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di Valentina Bennati
Le mascherine sono entrate a forza nel nostro vivere quotidiano e, al di là dell’obbligo, la maggior parte della gente è davvero convinta che siano la salvezza, tanto che incontriamo ogni giorno persone che camminano a passo sostenuto, vanno in bicicletta e corrono con il volto coperto per metà.
Potremmo limitarci a sorridere amaramente, come quando vediamo soggetti soli in auto che guidano ‘mascherati’, ma ci pare doveroso fornire informazioni corrette. Quelle che sembrano essere negate anche da chi avrebbe il dovere di fornirle. Basta accendere la TV. Se ci fate caso gli inviati in esterna dei Tg e delle varie trasmissioni parlano indossando rigorosamente la mascherina, anche se intorno non hanno nessuno (salvo poi toglierla solertemente al momento della pubblicità, come il commissario Arcuri in collegamento con Fabio Fazio a ‘Che Tempo Che Fa’).
Perché?
Perché il messaggio che deve passare è quello che “le regole devono essere rispettate”. Lo chiedono i direttori e gli editori (che a loro volta ricevono indicazioni in tal senso da qualcun altro), come candidamente ha ammesso di recente il conduttore di una televisione regionale toscana all’inizio di una trasmissione di approfondimento sul covid-19.
Purtroppo l’assenza di un dibattito scientifico libero e trasparente sul tema ha portato a vivere le mascherine in modo unilaterale, si crede che siano solo “un piccolo fastidio per ottenere grandi benefici individuali e collettivi”, si pensa di fare “un atto di generosità responsabile”. Al contrario, invece, potrebbe rivelarsi un gesto rischioso perché, allo stato delle migliori conoscenze, in alcuni contesti e soprattutto all’aperto, questi dispositivi non sono necessari e possono essere anche pericolosi. Gli studi che lo dimostrano ci sono ed è bene che se ne parli di più.
Ringrazio il Dottor Alberto Donzelli per aver accettato di fare questa intervista e per l’impegno profuso in questi mesi per cercare di fornire un’informazione obiettiva e completa sull’argomento insieme ad altri (pochi) medici di indubbia professionalità ed etica.
L’articolo è lungo, ma ho voluto cogliere l’occasione della disponibilità di una persona esperta e attendibile per approfondire bene la questione. Donzelli è medico specialista in Igiene e Medicina Preventiva e Scienza dell’Alimentazione e da 41 anni è impegnato a tempo pieno nella Sanità pubblica, come Ufficiale Sanitario, Responsabile del Servizio Igiene di una USSL, Direttore Sanitario, Direttore Generale e Direttore Dipartimento Servizi Sanitari di base. È il Direttore editoriale delle ‘Pillole di buona pratica clinica per medici’ e delle ‘Pillole di educazione sanitaria per cittadini-assistiti’ e autore di centinaia di pubblicazioni di carattere scientifico e di divulgazione scientifica. Per anni è stato membro del Consiglio Superiore di Sanità.
Dottor Donzelli ormai le mascherine sono divenute obbligatorie ovunque negli spazi confinati e anche all’aperto. Ma se c’è un obbligo, dovrebbero anche esserci delle prove scientifiche riguardo l’efficacia e la non dannosità. Quali sono queste prove? Sono sufficienti e tali da legittimare un obbligo di legge?
“Ho dedicato alla sanità pubblica tutta la mia vita professionale e continuo a farlo da pensionato. Ho sempre saputo che una misura di sanità pubblica, per essere resa universale e obbligatoria, dovrebbe rispettare almeno tre condizioni: che ci siano prove forti dei suoi benefici, che i benefici attesi sovrastino eventuali danni o inconvenienti e, in mancanza di queste due condizioni ma sotto la pressione di un’emergenza sanitaria (com’è oggi), che ci siano almeno ragionamenti logici a supporto degli effetti netti di questa misura. Queste tre condizioni, nel caso delle mascherine all’aperto, mancano nella maniera più assoluta.
Va premesso che le ricerche scientifiche con validità più alta sono quelle randomizzate controllate.
Ci sono poche ricerche con questo disegno sulle mascherine a livello di comunità (cioè non in contesti sanitari o lavorativi, ma comunque soprattutto “al chiuso”) e le quattro grandi revisioni che le hanno combinate hanno concluso tutte che non ci sono prove adeguate di un’efficacia delle mascherine.
C’è poi una ricerca randomizzata molto importante prevalentemente all’aperto sui pellegrini a La Mecca in condizioni di alto assembramento su quasi 8.000 partecipanti. È stata pubblicata sulla rivista ‘Plos One’ ed è di alta validità; inoltre, da sola, ha numeri superiori ai partecipanti di tutti gli altri studi randomizzati messi insieme. Ne avevo pubblicato un’anticipazione l’11 maggio sul repository della Rivista Epidemiologia e Prevenzione. A ciascuno nel gruppo di intervento i ricercatori hanno consegnato 50 mascherine chirurgiche fornendo istruzioni scritte più addestramento all’uso e chiedendo di indossarle il più possibile. Al gruppo di controllo non hanno dato mascherine né istruzioni, ma chi voleva poteva indossare maschere di stoffa portate da casa.
L’ipotesi degli autori era che valesse la pena di far indossare le
mascherine se si fosse avuta una riduzione almeno del 50% delle
infezioni respiratorie. Invece il risultato è stato opposto alle attese
dei ricercatori: c’è stata una tendenza all’aumento delle infezioni
respiratorie nel gruppo che ha portato le mascherine.
Ancora più informativo è stato un confronto ulteriore. Nel gruppo
d’intervento un grande sottogruppo di pellegrini ha indossato le
maschere per tutti i quattro i giorni di osservazione (benché in genere
solo per poche ore). Nel gruppo di controllo un ampio sottogruppo non ha
indossato le proprie maschere nemmeno una volta. Confrontando questi
due sottogruppi, il divario è stato ancora maggiore: un 30% di infezioni
cliniche in più in chi ha indossato maschere, come miglior stima
puntuale. L’intervallo di confidenza è stato da 1,0 a 1,8: ciò significa
che, nella migliore delle ipotesi, le mascherine non hanno dato alcun
beneficio netto; nella peggiore hanno aumentato le infezioni
respiratorie dell’80%”.
Quali sono i potenziali danni e rischi connessi ad un uso prolungato di questi dispositivi in comunità e all’aperto?
“Non farò qui riferimento ai pur non trascurabili costi finanziari di produzione, organizzativi di distribuzione o ambientali (secondo un rapporto ISPRA 2020, solo di mascherine 135 mila tonnellate di rifiuti/anno da incenerire o smaltire, comunque inquinanti). Volendosi soffermare solo sui costi sanitari, l’OMS enumera 11 danni/svantaggi potenziali dell’uso di maschere da parte del pubblico generale:
- possibile rischio aumentato di auto-contaminazione per manipolazione della maschera e successivo contatto degli occhi (la maschera fa entrare l’aria espirata negli occhi: ciò genera una sensazione spiacevole e un impulso a toccarli)
- possibile auto-contaminazione se non si cambiano maschere umide o sporche, con condizioni favorevoli per la moltiplicazione di microrganismi
- possibili cefalee e/o difficoltà di respirazione, in base al tipo di maschere usate
- possibili lesioni cutanee facciali, dermatiti irritative o peggioramento dell’acne, quando usate di frequente e per ore
- difficoltà nel comunicare chiaramente (e le persone possono inconsciamente avvicinarsi)
- possibile malessere
- scarsa aderenza, in particolare da parte di bambini piccoli
- problemi di gestione dei rifiuti, con aumento di rifiuti in luoghi pubblici, contaminazione per i netturbini e rischi ambientali
- difficoltà di comunicazione per soggetti sordi che si affidano alla lettura labiale
- difficoltà di indossarle, soprattutto da parte di bambini, persone con malattie mentali o problemi cognitivi, con asma o problemi respiratori cronici, traumi facciali, e chi vive in ambienti caldi e umidi
- falso senso di sicurezza, con potenziale minor adesione ad altre misure preventive critiche, come il distanziamento fisico e l’igiene delle mani (ci sono prove da ingegnosi RCT dell’importanza di questo effetto, noto come ‘effetto licenza’ o ‘risk compensation’, anche se in pratica può essere controbilanciato da un effetto che va in direzione opposta: quello dell’‘aderente-più-attento-alla-salute’).
Purtroppo però l’OMS non considera ancora altri importanti effetti avversi. Il più grave si può comprendere meglio se si riflette sul modello teorico immunologico del Covid-19 che riporta una descrizione chiara e convincente dell’infezione e dei meccanismi collegati alla sua progressione.
Finora si è dato poco peso a quanto accade dopo che una trasmissione è avvenuta, quando l’immunità innata svolge un ruolo cruciale. Lo scopo principale della risposta immunitaria innata è prevenire subito la diffusione e il movimento di agenti patogeni estranei in tutto il corpo. L’efficacia dell’immunità innata dipende molto dalla carica virale.
Purtroppo le maschere facciali creano un ambiente umido in cui il virus può restare attivo per il vapore acqueo fornito di continuo dalla respirazione e catturato dal tessuto della maschera provocando un aumento della carica virale e potendo anche causare sconfitta dell’immunità innata e aumento di infezioni. Inoltre la resistenza all’espirazione causata dalla maschera rischia di aumentare la re-inalazione dei propri virus, in un circolo vizioso che aumenta la carica cumulativa che può raggiungere gli alveoli, dove le difese dell’immunità innata sono carenti. Lì il virus può moltiplicarsi molto e quando, a una decina di giorni dall’infezione, arrivano gli anticorpi delle difese adattative, trovando quantità elevatissime di virus scatenano una forte reazione con violenta risposta infiammatoria e le pesanti conseguenze descritte nei casi di COVID-19 a evoluzione grave”.
Anche un test di laboratorio ha evidenziato il fatto che le mascherine si inumidiscono quando noi espiriamo favorendo un terreno di coltura per batteri, virus e funghi che si moltiplicano nell’ambiente caldo e umido. Ne ha parlato la rivista svizzero-tedesca “Blick” del 17 settembre 2020. Non bastano le istruzioni per un uso corretto a difendersi?
“Le istruzioni di cambiare spesso la mascherina, eliminandola quando inumidita, riducono il problema evidenziato, ma non lo eliminano e ne creano altri: ambientali se si tratta di mascherine da avviare all’incenerimento, per non parlare dei costi di produzione, distribuzione ecc..
E comunque non eliminano il problema potenzialmente più serio: la re-inalazione continua dei propri germi, invece di eliminarne una parte, con immediata enorme diluizione nell’ambiente, per 15-20 volte al minuto, con ogni espirazione, come 3 milioni di anni di evoluzione ci hanno selezionato per fare”.
Dunque, considerati tutti gli effetti avversi appena elencati, possiamo affermare che sono possibili danni sanitari per chi indossa le mascherine. È corretto?
“Indubbiamente sì. Oltre ai rischi certi, multipli e sottovalutati di tipo dermatologico (anche con l’uso prolungato di mascherine mediche) riconosciuti dall’OMS, fino a lesioni che costituiscono altre porte d’ingresso di patogeni, il pericolo della re-inalazione dei propri virus è il più grave.
Infatti in soggetti infetti inconsapevoli, in cui l’emissione di virus sembra massima nei due giorni precedenti i sintomi (che potrebbero anche non comparire affatto), la mascherina rischia di far spingere in profondità negli alveoli una carica virale elevata che poteva essere sconfitta dalle difese innate se avesse impattato solo sulle vie respiratorie superiori ben fornite di anticorpi già pronti.
Un rischio assolutamente sproporzionato rispetto a quello di un contatto occasionale in strada/fuori casa con altri che all’aperto, in base alle attuali conoscenze, non ha possibilità riconosciute né logiche di causare infezione.”
Vorrei parlare di bambini, soprattutto dei più piccoli. In seguito all’ultimo DPCM si sta discutendo molto sull’obbligo della mascherina per i bambini oltre i sei anni, per l’intera permanenza a scuola, anche quando è mantenuta la distanza interpersonale stabilita. Qual è il suo parere in merito? Cosa può succedere a bambini dopo svariate ore con la mascherina, rischiano più degli adulti? Su quali basi scientifiche si è potuto emettere un provvedimento così restrittivo per la delicata popolazione pediatrica? Ci sono riferimenti medico-scientifici che sostengano questa posizione?
“Questo provvedimento si discosta dalle aggiornate raccomandazioni OMS-UNICEF che indicano l’uso di mascherine anche per i bambini sopra i cinque anni quando non si possa garantire il distanziamento fisico di almeno un metro e c’è una trasmissione diffusa. Sembra che al momento ci sia consapevolezza insufficiente di un aspetto: l’uso delle mascherine non determina ‘un piccolo disagio per ottenere grandi benefici individuali e collettivi per la comunità’, ma costituisce un compromesso tra i possibili danni e i benefici dell’uso del dispositivo, da implementare solo quando questi ultimi prevalgono chiaramente sui primi.
Aggiungo anche che il rapporto educativo e pedagogico è notevolmente limitato dalla copertura del viso: occorre considerare infatti che oltre al 90% di tutta la comunicazione umana è non verbale e che gran parte di essa passa proprio attraverso il volto. Alterarla attraverso il blocco delle espressioni e delle micro-espressioni facciali può avere implicazioni immediate e a lungo termine nello sviluppo delle relazioni sicure e nella crescita psicoaffettiva dei bambini con serie conseguenze sul piano psicologico e sociale.
Come ‘Fondazione Allineare Sanità e Salute’, insieme a tante altre associazioni, abbiamo firmato il documento sul tema del Gruppo di Lavoro Scuola Bene Comune chiedendo di ripristinare le precedenti disposizioni senza obbligo di mascherina per i bambini seduti al banco e di evitare l’uso di mascherina durante l’attività motoria, pur con la raccomandazione di mantenere il distanziamento fisico”.
La dott.ssa Griesz-Brisson, neurologa e neurofisiologa, che pratica in Germania e ha uno studio di neurologia a Londra, sostiene che le mascherine possono produrre danni cerebrali irreversibili per la continua carenza di ossigeno. È così?
“È una ipotesi su cui preferisco non esprimermi, perché non ho competenze specifiche adeguate”.
La privazione di ossigeno prolungata nel tempo può danneggiare il cuore o i polmoni? Questo dimostrerebbero le conclusioni di uno studio tedesco condotto presso il Dipartimento di Cardiologia, Università di Leipzig, che illustrano il marcato impatto negativo delle mascherine sulla capacità cardiopolmonare, con compromissione delle attività fisiche più impegnative e lavorative. Tra l’altro i soggetti sottoposti allo studio sono persone giovani in ottima forma fisica; persone anziane o affette da patologie cardiache o respiratorie potrebbero dunque risentire ancora di più degli effetti negativi indotti dall’uso prolungato delle maschere?
“Si tratta di una ricerca randomizzata controllata in crossover che dunque rientra tra i disegni di ricerca ad alta validità. Gli autori, ovvero cardiologi e specialisti di altre discipline, sostengono che quanto osservato in adulti sani avrebbe potuto creare problemi in soggetti con broncopneumopatia ostruttiva e sintomi più gravi in pazienti con scompenso cardiaco con peggior capacità di compensazione da parte del cuore. Il rilievo sembra fondato”.
Considerato quanto finora esposto non si rischia, dunque, mentre si pretende di proteggersi da un virus, di avere in futuro un aumento di altri tipi di malattie?
“Non è inverosimile. Il punto principale, tuttavia, è che anche nei confronti delle infezioni respiratorie l’effetto netto medio, a livello di comunità, sembra sfavorevole per un uso di maschere all’aperto e, comunque, per usi protratti oltre al necessario.
Molti faticano a recepire questo messaggio perché la protezione meccanica delle maschere dall’emissione di goccioline che possono veicolare questo coronavirus e tanti altri germi è intuitiva e comunque ben dimostrata. Tuttavia questo punto di osservazione andrebbe integrato con altri meno intuitivi, a partire dal fatto che le goccioline e l’aerosol non emesso ad ogni atto respiratorio (15-20 al minuto!) resta all’interno della mascherina e viene in parte re-inalato nelle vie respiratorie di chi è portatore di questi germi, con le conseguenze illustrate in precedenza.
Qualcuno dice che si tratta di ipotesi? Che le prove per non obbligare all’uso di mascherine in ambienti esterni non sono ancora definitive?
È vero, ma quelle per obbligare lo sono ancora meno, e di molto, dato che un grande ricerca randomizzata controllata pragmatica che dimostra che non c’è effetto medio benefico ma tendenza al danno c’è, l’opposto no!
E comunque un principio cui non si dovrebbe derogare è che a chi emette una raccomandazione, o addirittura l’obbligo di una misura universale e intrusiva, spetta l’onere di esibire le prove di sicurezza (primum non nocere!), oltre che di efficacia, e di stabilire un chiaro beneficio netto complessivo per la comunità, PRIMA di obbligare ad adottare la misura”.
La ringrazio di aver ben chiarito la non opportunità dell’obbligo mascherine all’aperto. Ma se estendiamo il ragionamento anche agli ambienti interni, interferendo la mascherina con le attività biologiche e fisiologiche più naturali, a partire dalla respirazione, e potendo causare i dannosi effetti collaterali esposti fino a questo momento, secondo lei è il caso di obbligare tutti a utilizzarla al chiuso o sarebbe necessaria una valutazione medica pregressa per determinare se ogni soggetto sia compatibile con l’utilizzo della stessa? Esistono ad esempio condizioni patologiche che possano far sconsigliare l’uso della mascherina?
“Certo, ci sono soggetti con problemi respiratori, cardiaci, dermatologici, oltre che neurologici o psichici, o semplicemente bambini piccoli, per cui il rischio potrebbe superare i benefici attesi anche in condizioni per cui un uso per altri è più raccomandabile, ovvero al chiuso, in ambienti con molte presenze.
Ma il punto è, anzitutto, di evitare obblighi all’aperto, in cui nella maggior parte delle situazioni (salvo eccezioni da esemplificare) i rischi superano i benefici attesi”.
Se sappiamo di avere una malattia che potrebbe rendere dannoso o letale l’uso della mascherina possiamo magari non metterla, se in possesso di un certificato medico. Ma se non sappiamo di avere quella patologia? Una persona può essere asintomatica ma portatore di malattia, non vale solo per la Covid, non sarebbe la prima volta che qualcuno muore improvvisamente per una malformazione congenita che non sapeva di avere. Anche per questo motivo non sarebbe il caso di applicare il principio di precauzione ed evitare obblighi massivi di indossare un dispositivo medico che ostacola la normale respirazione?
“Ci sono circostanze in cui una forte raccomandazione è del tutto ragionevole. L’importante è non obbligare a tenerle molto a lungo”.
Ci può dire quali sono queste circostanze?
“Prove definitive di benefici non ce ne sono, ma ragionevoli aspettative di benefici superiori/molto superiori ai rischi sì. Si parla comunque di ambienti chiusi, poco ventilati, con presenza di tante persone, in cui indossare la mascherina è coerente con il principio di precauzione, cercando però di restarvi poco, e dunque di non doverla tenere a lungo. Per chi fosse tenuto a farlo per motivi di lavoro, si dovrebbero prevedere pause per respirare senza maschere all’aria aperta. E ai bambini seduti al banco di scuola non andrebbe imposta”.
Le decisioni per fronteggiare l’epidemia, mascherine incluse, sono state prese sulla base delle indicazioni di un Comitato Tecnico Scientifico di nominati scelti dal Governo. Lo scorso marzo la Società Italiana di Virologia ha denunciato che nel CTS, però, non siede nemmeno un virologo. Le risulta? Chi sono allora queste persone che stanno decidendo su questioni che riguardano la salute di tutta la popolazione? Che qualifiche hanno?
“La cosa più grave non è la presenza o meno di un virologo, e neppure il fatto che alcuni membri del CTS abbiano importanti relazioni finanziarie con produttori di tecnologie sanitarie, ma che la politica non stia garantendo un contesto antidogmatico, favorevole a un dibattito scientifico libero, trasparente ed esente da conflitti d’interessi, in cui anche posizioni al momento di minoranza, ma che fanno riferimento al metodo scientifico, possano esprimersi senza censure o intimidazioni.
Solo così è possibile una effettiva evoluzione delle conoscenze scientifiche e l’aggiornamento o il superamento di paradigmi che non risultassero più funzionali.
La scienza non dovrebbe proclamare dogmi, ma ammettere i propri limiti, accettare la complessità, sapersi mettere in discussione e dialogare con la società civile. Confutare, con l’onere della prova, ‘verità’ date per scontate non è un atteggiamento antiscientifico, al contrario!
Per quanto riguarda la politica, le misure di sanità pubblica, ancor più se vincolanti, andrebbero sempre precedute da ricerche valide indipendenti che stabiliscano un equilibrato bilancio netto tra benefici attesi e possibili danni”.
Se ci sono nel mondo scientifico voci autorevoli, come la Sua, che possono dimostrare che non ci sono prove forti a favore di un beneficio derivante dalle mascherine all’aperto ma, al contrario, che allo stato delle conoscenze possono essere maggiori i danni, perché queste voci non sono prese nella dovuta considerazione? Al di là che siano posizioni al momento considerate di minoranza, non sarà che le mascherine servono a far continuare l’emergenza?
“Mi astengo dal formulare processi alle intenzioni, ma non rinuncio certo a chiedere di poter partecipare a un dibattito scientifico in idonee sedi, anche istituzionali.
Ritengo importante la proposta di Silvio Funtowicz e Jerry Ravetz che hanno introdotto nel dibattito epistemologico il concetto di ‘scienza post-normale’ per designare un nuovo modello di scienza da affiancare alla scienza normale e da impiegare quando «i fatti sono incerti, i valori in discussione, gli interessi elevati e le decisioni urgenti». La proposta consiste in un allargamento dei soggetti autorizzati a partecipare alla raccolta di informazioni rilevanti e alla revisione dei documenti e delle teorie scientifiche (peer review). Tali soggetti, infatti, non dovrebbero essere solo gli esperti appartenenti alla comunità scientifica riconosciuti in una data materia, ma – come minimo – anche gli scienziati portatori di prospettive al momento considerate come minoritarie”.
P.S.
Mentre l’intervista del dottor Donzelli era in uscita gli ‘Annals of Internal Medicine’ hanno pubblicato (il 20 novembre) la grande ricerca danese di alta validità DANMASK-19. Questa ricerca ha randomizzato 6.000 danesi a un gruppo maschere, con consegna di 50 mascherine chirurgiche e richiesta di indossarle per un mese quando fuori casa tra altre persone, e a un gruppo di controllo cui non si chiedeva di farlo. I risultati avrebbero favorito il gruppo maschere, sia pure in modo non significativo.
Di conseguenza è stato opportuno rimandare la pubblicazione dell’articolo e ricontattare il Dottor Donzelli per un chiarimento:
Dottor Donzelli questa grande ricerca danese appena uscita cambia le Sue conclusioni?
“Direi proprio di no, anche se complica la comunicazione del nostro messaggio, dato che molti, a partire da direttori editoriali ed editorialista sugli ‘Annals’, stanno già utilizzando DANMASK-19 per dire che le mascherine andrebbero indossate da tutti.
In realtà, a guardar bene, emerge semmai il contrario.
Non solo per la banale osservazione che il “beneficio” delle maschere non è risultato significativo nell’insieme, né in alcun sottogruppo, come gli autori ammettono. Ma per molti altri motivi che sto scrivendo in un Comment; ne anticipo due:
1) la ricerca, che non si è svolta soprattutto all’aperto, da un lato non ha rilevato una tendenza significativa alla diminuzione delle infezioni da Sars-CoV-2 nel gruppo mascherine “in comunità” (42 verso 53 infezioni rispettivamente nei gruppi maschere e no-maschere, che – tenuto conto della lieve differenza di denominatori, significa 1,8% verso 2,1%; OR 0,82, con Intervalli di Confidenza [IC] al 95%, entro cui nel 95% dei casi si situa il valore vero, da 0,54 a 1,23. Dunque un risultato compatibile sia con una protezione sia con un aumento di rischio). Ma dall’altro lato, i familiari di chi le ha indossate nel mese di osservazione hanno mostrato una tendenza non significativa all’aumento di infezioni da Sars-CoV-2 (52 verso 39, cioè 2,2% verso 1,6%; rischio relativo 1,38, con IC 95% da 0,9 a 2,1). Se si sommano le infezioni da Sars-CoV-2 di chi ha indossato maschere con quelle dei rispettivi familiari, abbiamo:
- nel gruppo maschere con rispettivi familiari (42+52)/2.392=3,9 %
- nel gruppo senza maschere con familiari (53+39)/2.470=3,7 %.
Come si può constatare, e come sto scrivendo alla rivista, a livello di comunità non sembra che le mascherine siano state un buon affare, neppure sotto lo stretto profilo del limitare le infezioni da Sars-CoV-2.
2) nella ricerca danese il 40% del gruppo con maschere nel mese in cui le ha indossate ha ridotto la propria attività fisica e nessuno l’ha aumentata. Pensiamo all’Italia: nel 2018 un Rapporto ISS (il 18/9, con firma del molto coerente Prof. Ricciardi, che lo presiedeva) ha quantificato in 88.200 i morti annui da insufficiente livello di attività fisica della popolazione. Non mi sembra il caso di far sì che il 40% della popolazione riduca ancor più l’attività fisica in associazione alle maschere; per non parlare del lockdown, in cui un campione di convenienza basato sui contapassi dei cellulari ha documentato una riduzione quasi del 50% del n. di passi giornalieri effettuati”.
E dunque?
“Dunque confermo la mia precedente conclusione su quanto al momento le prove suggeriscono:
- niente maschere di regola all’aperto (salvo eccezioni come ad es. allo stadio, o vicini a persone che parlano a voce alta, gridano, cantano; o quando si conversa a un metro o meno per 15’ o più)
- niente ad alunni seduti ai banchi di scuola, con circa un metro di distanza tra le bocche
- niente a domicilio (salvo che in presenza di un positivo alla PCR-RT quando non è in una stanza da solo e interagisce con i familiari).
- In altri ambienti al chiuso, in presenza di altre persone, soprattutto in spazi affollati e poco aerati, una forte raccomandazione di indossarle è ragionevole. L’importante è restarci lo stretto necessario, e non essere obbligati a tenerle molto a lungo.
Devo comunque chiarire bene che non chiedo a nessuno di violare le regole: finché in vigore devono essere rispettate, e io per primo lo faccio. Mi impegno, però, per far cambiare quelle che ritengo sbagliate. L’invito a tutti è di approfondire criticamente il tema, consultando le prove disponibili con mente aperta e chiedendo l’apertura di un dibattito scientifico ampio e senza preclusioni. È necessario poter discutere in modo equilibrato delle politiche sanitarie pubbliche, arrivando a modificarle se e quando chiedono sacrifici in assenza di valido fondamento”.
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