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La Cina sta cercando di prendete il posto delle società occidentali in fuga dalla Russia dopo il conflitto in Ucraina, come sottolinea Bloomberg.
Le società dei settori energetici ed industriali pesanti europei hanno tagliato i legami e le partecipazioni nella società russe, a parte TotalEnergie, e questo ha creato uno spazio di entrata per le società cinesi, massimamente a partecipazione statale.
Secondo fonti di Bloomberg, il governo di Pechino sta parlando con quattro enti statali dell’acquisizione di partecipazioni in compagnie petrolifere e metallurgiche russe. Le entità includono China National Petroleum Corp, o CNPC, China Petrochemical Corp o Sinopec, la più grande raffineria del paese, nonché Aluminium Corp e China Minmetals Group.
I colloqui sono in corso e hanno ottime possibilità di concludersi positivamente, anche perchç la Russia necessità capitali, ma ha materie prime, e quindi si trova in complementarietà con Pechino.
È una situazione vantaggiosa per tutti e ha un bonus potenzialmente cruciale: rafforzerebbe ulteriormente le transazioni non in dollari tra i due paesi, minando il dominio globale del biglietto verde e, nel tempo, immunizzerebbe i due paesi da future sanzioni.
La Russia sta già accettando pagamenti in yuan per le sue esportazioni in Cina e le società russe hanno fretta di aprire conti bancari cinesi, ha riferito Axios all’inizio di questa settimana. Diverse banche russe stanno anche valutando il passaggio al sistema di pagamento con carta cinese UnionPay dopo che Visa e Mastercard se ne sono andate. L’acquisizione di partecipazioni da parte di società cinesi in società petrolifere e metallurgiche non farebbe che rafforzare questo processo.
Questo rende lo Yuan sempre più forte e lo mette in buona posizione per sostituire il dollaro come moneta internazionale, mentre l’Occidente è percorso e devastato dallo shock collegato agli altissimi prezzi energetici, che conducono l’inflazione alle stelle e rendono i loro sistemi industriali sempre meno competitivi.
La Cina ha un appetito quasi insaziabile per l’energia e non esita a usare i combustibili fossili per soddisfare questo appetito. A differenza dei governi in Europa e negli Stati Uniti, Pechino non ha fretta di ridurre le emissioni. Il suo anno obiettivo zero netto è il 2060. E se la Russia, con l’azione sanzionatoria, vende il suo petrolio a uno sconto, allora tanto meglio per gli acquirenti cinesi.
Ad esempio per Pechino sarebbe un ottimo affare sostituire BP come azionista di Rosneft. Alcuni osservatori del settore con una memoria più lunga ricorderebbero che la partecipazione di Rosneft è stata l’unica cosa che ha impedito a BP di scivolare in perdita durante l’ultima flessione del petrolio, grazie al regime fiscale russo e al tasso di cambio rublo/dollaro.
Eppure, con la transizione energetica saldamente in corso, a giudicare dalle dichiarazioni rilasciate su entrambe le sponde dell’Atlantico, i metalli sono anche al centro della scena insieme a petrolio e gas. La Cina ha già il predominio nei minerali critici grazie alla sua enorme capacità di lavorazione delle terre rare. Non farebbe male far crescere la sua presenza nell’alluminio e, perché no, anche nel nichel.
Tutto ciò aggraverebbe uno svantaggio già notevole per
l’Occidente. Per alcuni, infatti, lo scenario di una partnership
Russia-Cina rientra nella categoria dell’“incubo”. Eppure, in questa
fase, è stato proprio l’occidente a romper questi legami. La Cina si
approfitta solo delle nostre scelte.
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