lunedì 30 novembre 2020

Maradona, l’idolo che girava senza soldi era una leggenda già da vivo.

Il poliziotto che lo arrestò: «Coglione, eri l’idolo di mio figlio» Diego replica: «coglione, l’idolo di tuo figlio dovresti essere tu».


infosannio.com (DANILA APREA – quotidianodelsud.it) 

Le janare riconoscono gli dei. E allora mi reco al tempio che si erge sui quartieri spagnoli dedicato all’idolo della città. Mi accompagna Simone, lascia il salone di parrucchiere. Montiamo sul motorino. Simone non mi parla più di crisi. Mi parla di suo padre Lino e delle sue videocassette sulla storia di Maradona. Stiamo cambiando. Lo comprenderò più avanti.

Non ho il casco, esattamente come accadeva nell’87. Eravamo in tre: un milanese, la figlia dell’Avvocato ed io su una moto enduro di cilindrata 50. Liceo classico. Maradona ci regala il primo scudetto. Il milanese era il mio fidanzatino e per definizione doveva tifare per il Napoli. Tutti e tre in moto guidata dal milanese, senza casco, facciamo la cosa più selvaggia e perseguibile che un essere civile possa commettere: saliamo sui gradini di un monumento, la Galleria Umberto I, per superare il traffico: Napoli festeggiava Maradona, El pibe de oro. Con l’enduro guidato sempre dal milanese slittiamo e caschiamo nell’orinatoio tipico degli angoli dei monumenti. E lì che ho capito che fosse amore vero: ero felice lo stesso. Rientriamo a casa dopo non so quante ore di canti e sorrisi rivolti al cielo. Nell’androne del mio palazzo la mia amica ed io cerchiamo di pulirci alla meglio utilizzando la fontana della casa del portiere. Temevamo di cascare questa volta sotto le grinfie dei genitori, così conciate. Ecco perché non ho dubbi che amassi quell’uomo …MARADONA ..intendo

E ancora il dieci è stata inaspettatamente una gentile concessione sulla mia maglia di un altro campo quello della virtus SR basket il cui titolare è paradossalmente juventino.

Il fattore identitario di Diego Armando Maradona non riguarda solo una città o un popolo; ha cause più profonde e storiche.

L’emancipazione sociale di Diego Armando Maradona ha radici ben lontane che risalgono alla Football Association, il 26 ottobre 1863, in Inghilterra.

Era l’epoca vittoriana dove l’èlite si contrapponeva ai movimenti sociali deputati a migliorare le condizioni di vita delle classi meno agiate obbligate in un sistema di stratificazioni sociali poco flessibile.

Gli appartenenti all’èlite inglese, credevano come sottolineò Bayley, nel 2008, in Victorian Values: An Introduction di essere nati per governare per diritto divino. Era una visione paternalistica della società, vedendosi come i padri di famiglia del popolo tutto. Noblesse oblige era il loro ora pro nobis come pure il “dovere” dell’élite di occuparsi della società.

I rappresentanti di 8 associazioni sportive uniti da spirito democratico e ugualitario si riunirono nella Freemason’s Tavern per dar vita alla Football Association a dispetto dell’élite che trovava indecoroso che il calcio fosse giocato anche dai poveri cristi.

Il vero riscatto arrivò con Maradona il 22 giugno 1986 ai quarti di finale dei Mondiali con un suo goal supportato dalla mano de dios, proprio contro l’Inghilterra e contro quell’élite con il suo diritto derivato da Dio di governare e considerare appunto il calcio come degno di essere giocato solo dalla Camera dei Lord.

Sarà proprio una coincidenza storica se questo Dio, Maradona, che con la sua mano de dios, starà varcando in queste ore l’Eliseo, luogo beato non sempre legato ai meritevoli come quando Omero nell’Odissea annuncia che Menelao è destinato ai Campi Elisi, in quanto marito di Elena figlia di Zeus.

Il mito di Maradona per questo e per la sua umanità ha caratteri universali. Ed era leggenda già in vita.

Come quando si rifiutò di andare dagli Agnelli perché non avrebbe potuto indossare in Italia altra maglia se non quella del Napoli. E proprio quella famiglia l’ha pianto senza remore in questi giorni.

La sua ragion d’essere si manifesta nel calcio e nella sua radice drammaticamente individuale che però riesce miracolosamente a fare comunità persino a Napoli. Ecco perché è amato in tutto il mondo. L’universalità è tipica degli dei e i napoletani lo sanno bene. Non è un caso che anche Dio non può sottrarsi alla contrattazione nel centro storico di Napoli. Anche Dio si deve conquistare il trapasso in cielo dei napoletani. Il riconoscimento, qui, te lo devi conquistare. Non devi tradire. Una promessa è una promessa. Devi soprattutto saper amare. Devi essere umile. Individualistico, ma umile. Senza timore della verità. E il connubio tra i napoletani e Diego è rafforzato paradossalmente proprio quando lui stesso inverosimilmente viene tradito nella sua più grande debolezza: la cocaina. Ma Dio sa perdonare. E lui perdona quel popolo notturno che lo liberava solo di notte perché di giorno non riusciva neanche a mettere la testa fuori dalla sua porta di casa. E si sa .. di notte s’incontrano i lupi. Ma lui sa perdonare perché è perdonato continuamente in campo con la sua tecnicalità assolutamente individuale.

Fa un gioco che prescinde da tutti, ma tutti lo supportano in campo perché è un compagno umile. Non contesta. Non critica e non punta il dito contro nessuno e allora tutti i compagni di squadra convergono verso il suo gioco talentuoso. Jorge Valdano, suo ex compagno di squadra, dichiarò: quando un uomo sta facendo la storia niente e nessuno può interferire.

Da Sepulveda a Galeone viene descritto come “il più umano degli dei”. Il dio sporco. Il talento e l’individualismo sono inaccettabili perché troppi, ma l’umiltà e la compassione lo fanno vincere. È tutto e il contrario di tutto. E da queste parti, a Napoli, regna l’individualismo; non siamo capaci di comunità. La storia insegna mi viene da pensare a tutta l’anima produttiva che per difendersi dai cosiddetti “aristocratici” non si è mai barricata in corporazion

È per questo che possiamo amare solo i leader fortemente individuali; ma lui, rispetto agli altri, ha l’umiltà che lo rende divino. E a Kusturica nel suo film documentario del 2008: Emir, sai che giocatore sarei stato se non avessi tirato cocaina? E poi aggiunge: che giocatore ci siamo persi! Mi resta l’amaro in bocca”. E in quel “Ci siamo persi” c’è il legame con gli altri. C’è tutto il dio umile e la sua sincerità disarmante.

Maradona era e resta il genio sregolato; un tripudio di amore, dolore, sofferenza, forza e sensibilità, la sua eternità viene fuori ad ogni occasione, come nel 2002, quando da Vespa a Porta a Porta dichiarò candidamente che era stato ricoverato in ospedale per dipendenza da cocaina e non obesità e quando nella stessa trasmissione una giornalista gli chiese di fare un appello per i ragazzi contro le droghe, lui rispose che sarebbe stato un bugiardo a far credere ai ragazzi che c’era un interesse reale della società a volerli far uscire davvero da quella dipendenza. O prima ancora nel 1991 durante il suo arresto al poliziotto che gli disse “coglione, eri l’idolo di mio figlio”, lui rispose: coglione, l’idolo di tuo figlio dovresti essere tu! Il dio che camminava senza soldi in tasca e senza carte bancarie. Come se tutto gli fosse dovuto perché gli dei vanno omaggiati e celebrati in ogni istante. Aveva un rapporto con i soldi un po’ magico. La moneta si smaterializzava e si dissolveva quando passava lui. Come oggi, in questa pandemia; nella prima parte la preoccupazione principale era l’economia e i soldi, mentre oggi, in questa seconda fase, l’umanità ha compreso che siamo su un altro piano: la vita prima di tutto. Ci doneranno condoni fiscali, abbiamo assunto. Dei soldi nel senso materiale, ….evitiamo di parlare.

Nessun commento:

Posta un commento