mercoledì 25 novembre 2020

EMANUELA MARMO - Il mio 25 novembre.

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Oggi è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: cominciano i 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere che precedono il 10 dicembre, quando ogni anno si celebra la Giornata mondiale dei diritti umani.

 

micromega EMANUELA MARMO

È significativo che ai diritti di tutti si arrivi attraverso quelli negati delle donne, contro le quali la violenza maschile continua ad abbattersi nei modi più svariati.

Proprio in questi giorni, siamo stati testimoni della viltà e della mediocrità attraverso cui l’abuso del corpo femminile possa avvalersi di poco e per motivi da poco, riuscendo a trovare l’appoggio di un numero purtroppo non esiguo di facilitatori. La vicenda alla quale mi riferisco riguarda la maestra di Torino, esposta alla pubblica gogna perché un ex-partner ha condiviso con gli amici i video erotici che ella gli aveva indirizzato nel periodo in cui si frequentavano. Il gioco di seduzione che la donna credeva intimo, riservato, è diventato motivo di scandalo e di persecuzione. Il materiale privato, mostrato agli amici, è passato di chat in chat, finché colleghi, genitori, altri ne sono venuti a conoscenza. La storia della nostra cara maestra, che davvero sento di accogliere in un abbraccio, ha avuto un momento felice, quello in cui la donna ha sentito che non doveva tacere. Quando una persona non accetta il silenzio vuol dire che ha risorse da cui trarre coraggio, risorse che possono essere individuali o collettive. La maestra resiste ai tentativi di dissuasione dal denunciare, ma la direttrice ha proceduto con un’azione disciplinare contro di lei.

Giornaliste, artiste, donne comuni hanno sostenuto la vittima attraverso lettere aperte, commentando la vicenda con toni di solidarietà, riparando alla ferita. Seguendo la vicenda, leggendo i disparati articoli che si sono preoccupati di raccontarla, sono state riferite le posizioni di alcuni padri che non potevano tollerare che la maestra delle loro figlie facesse “certe cose”. Quali cose? Le stesse che hanno fatto loro con le proprie mogli per concepire dei figli? O si sono forse serviti di un buco ricamato al centro del lenzuolo per compiere la sacra penetrazione?

La vicenda di questa donna è significativa per la giornata di oggi perché ci permette di discutere di molti aspetti. Il primo: non sappiamo individuare i diversi tipi di violenza che possono agire ai danni di una persona. Di conseguenza, non siamo capaci di riconoscere il dolo di una situazione: chi lo riceve? La parte incresciosa della storia è appunto nel fatto che la vittima è stata colpevolizzata e addirittura bandita dal posto di lavoro come se fosse stata lei a commettere un’azione scorretta. A questi già gravi elementi, si aggiunge quella di non saper distinguere l’ambiente personale da quello pubblico. La maestra è stata trattata come se avesse dato spettacolo della propria sensualità in classe, a scuola, come se avesse coinvolto gli allievi nella trama delle sue relazioni. I genitori si sono preoccupati che voci sulla maestra potessero arrivare alle orecchie dei loro figli? Nessun bambino avrebbe mai saputo della vita sessuale della maestra – e quindi dello spaventoso, demoniaco sesso – se nessun adulto avesse contribuito a depredare lo spazio privato della donna, se nessun adulto avesse rilanciato e tramutato in un processo pubblico un contenuto della cui riservatezza ciascun illegittimo destinatario avrebbe dovuto avere radicale riguardo. Avete paura che un giorno possano farlo anche le vostre figlie? Lo faranno, e non certo perché hanno saputo che lo fa la maestra, ma perché è bello. È bello, è piacevole, fa parte del discorso amoroso rappresentare il proprio corpo come punto di fuga della corrente dei desideri, è bello mettere in scena, preparare, allestire un luogo sensoriale in cui ritrovarsi o inventarsi. È bello spingere il gioco amoroso nell’offerta teatrale del corpo. Perché non farlo?

Ad ogni modo, la trasgressione, la reputazione, l’innocenza non sono i temi della questione. La violenza è un problema collettivo perché corrode la condizione sulla quale si costruisce la comunità sociale e politica: la fiducia. Il danno sociale arrecato dalla violenza permane nello spazio sociale di fiducia, di reciprocità, di esistenza che, infatti, il corpo delle donne ancora oggi non riesce ad abitare: ancora oggi deve conquistarlo o continuamente difenderlo.

Una donna, per il tempo in cui ha frequentato un uomo, ha seguito i suggerimenti del desiderio e ha dispiegato un linguaggio di seduzione: le persone che sono attratte l’una dall’altra intraprendono una danza di corteggiamento. L’uno sublima il proprio corpo nella visione, che è un’offerta. Le foto e i video sono una utilizzatissima possibilità per i rapporti contemporanei, resa possibile dalla tecnologia e spesso indispensabile giacché le conoscenze di frequente si costruiscono nella rete delle distanze. Sono una utilizzatissima pratica perché potenziano lo spazio dell’incontro, ci consentono di stare in relazione anche al di fuori dell’evento erotico: possiamo riprodurre i video quando siamo soli; la presenza fisica si dissolve, lascia lo spazio alla voluttà e alla sua possibilità di soddisfarla. Ogni volta che doniamo la nostra immagine a un altro stiamo compiendo un gesto in parte narcisistico – mi offro alla tua contemplazione, in parte altruistico – accetto di essere assente nel desiderio che hai di me, accetto di perdere il controllo che la situazione permette assai di più. Abbandonare la contingenza è un rischio, ma la danza di potenza e riduzione dell’amore, della passione, dell’erotismo ci fa correre il rischio perché ci fidiamo.

«Si amavano gli amanti protagonisti di uno spazio e di un tempo che avevano accuratamente sottratto allo sguardo di tutti, perché potesse essere il più possibile il loro spazio e il loro tempo. Per terra le vesti del corpo, quelle vesti che abitualmente si indossano per poter vedere senza essere visti. Il buio, per non vedersi, per sottrarre i rispettivi corpi alla condizione d’oggetto a cui si riducono davanti allo sguardo. In quello spazio e in quel tempo che era loro perché accuratamente sottratto a ogni possibile sguardo, tra quelle vesti deposte perché i corpi si accingevano a vestirsi della grazia dei propri gesti, in quel buio che concedeva di sentirsi senza vedersi, gli amanti facevano dono di sé. Poi insospettato imprevisto, inatteso, lo sguardo inopportuno di un sopraggiunto che deruba gli amanti della possibilità del loro amore. Quello che era il loro tempo e il loro spazio diventa il tempo e lo spazio del suo spettacolo; le vesti, veste deposte; i corpi, corpi osceni» (U. Galimberti, Il corpo).

Se ognuno di noi può immaginarsi in una situazione del genere, può dunque capire quanto sia grave che il primo ad aver infranto il segreto sia stato proprio uno dei due che lo aveva costruito e quanto sia grave che molti altri si siano spartiti il bottino: carnefice è colui che trasforma il corpo vivo in carne morta, da macello. Avvoltoi sono quelli che si fiondano sui resti.

Chi non ha distolto lo sguardo ha reso quelle immagini oscene: come insegna Carmelo Bene o-sceno è ciò che è tratto fuori dalla scena. Ed è così che si autorizza un uomo a disporre di ciò che non possiede: contrapponendo alla fiducia l’egemonia della vergogna. La vergogna… Ecco un’altra inabilità sociale: l’incapacità di dirigere le difese relazionali al loro vero scopo: il pudore non serve a correggere la volgarità del corpo, perché il corpo non è volgare, è fragile. Il pudore si prende cura della fragilità. Il pudore non ci dice che nudi siamo brutti o disgustosi, ci ricorda che nudi siamo senza protezioni, indifesi.

La leva della vergogna che anziché biasimare il colpevole, colpevolizza la vittima costruisce la società contro la quale il 25 novembre si batte, a premessa dell’affermazione di tutti i diritti: una società in cui la vergogna produce falsi valori e il potere viene concesso a chi rende le proprie vittime le sole responsabili delle sorti che le vengono inflitte.

Ogni storia è modello per noi altri. Ciò che è accaduto alla maestra, accadrà anche a noi. Quindi, cosa non dobbiamo più fare? Non dobbiamo più goderci la sessualità? Non dobbiamo più giocare con il nostro erotismo? Non dobbiamo più fidarci degli amanti? Dei nostri colleghi? Della nostra direttrice? Delle famiglie o dei cittadini che ci conoscono attraverso il lavoro che svolgiamo?

Non dobbiamo mai più isolare le vittime. Chi si trovasse a essere testimone di una eventualità del tipo descritto deve porgere una coperta, per proteggere e riscaldare chi resta nudo contro la propria volontà. Osceni e svergognati sono le persone a cui manca la competenza sociale della fiducia, della responsabilità, della cura. In definitiva, credo che è da questo che dovremmo guardare i nostri bambini.

Emanuela Marmo - Capitana Scialatiella Piccante, piratessa pastafariana

(25 novembre 2020)

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