Sono le “sentinelle dello smart worker”, quelle che controllano - col fucile spianato dall’altra parte dello schermo - che il lavoratore da remoto sia costantemente produttivo. Si tratta delle app per il controllo a distanza dei dipendenti e negli Stati Uniti sono sempre di più: si va da quelle che comunicano ai capi dati sui siti web consultati a quelle che fanno gli screenshot delle schermate. E ora ci si mette anche Microsoft: un nuovo tool, chiamato Productivity Score, annunciato durante la conferenza annuale degli sviluppatori, mostra ai datori di lavoro come i propri dipendenti utilizzano i servizi di Microsoft 365 come Outlook, Teams, SharePoint e OneDrive. Ma può esistere uno smart working senza controllo sulla vita delle persone? Secondo Michel Martone, giurista e accademico, autore del libro “Il lavoro da remoto - Per una riforma dello smart working oltre l’emergenza”, sì: “Il datore di lavoro ha bisogno di controllare - spiega ad HuffPost - ma dovrebbe controllare i risultati del lavoro, non la persona”.
Secondo un’analisi di Market Research Future, il settore del monitoraggio del posto di lavoro dovrebbe crescere fino a raggiungere un mercato da 3,84 miliardi di dollari entro il 2023. Le aziende, sentendo il bisogno di garantire che la produttività non diminuisca durante il lavoro da casa, si rivolgono a società come ActivTrak , Hubstaff e InterGuard, che acquisiscono schermate dei computer dei lavoratori e catalogano per quanto tempo i dipendenti utilizzano determinati programmi. Alcuni di questi programmi, come Teramind, consentono ai datori di lavoro addirittura di guardare in tempo reale cosa fanno i lavoratori sui loro schermi, comprese le loro pubblicazioni sui social.
L’ultima polemica riguarda l’introduzione del tool di Microsoft, che apre una finestra sul mondo privato del dipendente: consente ai capi delle aziende che abilitano lo strumento, di scoprire, ad esempio, il numero di ore che un dipendente ha trascorso in riunioni su Microsoft Teams negli ultimi 28 giorni o di conoscere il numero di giorni in cui una persona è stata attiva su Microsoft Word, Outlook, Excel, PowerPoint, Skype e Teams nell’ultimo mese e su quale tipo di dispositivo. I datori di lavoro possono persino vedere il numero di giorni in cui una persona specifica ha inviato un’e-mail contenente una menzione @ o il numero di volte in cui la videocamera è stata accesa nelle riunioni. Microsoft nega che lo strumento serva per controllare i dipendenti ma la sua introduzione ha comunque scatenato un dibattito sulla privacy e sulla legittimità dell’esistenza di un simile riflettore sulle abitudini dei lavoratori.
Il dibattito smart working - controllo è infuocato. Un articolo pubblicato dal Wall Street Journal e intitolato “Three Hours of Work a Day? You’re Not Fooling Anyone” (“Tre ore di lavoro al giorno? Non stai prendendo in giro nessuno”) racconta i risultati che hanno ottenuto le aziende con l’utilizzo di uno di questi software di controllo dei dipendenti: ActivTrak. Tra i dati che raccoglie ActivTrak per misurare l’attività lavorativa dei dipendenti ci sono nomi utente, barre del titolo dell’applicazione, URL del sito Web consultato, durata dell’attività, schermate, tempo di inattività e attività USB. Brian Dauer, direttore della Ship Sticks, a West Palm Beach, in Florida, compagnia che trasporta equipaggiamenti sportivi e altri bagagli, ammette al Wall Street Journal di iniziare ogni giornata leggendo il report sui suoi dipendenti: “Se qualcuno sta navigando su ESPN.com per cinque minuti, lo vedremo. Il software tiene traccia di ogni piccola cosa che accade sul computer”, ha affermato. Ma quali risultati ha dato questa pratica del monitoraggio? Risultati ottimi, a quanto pare, perché Ship Sticks ha avuto una crescita costante, oggi conta circa 80 dipendenti, e tutto ciò, secondo il suo direttore, è dovuto al controllo perenne del lavoro degli impiegati. Anche Sagar Gupta, vicepresidente esecutivo di Biorev, una società di visualizzazione 3D con sede a Dallas, è della stessa opinione: nel 2016 si è affidato a ActivTrak e ha scoperto che i suoi dipendenti lavoravano solo tre ore al giorno. Il controllo, in qualche modo, è stata la sua salvezza.
“Dall’inizio della pandemia, la richiesta per le nostre tecnologie è triplicata”, ha affermato Brad Miller, CEO di Awareness Technologies, a NPR, all’interno di un articolo intitolato “Your Boss Is Watching You: Work-From-Home Boom Leads To More Surveillance” (“Il tuo capo ti sta guardando: il boom del lavoro da casa ha portato ad una maggiore sorveglianza”). Il loro software InterGuard permette di monitorare tutte le attività che vengono svolte su un pc, assegnando poi a ogni impiegato un “punteggio di produttività”. Va peggio - per i dipendenti - con un altro software di punta, Time Doctor, che invia “alert di distrazione” se l’utente risulta inattivo oppure passa troppo tempo su siti considerati poco produttivi quali Youtube, Facebook o Netflix. Il software può anche scattare e condividere screenshot dello schermo, per controllare l’attività del dipendente in ogni momento.
Dalla raccolta dei dati sui clienti, insomma, le aziende stanno passando alla raccolta dei dati sui lavoratori. Già nel 2019 il Wall Street Journal denunciava il fenomeno, riportando un sondaggio della società Gartner: “Di aziende con sede negli Stati Uniti, in Europa e in Canada, il 22% dei datori di lavoro intervistati dichiara di raccogliere dati sui movimenti dei dipendenti, il 17% raccoglie dati sull’utilizzo del computer di lavoro, il 13% raccoglie dati sull’addestramento dei dipendenti e il 7% tiene sotto controllo le e-mail degli impiegati”. Oggi, con la pandemia e il lavoro da remoto sempre più diffuso, la pratica del controllo stretto e costante è in crescita.
Ma qual è la situazione in Italia? Come spiega Michel Martone, il controllo da parte del datore di lavoro nel nostro Paese è tollerabile fin quando non è lesivo delle prerogative della persona. L’uso di questi software, che fanno screenshot delle interazioni sui social o delle schermate del computer, non è consentito. Tuttavia è necessario disciplinarne l’uso: “Ci troviamo nel solco di una nuova frontiera - afferma -. Le vecchie leggi funzionano male, abbiamo bisogno di nuovi sistemi di tutela sia per i dipendenti sia per i lavoratori. Il lavoro da remoto può essere più produttivo, ma occorre disciplinarlo. E disciplinare anche il diritto alla disconnessione”.
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