lunedì 30 novembre 2020

«Non sarà un pranzo di gala»: come uscire dal capitalismo

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L’incontro con il pensiero di Emiliano Brancaccio, professore di economia dell’Università del Sannio ed economista marxista, è stato per me un’autentica epifania. Spero che il lettore perdonerà il carattere apologetico dei questa mia recensione alla sua ultima opera Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione (ed. Meltemi) a cura del brillante giornalista Giacomo Russo Spena.

I meriti di Brancaccio sono molteplici e per intuirli basta scorrere alcuni riconoscimenti di personaggi al di là di ogni sospetto per la loro notoria appartenenza al cosiddetto mainstream. Solo per citarne alcuni: «Io sono abbastanza daccordo con Brancaccio: è difficile immaginare una sintesi keynesiana senza il pungolo della minaccia socialista. Il sistema capitalistico ha dato il peggio di sé da quando è caduto il muro di Berlino» (Mario Monti); «Sono daccordo al cento per cento con Emiliano: la deflazione non è la soluzione» (Olivier Blanchard); «Sono rimasto affascinato dalle riflessioni del professor Brancaccio. Sono d’accordo con la sua proposta di limitare i movimenti internazionali di capitali» (Romano Prodi); «L’errore grosso, che ha coinvolto alcuni di noi – forse anche me in passato – è stato di pensare che per essere competitivi sui mercati globali dovessimo ridurre lo stato sociale e l’intervento pubblico.

Tu di certo non hai commesso questo errore» (Giovanni Tria); «Il professor Brancaccio è un po’ una mosca bianca tra noi, nel senso che è marxista. Parola ampiamente riabilitata. Anzi, direi che ci è a tutti professore visto come stanno andando le cose nel mondo» (Giuliano Ferrara).

A questi giudizi vorrei aggiungere una riflessione espressa dal prof. Mario Monti, suscitata da Emiliano Brancaccio in occasione di un incontro pubblico fra i due:

Io sono sempre molto colpito negativamente quando vedo – l’abbiamo visto in Italia per lungo tempo e lo vediamo anche oggi – partiti che si richiamano alla sinistra che però, forse per dimostrare che non hanno niente a che fare con l’ascendenza socialista e marxista, considerano terribile fare uso del sistema fiscale per uno scopo che un capitalista americano accetterebbe pienamente: la ricostituzione di una certa uguaglianza tra i punti di partenza, per esempio, con imposte altamente progressive o con imposte sul patrimonio, che esistono in tanti paesi di vari continenti.

Ecco che mentre molti esponenti della sedicente sinistra riformista hanno abdicato ai valori del nome che portano, ovvero giustizia sociale ed uguaglianza, in cambio una mediocre patente di redenzione dal passato comunista, un economista rigoroso di straordinaria competenza che gode di grande prestigio internazionale anche fra i principali studiosi e sostenitori del mainstream ha il coraggio di dichiararsi marxista e di elaborare proposte rivoluzionarie fondate sul ribaltamento dei dogmi liberisti e sostenute da una conoscenza profonda e da un sapere vastissimo della scienza economica.

Brancaccio è immune da ogni pregiudiziale ideologica, il suo argomentare è di un nitore stringente che smaschera ogni retorica, sia nei suoi saggi, sia nei confronti di cui è composta una parte importante di questo libro. Ritengo che dovrebbero leggerlo tutti coloro il cui cuore batte realmente a sinistra e anche coloro che non siano formati a quei valori ma che pratichino l’imperativo etico universale dell’onestà intellettuale. Aggiungerei anche quei lettori che non hanno praticato frequentazioni con il pensiero economico perché possono trarre ammaestramenti inaspettati intorno a questioni come l’uguaglianza, l’equità e la libertà.

Attraverso una serrata analisi critica di molteplici teorie, Brancaccio smonta la falsa credenza totemica che la democrazia possa esistere solo nel sistema economico capitalistico e dimostra come il capitalismo iperfinanziarizzato che si fonda sull’accumulo esponenziale dei capitali planetari in pochissime mani danneggi le imprese più piccole e progressivamente corroda la libertà e la democrazia proprio per come sono concepiti dall’ideale liberal-democratico.

Quello che rappresenta, a mio parere, il vertice dell’elaborazione teorica e politica di Emiliano Brancaccio, è la forza di dimostrare il grande valore dell’eredità marxiana e delle parti migliori della cultura generata dalla storia del movimento operaio, rifiutandosi di buttare il bambino con l’acqua sporca. Questo poderoso retroterra permette a Brancaccio di segnalare anche i limiti di un repechage del keynesismo e di rilanciare l’idea potente di un’economia di piano come generatrice di un’autentica libertà individuale, non quella strombazzata e sempre più coartata delle “democrature”, altrimenti dette democrazie autoritarie. Se fossi sufficientemente competente e capace e non solo entusiasta, mi piacerebbe scrivere un saggio sull’economista Emiliano Brancaccio, perché finalmente una sinistra degna di questo nome che volesse non solo rifondarsi, bensì risorgere, può contare su un grande teorico che mette a disposizione gli strumenti politico-economici per una simile rinascita progettando un’uscita dal capitalismo.  

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