martedì 25 aprile 2023

Ai Partigiani senza medaglie e riconoscimenti

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Il fratello di mia nonna, zio Antonio, è stato partigiano. A sedici anni si arruolò nella Brigata Maiella. La Brigata era nata nel suo paese, Torricella Peligna e in quello accanto, Gessopalena, situati entrambi sulla linea Gustav. Prese parte agli scontri più duri di Pizzoferrato e Gamberale. Mia madre racconta sempre la scena del suo ritorno a casa sui camion aperti dei partigiani e il lancio del berretto che lei ragazzina raccolse felice.
Terminata la guerra partigiana, zio Antonio, come molti del suo paese, è migrato all’estero, in Belgio prima, poi in Australia. Un suo fratello maggiore, zio Pasquale, durante la leva militare si era ritrovato coinvolto nella guerra d’Albania. Fatto prigioniero finì nei campi d’internamento inglesi e poi a lavorare in una colonia agricola in Grecia. Tornò in Italia dopo il 1950. La moglie era morta e la figlia, zia Angela, era cresciuta con mia nonna insieme a mia madre. La casa di famiglia non c’era più, centrata da un aereo, non ho mai capito se tedesco o alleato. Oggi al suo posto c’è la posta.
I nazifascisti si vendicarono contro i due paesi che avevano dato vita alla Brigata, dopo aver sfollato la popolazione e fatto razzia grazie alle spie fasciste, minarono e distrussero Gessopalena. Fecero lo stesso con Torricella ma dovettero fuggire prima di accendere le mine, riuscirono ad abbattere solo poche case. La guerriglia partigiana colpiva ai fianchi le truppe speciali alpine tedesche che per rappresaglia massacrarono alcune famiglie sfollate riparate in una masseria, in località Sant’Agata, vicino Gessopalena. Mia zia Angela si salvò perché un suo zio la venne a prendere la sera prima per portarla in un’altra masseria. Perse in quel posto un pezzo della sua famiglia.


Ogni volta che torno sotto la Maiella passo sempre a Sant’Agata a vedere quei ruderi rimasti così dal giorno del massacro.
Zio Antonio era lontano, non sapeva scrivere, le storie della Brigata me le ha raccontate un suo coetaneo che abitava al Calacroce, il rione più povero del paese, accanto alla casa dove era nata mia madre, nelle estati che trascorrevo a Torricella quando ero ragazzino. Franchino Di Luzio si chiamava, anche lui partigiano, e i suoi figli erano i miei amici.
Zio Antonio, il partigiano, non voleva morire in Australia e fece di tutto per rientrare in Italia. Visse un anno da mia madre. In quel periodo ero in carcere a Viterbo.
Chiesi l’autorizzazione per poterlo incontrare. Il vicedirettore, Francesco Ruello, me la negò con compiaciuto sadismo. Zio Antonio che non aveva nemmeno la pensione da partigiano nei suoi lunghi anni da migrante, era stato anche a Marceline, aveva perso la cittadinanza italiana.
Quando sono uscito dal carcere era ritornato in Australia. È morto lì, senza che lo abbia mai più rivisto.
Questi sono i miei partigiani, senza medaglie, senza riconoscimenti!

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