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La lotta al Covid-19 è anche una battaglia tra farmaci: remdesivir e idrossiclorochina. “Costoso forse inutile” il primo ed “economica forse utile” la seconda, definizioni date da “L’antidiplomatico” che ha riassunto in un recente articolo le vicende di questi ultimi mesi di dibattito scientifico.
Ma le polemiche non si placano e anzi, proprio in questi giorni, la narrazione si arricchisce di nuove interessanti informazioni, come lo studio del professor Alessandro Capucci, cardiologo già primario a Piacenza e ex direttore della clinica di cardiologia di Ancona.
Questo studio potrebbe essere particolarmente significativo proprio perché è stato condotto da un cardiologo che, con tanto di prove, sembrerebbe appunto essere riuscito a smontare l’asserita dannosità della clorochina per l’apparato cardiocircolatorio, oltre a dimostrare – dopo che già altri medici lo hanno fatto (il più noto tra tutti è il dottor Luigi Cavanna) – che la via delle terapie domiciliari è quella giusta: non solo per curare efficacemente e guarire i malati, ma anche per evitare sovraffollamenti negli ospedali.
Ecco dunque l’intervista al professor Alessandro Capucci pubblicata da “La Nuova Bussola Quotidiana”, contiene diversi spunti di riflessione.
di Andrea Zambrano, lanuovabq.it
Un appello a tutti i presidenti di Regione affinché promuovano le terapie domiciliari utilizzando l’idrossiclorochina. È quello che diversi medici stanno lanciando in queste ore dopo essersi messi insieme e aver condiviso le loro rispettive cure con pazienti covid. Si torna a parlare di idrossiclorochina, il farmaco della discordia, il ritrovato “del passato” che è stato messo in quarantena dall’Aifa proprio quando il suo utilizzo stava decisamente decollando per debellare il covid. Nonostante lo stop, molti i medici hanno continuato in questimesi con le ricerche e le cure.
Anche Alessandro Capucci, cardiologo già primario a Piacenza e ex direttore della clinica di cardiologia di Ancona. Il suo appello si basa su uno studio condiviso con altri medici che nel riminese hanno curato 350 pazienti con idrossiclorochina (HCL). (Leggi QUI lo studio)
Con quali risultati, professore?
Su 350 pazienti trattati, 76 hanno ricevuto una combinazione di HCL e
azitromicina (antibiotico), i restanti 274 hanno ricevuto solo
l’idrossiclorochina. Ebbene, soltanto in 16 sono entrati in ospedale
(poco più del 5%), non in terapia intensiva. Appena un 2,9% ha avuto
complicazioni come disturbi gastrointestinali, ma nessuno – e dico
nessuno – ha avuto problemi di sincopi, aritmie o morte improvvisa.
E questo che cosa significa?
Che l’Aifa deve rivedere il suo giudizio sull’idrossiclorochina e
permettere il suo reinserimento immediato nei protocolli di cura.
Ma c’è solo il suo studio.
No, c’è un utilizzo sempre più massiccio da parte di medici ospedalieri
e di base. Inoltre c’è una coincidenza incredibile con il lavoro di
un’altra collega che utilizza l’idrossiclorochina, la dottoressa Paola
Varese dell’ospedale di Ovada, Alessandria.
Sì, è una delle artefici del protocollo domiciliare della Regione Piemonte.
Esatto, e anche lei ha avuto la stessa percentuale di successi. È un
dato importantissimo perché se c’è una sovrapposizione così stringente
tra due ricerche significa che siamo sulla strada giusta.
In sostanza, che cosa dicono i vostri studi?
Che se tratti i pazienti a domicilio ai primi sintomi influenzali –
ribadisco ai primi sintomi -, con idrossiclorochina, hai il 95% di
guarigioni a domicilio. Questo sarebbe fondamentale in questo momento in
cui stiamo occupando in modo indiscriminato gli ospedali con pazienti
covid positivi a scapito di pazienti che hanno altre patologie e non
possono essere trattati
Facciamo un passo indietro. L’uso dell’idrossiclorochina nella patologia da covid 19 è stato proibito…
Più che proibito, sconsigliato dall’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco)
in accordo con l’OMS e l’EMA (Agenzia Europea dei Medicinali).
Sono agenzie autorevoli, però. Crede che si siano tutti sbagliati?
Per la verità hanno poi ammesso di essersi sbagliati. Ma bisogna capire che cosa è successo.
Cioè?
Mi spiego: l’Aifa ha tenuto in considerazione solo studi randomizzati pubblicati su prestigiose riviste come il British Medical Journal (BML) e Lancet,
le quali sono abbastanza concordi nel dimostrare un’assenza di
efficacia dell’idrossiclorochina nei pazienti covid. Gli studi come i
nostri o quello pubblicato dalla dottoressa Varese, sono dei “Registri” e
non sono studi randomizzati, quindi non vengono considerati come
scienza.
A questo punto non c’è neanche partita.
Eh no, perché il problema invece è scientifico, di metodo e di risultati. In sostanza non è stato tenuto in considerazione il timing dell’utilizzo
della clorochina nei pazienti covid. Gli studi randomizzati sono stati
effettuati solo su due tipi di popolazione: quelli ammalati che
arrivavano già in ospedale e spesso erano in terapia intensiva, quindi
in uno stadio avanzato della malattia oppure pazienti che ricevevano
l’idrossiclorochina come profilassi, per non ammalarsi di covid.
E in questi casi non ci sono stati risultati ottimali?
Esatto, queste sono due tipologie di pazienti che non hanno avuto
benefici sostanziali dall’uso. Ma si poteva capire facilmente.
Perché?
Perché l’idrossiclorochina non ha un effetto antivirale, ma quello che
viene sfruttato è il suo effetto contro l’evoluzione della “cascata”
infiammatoria, quella in cui l’organismo elabora una tempesta di
citochine, che fa precipitare la situazione. Ecco: la clorochina
impedisce la tempesta di citochine, permettendo così al nostro sistema
immunitario di combattere bene il covid.
Sta dicendo che l’uso dell’HCL è stato bocciato perché considerato in maniera sbagliata?
Esatto, per poter agire al meglio, l’idrossiclorochina deve essere
somministrata subito alla comparsa dei primi sintomi, non in fase
avanzata quando ormai la tempesta è in atto. Il virus infatti provoca un
eccesso di difese dell’organismo che fa precipitare la situazione con
la sindrome da coagulazione intravascolare disseminata.
E per questo serve l’eparina?
Esatto, che va assunta proprio per evitare questo secondo stadio della
malattia, il più pericoloso. Ma la clorochina agisce impedendo questo
scatenarsi della “tempesta”, aiutando il nostro organismo a organizzare
le forze contro il virus.
Nelle osservazioni critiche non c’era anche un problema di contrindicazioni dovute a sovradosaggio del farmaco?
Sì, questo aspetto riguarda la cosiddetta safety (la
sicurezza), non l’efficacia. Praticamente sono stati presi in
considerazione studi che però partivano da una dose di clorochina
eccessiva, noi citiamo un lavoro recente che dimostra come i pazienti
trattati in cronico con HCL, come quelli affetti da artrite reumatoide o
nei casi di lupus eritematoso sistemico, non hanno effetti collaterali. Nei nostri registri, con i dosaggi giusti, non c’è alcun problema di sicurezza.
Ma scusi, oggi il medico può ancora prescrivere idrossiclorochina?
Certo, con una ricetta bianca, ma non con quella mutuabile se la diagnosi è covid.
Perché avete scelto la strada dell’appello politico?
Perché anche l’ultimo incontro informale che abbiamo avuto l’altra sera con l’Aifa (presenti Capucci, la dottoressa Varese, il dottor Mangiagalli e il dottor Cavanna ndr.)
non è andato bene. Non c’è stata disponibilità all’ascolto. Abbiamo
cercato di far capire che è molto difficile, se non impossibile, portare
a compimento uno studio randomizzato in pazienti a domicilio nei primi
giorni della malattia. In America e in molti altri stati non esiste la
rete di medicina territoriale che abbiamo in Italia, ma qui fin
dall’inizio abbiamo impedito ai medici di andare a casa, limitandoci
solo a dirgli di fare wait & see (osservazione e attesa) tranne qualche medico “eroico”.
E ora la rete dei medici si sta allargando?
Assolutamente sì, ci sono moltissimi gruppi di medici che stanno
perorando la causa dell’idrossiclorochina perché hanno visto che
funziona. Il problema sa qual è?
Quale?
Che il covid è una patologia poliedrica, in rapida evoluzione, bisogna applicare un’idea di timing scientifico
che difficilmente si è disposti ad applicare. C’è un fattore decisivo
di tempistica, in questo i mass media non ci aiutano a farlo
comprendere.
Perché?
Perché ormai sappiamo tante cose del covid, a cominciare dal fatto che vive due tipi di stadi.
Stadi?
Sì. Il primo è quello dei classici sintomi influenzali, ma se non lo si
prende in tempo o il nostro organismo non riesce a far fronte a causa
della tempesta sopraggiunta, si passa al secondo stadio. È un passaggio
molto rapido.
Stanno uscendo protocolli che si limitano a parlare di paracetamolo per il primo stadio.
Questa è una follia, me lo lasci dire. Il paracetamolo falsa la lettura dell’evoluzione della malattia.
Si spieghi.
La febbre è una difesa dell’organismo quando viene attaccato da un
agente infettivo. Il paracetamolo abbassa la febbre e i sintomi nel
primo stadio, ma può favorire la diffusione del virus all’interno
dell’organismo: stai meglio, ma intanto la patologia va avanti. Il
paracetamolo ti riduce la capacità di capire l’evoluzione della
malattia.
Eppure, in Lombardia con l’Istituto Sacco è consigliato solo quello?
Ho visto che è il protocollo proposto dal professor Massimo Galli, che
poi proibisce in questa fase l’idrossiclorochina, gli antibiotici e il
cortisone. Lo ritengo errato. Certi virologi mi sembrano loro i veri
negazionisti. Negano che esistano delle cure e che le terapie devono
essere somministrate subito.
Forse c’è un problema di diagnosi?
Sicuramente. Ci siamo affidati troppo al tampone, che spesso è fallace,
ma il tampone non può fare diagnosi, non esiste in nessuna parte nella
Medicina che un tampone costituisca diagnosi. Bisogna tornare a fare
diagnosi partendo dai sintomi e dall’osservazione del paziente.
Abbandonare l’aspetto clinico è stato decisivo per cacciarci nella
situazione attuale.
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