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La cura per il covid 19 esiste
Essa è semplice, si realizza con farmaci tradizionali. È tutt’altro che costosa. Se applicata con la giusta tempistica è in grado di salvare vite umane. Piuttosto
che il lockdown bisogna, finalmente, mettere in grado i medici di base
di somministrarla capillarmente su tutto il territorio nazionale.
La corretta terapia domiciliare, somministrata precocemente
all’apparire dei primi sintomi è stata sinora negata dalle linee guida
ufficicialmente riconosciute. Eppure tale pratica risparmierebbe i
pericolosi affollamenti nei pronto soccorso, nei reparti covid e nelle
terapie intensive.
Il corretto trattamento domiciliare precoce (tdp) è, infatti, in grado
salvare vite umane in modo diretto ma anche indiretto, lasciando liberi
gli ospedali per il trattamento delle altre consuete patologie (vedi il
mio Gli assembramenti più pericolosi si verificano nei pronto soccorso e negli ospedali).
La tensione e le energie impiegate nella propaganda dell’emergenza
sanitaria si sono tuttavia concentrate quasi esclusivamente sulla scarsa
capacità di ricezione del sistema ospedaliero rispetto alla dinamica di
diffusione del covid tra la popolazione e in particolare sulla mancanza
di un sufficiente numero di posti in terapia intensiva.
Tale deficienza a fronte della rapidità di crescita della diffusione
della patologia ha giustificato le segregazioni totali e parziali a cui
siamo stati costretti nel corso della prima e della seconda ondata
malgrado esse abbiano comportato la danosissima paralisi di gran parte
della vita sociale ed economica del Paese.
Rianimazione ed intubazione rappresentano però il fallimento della cura.
La corretta terapia domiciliare precoce essendo in grado di
circoscrivere l’evoluzione della patologia, nella quasi totalità dei
casi, alla prima fase, quella virale. I pazienti correttamente e
tempestivamente assititi evitano di passare alle fasi successive della
patologia, via via sempre più critiche e dispendiose dal punto di vista
della natura degli interventi terapeutici necessari e della loro
probabilità di successo.
Agli inizi si è tardato ad individuare la giusta modalità di intervento anche a causa della disincentivazione alla pratica delle autopsie (OMS e ministero della sanità); si è così perso tempo prezioso. Tuttavia a marzo i nostri medici avevano già concepito, quale efficace strategia di intervento, una terapia domiciliare precoce a base di antinfiammatori fans, antibiotici, idrossiclorochina ed eparina (cortisone nella eventuale seconda fase), plasmaimmune quando necessario. Precoce, perché era subito stato chiaro quanto fosse decisiva la tempestività dell’intervento. Si vedano a tal proposito la call conference del dott. Pierluigi Viale sulla patogenesi del covid-19 e le relative indicazioni terapeutiche
Si vedano anche le testimonianze dei medici Claudio Puoti, Salvatore Spagnolo, Luigi Cavanna, e altri nonché le relative richieste dirette al ministero della sanità e al governo per implementare tale modalità di intervento a livello nazionale.
La praticabilità della terapia domiciliare precoce
Ad ogni medico di base sono affidati un massimo di 1500 pazienti. Come
si sa, essi sono capillarmente presenti su tutto il territorio
nazionale.
Gli italiani venuti ufficialmente in contatto con il virus, i cosiddetti casi, sono ad oggi 1,5 milioni1
su sessanta milioni di abitanti, ossia il 2,5% della popolazione. Il
2,5% di 1500 fa 37,5 ossia una media di circa 40 pazienti che ogni
medico ha dovuto, ad oggi, gestire per ragioni legate al covid; ma
attenzione, l’80% di questi non necessita di cure essendo asintomatico.
Il 20% di 40 sono pari ad una media di 8 pazienti con sintomi affidati
ad ogni medico di base.
Certamente la distribuzione dei casi e degli ammalati non è stata
uniforme. Alcuni medici, tuttavia, sono stati in grado di assitere e
curare sino a 300 pazienti covid già nella prima fase e con grande
successo (praticamente nessuno dei pazienti trattati in tdp è finito in
ospedale).
Le unità speciali di continuità assistenziale USCA sono state pensate ed attivate per intervenire laddove necessario ad affiancare i medici di base.
I medici che hanno concepito e sperimentato con successo la corretta terapia domiciliare precoce (tdp) sono stati tuttavia frustrati nelle loro richieste. vedi ANSA ROMA, 13 novembre 2020.
Il protocollo per le cure a casa, messo a punto dal gruppo di lavoro del
Ministero della Salute, infatti, non prevedendo l’uso di antibiotici,
antinfiammatori e cortisone, e impedisce la somministrazione di
idrossiclorochina ha seminato sconcerto tra quei medici di famiglia che
avendo sperimentato con successo la tdp avevano chiesto che fosse
ufficializzata perché si potesse più adeguatamente diffonderne la
pratica su tutto il territorio nazionale con l’aiuto decisivo del
ministero ma all’uscita di quel protocollo si sono immediatamente resi
conto che la loro esperienza di cura sul campo era stata completamente negata. Non ne hanno, infatti, condiviso le indicazioni terapeutiche: “Nessuno ci ha interpellati”.
In pratica il protocollo ufficiale prevede paracetamolo (tachipirina)
per i sintomi febbrili, antinfiammatori solo se il quadro clinico del
paziente inizia ad aggravarsi, cortisone solo in emergenza.
Nessun antireumatico (idrossiclorochina), nè antibiotici. Eparina solo per le persone che hanno difficoltà a muoversi.
Ascoltiamo, a tal proposito, lo sfogo del dott. Stefano Manera all’indomani della diffusione del protocollo per le cure a casa:
Una notizia degna di un venerdì 13 di un anno bisestile che sarà ricordato a lungo.
Come sapete uso da sempre la prevenzione e la medicina “non convenzionale” per curare me stesso e gli altri, tuttavia sono certo che sia indispensabile che un medico conosca e sappia utilizzare bene tutte le risorse terapeutiche a disposizione, con i giusti criteri e i giusti tempi.
Da mesi diciamo e scriviamo quanto sia fondamentale l’utilizzo di cortisone, antibiotici ed eparina anche precocemente nel trattamento della malattia.
Ci sono studi che ne dimostrano l’efficacia e l’utilità per salvare molte vite.
Qui emerge, nero su bianco, che c’è una volontà precisa di non fornire le cure idonee durante l’assistenza domiciliare.
Ci dicono l’esatto contrario: niente antibiotici e cortisone, che fino all’anno scorso venivano prescritti a tutti, da tutti i medici, per ogni banale influenza!
Non parliamo dell’idrossidoclorochina e del plasma iperimmune che fin da subito, sono stati banditi dai piani terapeutici con la scusa della pericolosità degli effetti collaterali, convincendo rapidamente tutti.
Il ruolo del tampone
L’attesa del tampone, anche 10 o più giorni, in presenza della sintomatologia da covid, quasi del tutto sovrapponibile a quella influenzale, insieme al suo mancato trattamento, rimandato sino alla disponibilità dell’esito del tampone, ha fatto il resto impedendo il trattamento precoce del paziente fin dalla prima fase, quella prettamente virale, in cui si rivela decisivo l’intervento farmacologico tempestivo del medico di base in grado di bloccare la deriva del covid verso le pericolose fasi successive.
L’drossiclorochina (plaquenil), insieme all’eparina (clexane) (+ antibiotico), finché ne è stato consentito l’uso, sono stati i farmaci decisivi, il cui uso, nella terapia domiciliare precoce (all’apparizione dei primi sintomi), ha evitato il ricovero e l’aggravamento dei pazienti covid. Viceversa, la prolungata attesa dell’esito del tampone, in presenza dei sintomi lievi della prima fase, trattati con paracetamolo (tachipirina), hanno garantito (provocato) il peggioramento e la transizione della malattia alle sue fasi successive, necessitanti ricovero ospedaliero e nei casi più sfortunati terapia intensiva… Tutto questo è noto sin dalla seconda metà dello scorso marzo, ma le richieste di migliaia di medici sono rimaste inascoltate e anzi l’AIFA ha proibito l’uso della idrossiclorochina e ribadito quello assai controverso della tachipirina. Si ascolti a tal proposito la testimonianza seguente del dott. Andrea Mangiagalli
Tutti sappiamo quanto sia stata decisiva l’incremento della curva dei “casi” a legittimare e conclamare la seconda ondata con conseguente necessità di paralizzare nuovamente la vita del paese. Si continua tuttavia a negare l’inattendibilità del tampone rispetto alla veridicità dei risultati diagnostici che restituisce e questo malgrado il pronunciamento dell’ISS e la letteratura scientifica di settore che ne hanno decretato la fallacia (vedi il mio Dubbi da tamponare).
A tale proposito si veda
L’inaffidibabilità è stata certificata dalla Commissione europea e dall’ISS (procurano fino al 95% dei falsi positivi secondo l’Istituto Superiore di Sanità). Sono stati ipotizzati i reati di truffa aggravata, procurato allarme, falso ideologico e omicidio colposo.
1 casi confermati e casi probabili
integrazioni successive presso
https://www.francescocappello.com
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