
“modello Marchionne”, imponendo il dimezzamento o quasi dei livelli
salariali in questo paese, come già avvenuto in Grecia.
È finito il tempo della “politica” come
prodotto da esporre sugli scaffali del supermercato, con gli incassi da
riscuotere nella tornata elettorale. Chi non l'ha ancora capito dovrà
rendersene conto molto presto, con lo scontato annientamento delle
“liste alternative” in sede di elezioni europee.
Questo è il tempo della politica come
logica unitaria dei mille conflitti sociali, sindacali, territoriali. È
il tempo di concentrare le forze lì dove si può ancora far saltare la
messa al punto del meccanismo. È l'Unione Europea il ponte di comando da
cui promanano gli ordini crudeli che le “segreterine” rivestono con
packaging attraente.
Ci si vede nelle strade, da subito. Ci si
vede a Roma, in primavera, per la prima manifestazione nazionale che
mette al centro di tutti i conflitti la necessità di rompere l'Unione
Europea.
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