domenica 29 novembre 2020

Vaccini: vietato dissentire?

Il nostro nemico è dunque il dissenso? Il dubbio, il pensiero critico. Perfino la prudenza, virtù cardinale, è ormai sospetta.

 

 

 

Tutto il sistema, a partire dal Capo dello Stato, ripete il mantra per cui «il nostro nemico è il virus». Solo apparentemente un’ovvietà: perché ne discende che dobbiamo «essere uniti», e che «non è il tempo delle polemiche». Manifestare, del resto, è ora proibito per legge: per quanto ancora? (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/11/05/manifestare-e-un-diritto-soprattutto-nei-momenti-difficili/)

Del resto – nella sparizione assoluta di ogni sinistra, anche solo teorica – lo spazio del dissenso sembra tutto riempito, nel peggiore dei modi, dai mentecatti negazionisti, fascisti o fascistoidi. Una manna, per il pensiero unico: perché se il dissenso è quello, chi potrebbe aver voglia di dissentire?

Il campo più interdetto al dissenso è naturalmente quello dei vaccini: e anche in questo caso la presenza dei demenziali no vax è perfetta per sterilizzare i dubbi seri. Quelli necessari. Perché, come ha ricordato Gianni Tognoni su questo sito: «Un vaccino che ancora non esiste come prodotto, che potrà essere una risposta (tra le tante che arriveranno, senza confrontabilità, da tanti concorrenti) ampiamente accessibile tra mesi-anni (non si sa a che costi, se come bene comune o di arricchimento inaudito, secondo i miliardi di vaccinati): questa realtà tanto al confine del virtuale in termini di risposta ai diritti fondamentali di vita e di trasparenza democratica, e tanto reale nel far coincidere promesse e immaginari con “salti” globali dell’economia, dice molto bene che cosa è in ballo anche in questa “seconda ondata”» (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/11/11/lockdown-vaccini-promessi-e-informazione-negata/).

E infatti, chi dissente viene sorvegliato, e punito. La violenza delle reazioni ai perfino timidi dubbi espressi da Andrea Crisanti sulla corsa al vaccino è un esempio eloquente di questo metodo: «Crisanti è un no vax», ecco la prontissima scomunica fioccata da colleghi scienziati, da politici, da giornalisti indignati. Esattamente nelle stesse ore, usciva l’editoriale del numero 396 di The Lancet, autorevolissima rivista medica (una delle prime cinque del mondo), dal titolo Covid-19 vaccines: no time for complacency. Ne traduco qualche passaggio:

«Sfortunatamente, i risultati delle sperimentazioni sono stati annunciati attraverso comunicati stampa, lasciando così molte incertezze scientifiche sull’impatto che i vaccini avranno sul corso della pandemia. Sono disponibili pochi dati sulla sicurezza. Non è ancora chiaro quanto i vaccini agiscano nelle persone anziane, o in quelle con comorbilità, e la loro efficacia nella prevenzione di malattie gravi. La pubblicazione peer-reviewed dovrebbe risolvere questi problemi, ma per qualche tempo non sarà possibile rispondere ad altre domande. […] Non è chiaro nemmeno se i vaccini prevengono la trasmissione di SARS-CoV-2 o se inibiscono lo sviluppo della malattia. In quest’ultimo caso, il raggiungimento dell’immunità di gregge attraverso l’immunizzazione diventerebbe una prospettiva difficile. Pfizer e Moderna insieme prevedono che ci sarà abbastanza vaccino per 35 milioni di individui nel 2020, e forse fino a 1 miliardo nel 2021. Di conseguenza, molti milioni di persone ad alto rischio di malattia non saranno immunizzati presto, rendendo necessario l’uso continuato di interventi non farmaceutici. Esiste il pericolo che l’opinione pubblica diventi compiacente, in seguito all’annuncio di vaccini promettenti, ma bisogna chiedersi quanto diventerà difficile garantire l’aderenza alle linee guida e alle restrizioni della libertà quando un vaccino sarà disponibile per molti ma altri rimarranno non protetti. La contrarietà ai vaccini è una chiara minaccia per il controllo del Covid-19. Nuovi dati mostrano che la disponibilità a prendere un vaccino Covid-19 è tutt’altro che universale. In una situazione in cui indossare una maschera per il viso può essere rappresentato come un atto politico piuttosto che come una misura di salute pubblica, una leadership responsabile e un’attenta comunicazione pubblica saranno essenziali. […] Molte persone si sentono piene di speranza per la prima volta da molto tempo. Ma c’è ancora molto da imparare, e molte barriere da superare. Il 14 novembre, 5 giorni dopo l’annuncio di Pfizer, sono stati registrati 663 772 nuovi casi di Covid-19, il maggior numero in un solo giorno. È un momento pericoloso per essere compiacenti». 

Il monito di Lancet è molto chiaro: abbiamo bisogno di un’opinione pubblica reattiva e critica, non di una compiacente e vacuamente ottimista.

Il rischio è evidente, e non solo per i danni diretti: se i vaccini risulteranno non credibili (per esempio per effetti collaterali non previsti, su larga scala) il crollo della fiducia potrebbe non essere recuperabile. In altri termini: il susseguirsi degli annunci clamorosi, e le professioni di fede dei governi possono innescare una rincorsa che, travolgendo i livelli minimi di cautela e sicurezza, porti a un vaccino-boomerang. Il che avrebbe conseguenze incalcolabili.

Ma, si ripete, bisogna fidarsi delle grandi case farmaceutiche e del controllo degli organi statali, quelli americani ed europei soprattutto.

Purtroppo, non è facile nutrire una simile fiducia. Già all’inizio di settembre, Andrea Capocci aveva rammentato, su il manifesto, le caratteristiche speciali che assume il rapporto tra case farmaceutiche e poteri pubblici sotto la pressione da Covid:

in cambio di vaccini disponibili in grande quantità e a costi accessibili, le società farmaceutiche chiedono che l’Unione europea si faccia carico degli eventuali indennizzi nel caso i vaccini si mostrassero poco efficaci o insicuri e dessero vita a contenziosi legali. Lo rivela un documento firmato da Vaccines Europe, l’associazione delle società farmaceutiche del settore, svelato dal Financial Times nei giorni scorsi. «La velocità dello sviluppo e della distribuzione (dei vaccini anti-Covid, ndr) implicano l’impossibilità di produrre le evidenze scientifiche che normalmente si ottengono attraverso studi clinici approfonditi ‒ si legge nel documento ‒. Questo crea un rischio inevitabile. Alcune persone probabilmente subiranno effetti collaterali dopo la vaccinazione». La logica conclusione è messa nero su bianco dalla lobby: «chiediamo un’esenzione dalla responsabilità civile per garantire che tutte le parti siano protette da rischi finanziari dirompenti e rovinosi derivati da eventuali cause legali».

Del resto, Pfizer ha una storia eloquente: avendo accettato di versare la multa astronomica di 2,3 miliardi di dollari – circa 1,6 miliardi di euro – per aver violato le prescrizioni degli organi americani di controllo sulla commercializzazione di alcuni farmaci. E il fatto che il CEO di Pfizer, Albert Bourla (un cognome che introduce, per il lettore italiano, l’immancabile nota tragicomica), abbia venduto 132.508 azioni della colossale azienda che dirige, per un controvalore di 5,56 milioni di dollari, il giorno stesso dell’annuncio che il ‘suo’ vaccino sarebbe efficace per il 90%, rende plasticamente chiaro che la posta in gioco non è (o almeno non è solo) la soluzione alla pandemia.

Quando Andrea Crisanti dice che non bisogna essere compiacenti con la corsa al vaccino dice una cosa sacrosanta. La pressione dei governi sugli organismi scientifici e su quelli di controllo è fortissima, e gli accordi legali prevedono che i dati grezzi (gli unici controllabili e verificabili in sede scientifica) della ricerca che porta ai vaccini saranno disponibili solo dopo che milioni, forse miliardi, di persone lo avranno assunto. In questa situazione il dubbio, la prudenza e il dissenso possono salvare molte vite.

Se il pensiero critico è, come credo profondamente, il principale vaccino contro la credulità e l’interesse privato, bisogna tristemente riconoscere che in questo momento, seppure con le migliori intenzioni, quasi tutta l’informazione, e tutta la politica, sono convintamente no vax.

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