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Anna Lombroso per il Simplicissimus
Sono passati più di 60 anni dalla pubblicazione dei Persuasori occulti di Vance Packard, testo ormai leggendario che aveva rivelato al pubblico la minaccia alla libertà di opinione e di scelta, rappresentata dalla tecniche mutuate dalla cosiddetta psicologia del profondo messe in campo per orientare e influenzare i comportamenti individuali e collettivi non solo nei consumi ma anche in politica e nelle relazioni industriali.
I manipolatori di simbologie stavano imparando allora a solleticare il subconscio per autorizzarci ad esprimere desideri occulti che eravamo stati abituati a reprimere, aspirazioni e velleità più segrete delle quali addirittura non saremmo consapevoli.
Naturalmente l’assunto è quello di avere a che fare con una massa di utenti, compratori e cittadini privi di coscienza critica, autodeterminazione e facoltà di scelta autonoma e responsabile, che diventano vittime e dipendenti da messaggi e consigli per gli acquisti di prodotti e leader, che possono appagare alcuni bisogni segreti di rassicurazione emotiva, di consenso, considerazione e di appartenenza a un ceto e una cerchia, a partire da quella familiare, di affermazione del proprio “talento” e della propria personalità, fino a quello di “immortalità” che, secondo Packard, si esprime allegoricamente con la sottoscrizione di assicurazioni e polizze vita, a garanzia del perpetuarsi della propria “presenza”, anche dopo il decesso.
Sono passati tanti anni durante i quali il libro è stato un vangelo a un tempo irritante e stimolante, saccheggiato e abusato, entrato, e malinteso, nell’immaginario collettivo.
Ma adesso vale la pena di interrogarsi sulla sua attualità, adesso che il susseguirsi di crisi hanno sempre più concentrato il potere d’acquisto nelle mani di pochi e limitato i consumi dei molti, proprio quelli, molti, che prima erano stati sottoposti alla conversione da cittadini a utenti e compratori di merci, ideali, valori e pure dei loro produttori e impresari di sentimenti e convinzioni, che via via hanno perso la loro carica di “ottimismo” progressista, entusiasmo dinamico, immaginazione fattiva.
Tanto che già da anni siamo stati incitati a fare shopping compulsivo di paura, diffidenza, sospetto, grazie a una propaganda che offriva, come i buoni fedeltà all’affezionata clientela, un modello di ordine costituito che promuove discriminazione dei soggetti pericolosi, incrementa la militarizzazione urbana recintando le aree del privilegio e confinando ai margini, nelle geografie del brutto, i nuovi cattivi, che, in sostanza, accontenta i primi e rassicura i penultimi, criminalizzando gli ultimi.
Sono così cambiati anche i veicoli e i modi della pubblicità, si può risparmiare sugli investimenti in persuasione e convincimenti, a conferma che il capitalismo nella sua attuale declinazione riesce a trasformare in ideologia e a imporre come stile di vita i capisaldi che lo tengono in vita.
L’austerità ha messo in moto un meccanismo autopunitivo che ci ha indotti a ritenere la rinuncia a beni, diritti e libertà come il doveroso sacrificio se non addirittura il castigo per aver vissuto al di sopra delle possibilità, sottoposti a un trattamento che alterna il bastone delle restrizioni economiche, della precarietà, dell’abiura della dignità e dell’abdicazione doverosa delle prerogative della democrazia, con la carota delle elargizioni arbitrarie, delle concessioni discrezionali anche sotto forma di ammissioni e riconoscimenti sostitutivi di diritti fondamentali che credevamo inalienabili.
L’integrazione del marketing per promuovere mercificazione e commercializzazione di ogni prodotto, degli individui, del loro lavoro, della creatività, nell’offerta e nel consumo politico, informativo, culturale ha contribuito a convertire la persuasione da occulta a esplicita, evidente, palese.
Ci siamo arresi a pagare un sovrapprezzo per ogni acquisto che facciamo per procurarci la blandizia, l’incoraggiamento di un spot che ci ritrae, di un messaggio indirizzato proprio a noi, di una promessa elettorale che sappiamo non verrà mantenuta alla stregua del detersivo che lava più bianco nel rispetto dell’ambiente, della merendina senza olio di colza che ci esonerano da sensi di colpa ecologici, sicché acquistando, spendendo, possiamo compiacerci di compiere anche un atto “democratico” e responsabile.
Poi ci sono imposizioni che conservano carattere coercitivo, quelle necessarie a garantire l’appartenenza a un ceto sociale, a una categoria che così può rivendicare superiorità sociale e quindi morale, si parla dell’imperativo consumo di prodotti informativi e culturali, “turistici”, estetici, degli status symbol che consolidano processi identitari e dei quali non si può fare a meno pena l’emarginazione che colpisce anche i bambini.
E soprattutto quelle oggetto della sorveglianza di comportamenti e abitudini, apparentemente meno cruentemente repressiva, ma che applica sistemi di intrusione nelle esistenze cui è impossibile sottrarsi a meno di non condannarsi alla marginalità con la profilazione e la targhettizzazione degli utenti, per controllare scelte, aspirazioni, oltre che spese e movimenti, che impone la carte di plastica, l’accesso informatico ai servizi, in una sorta di “reperibilità” totale e perenne del cittadino, il conto corrente per la pensione del novantenne, che rende gradita la rintracciabilità di ogni movimento in modo da contrastare la delinquenza del ladruncolo favorendo quella della banca, e che oggi è raggiunge il suo acme con lo smartworking straccione e la Dad dilettantistica che mostra la volontà di attuare la distopia padronale dello sfruttamento da remoto h24.
Il potere è feroce, ma noi ci siamo fatti occupare e possedere senza resistenza. Ogni fenomeno, ogni incidente dalla storia anche quelli prevedibili ci coglie impreparati a resistere alla pressione concreta e virtuale, come se fosse segnato ormai il nostro destino all’obbedienza senza alternativa.
Così la repressione, le multe le sanzioni le intimidazioni hanno ancora ampio spazio di manovra, ma anche e soprattutto in casi eccezionali è la moral suasion, ultimamente di carattere profilattico e sanitario, a permettere a governi e regimi di esercitare il suo potere intrinseco, inducendo i soggetti vigilati a assumere un comportamento eticamente e socialmente corretto, non ricorrendo direttamente alle potestà che la legge mette loro a disposizione, ma basandosi sull’autorevolezza del proprio status.
Tanto che si fa ricorso a questa forma di pressione quando l’autorità vuole conseguire il raggiungimento di obiettivi non sempre compatibili con le carte costituzionali o quando non possiede la competenza o la funzione regolamentare per adottare i provvedimenti del caso e agisce, appellandosi a personalità, dottrine, pareri scientifici e tecnici, tramite un consiglio autorevole anziché tramite un comando a carattere imperativo. E lo sappiamo bene per aver visto un Presidente del Consiglio “raccomandare” attitudini e atteggiamenti consoni al momento grave, sia pure per Dpcm.
Tanto che l’app Immuni è stata vivamente consigliata e non resa obbligatoria, in modo tra l’altro da attribuirne il fallimento agli intemperanti sciagurati che non l’hanno scaricata, proponendola come un atto di civiltà e solidarietà, indifferenti agli effetti che l’uso maldestro avrebbero avuto sui malcapitati viaggiatori per lavoro su una metropolitana e su un bus affollato, sulla evidente impossibilità di effettuare un tracciamento efficace, condannando lavoratori in attesa del tampone peraltro inattendibile, a quarantene e sospensioni contrattuali.
Tanto che adesso c’è un fervore nel dichiarare che il vaccino verrà somministrato su base unicamente volontaria, come è d’obbligo in un paese democratico dove vige lo stato di diritto. Salvo renderlo di fatto obbligatorio, inevitabile, ineludibile infliggendo l’ostracismo a chi non vi si sottopone, instaurando un regime di certificazione tramite patentino che condanna a discriminazione chi, compreso Crisanti? conserva dubbi sulla effettiva efficacia.
E non basta, vengono fatti entrare in gioco testimonial e ripetitori del messaggio di doverosa coscienziosità che reclamano penalizzazioni acconce e castighi esemplari per i trasgressori e invece una forma di tesseramento per i militanti dell’immunoprofilassi che permetta solo a loro la frequentazione esclusiva, parola di Alessandro Gassman, di “ristoranti, bar, cinema, teatri, stadio, negozi, autobus, taxi, treni, e poi vedi che tutti lo fanno».
Beati i tempi in cui certi cretini si potevano liquidare chiedendosi chi li avesse pagati per proferire baggianate degne del Mago Otelma, di Vanna Marchi, di sindacalisti di polizia che vendono amuleti, del microfascismo che vige in Italia trasferito dai bar e dagli scompartimenti ferroviari ai social. Macché, è peggio di così, l’adesione alla retorica delle delega in bianco ai poteri, politici, tecnici, scientifici, dell’obbedienza e del conformismo che sortiscono anche l’effetto non secondario di regalare venti secondi di visibilità, la possibilità di rivendicare una superiorità morale a poco prezzo, valgono il cachet di un spot, di una soap in Rai o Mediaset, che tanto è lo stesso.
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