martedì 24 novembre 2020

“C’è bisogno di parole nuove per definire ciò che siamo”. Intervista a Fulvio Grimaldi

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Dopo l’ultima intervista  a Fulvio Grimaldi che tanto interesse aveva suscitato nel nostro pubblico, abbiamo avuto il piacere di ospitarlo nuovamente sugli schermi del dissenso: questa volta, approfondendo uno spunto emerso nell’incontro precedente, abbiamo parlato della storia della sinistra italiana attraverso una lunga cavalcata a briglia sciolta nel Novecento, nelle sue suggestioni e nei suoi fantasmi.

A proposito di quel “Sessantotto lungo una vita” (dal titolo di una delle sue opere), Fulvio Grimaldi non ci sta a buttare il bambino con l’acqua sporca; da protagonista di quell’esperienza come militante di Lotta Continua, parla di “fratture” che sono riuscite “a sporcare una grande esperienza di popolo” e del ruolo giocato da tanti ambigui personaggi che hanno agito da opportunisti o da cavalli di Troia.  Interessante la rievocazione di un episodio in particolare: la scoperta che la tipografia che dava alle stampe il quotidiano Lotta Continua (di cui Fulvio è stato direttore) era di proprietà di tale Robert Cunningham Junior, figlio di un agente Cia di stanza a Roma e legato, a sua volta, al servizio segreto a stelle e strisce.

Passando in rassegna la storia del PCI, Fulvio risale quindi alle origini di quel “tradimento” che si manifesterà attraverso gli “strappi” di Enrico Berlinguer e poi, più compiutamente, con la Bolognina di Occhetto: “la svolta di Salerno” con la quale Togliatti, nell’aprile del ’44, recependo le direttive di Stalin abbandona i propositi rivoluzionari e la pregiudiziale antimonarchica ed entra nel secondo governo Badoglio in qualità di vicepresidente del consiglio. Impietoso è dunque il giudizio sulla strategia della “lunga marcia nelle istituzioni” : “le lunghe marce finiscono nel deserto”. Dopo aver quindi demolito il mito di Enrico Berlinguer, ce n’è anche per Fausto Bertinotti, inchiodato alle sue responsabilità di curatore fallimentare di ciò che restava del movimento e della sensibilità comunista  in Italia. Tutte queste vicende hanno rappresentato un trauma, una lacerazione profonda nella coscienza di quello che è stato “il popolo della sinistra”, e da tali esperienze ci si risolleva solo dopo aver accumulato nuove energie e nuova rabbia. Nel XXI secolo il sol dell’avvenire non è dunque tramontato, ma ha cambiato traiettoria: è in America Latina che bisogna guardare per esserne ancora abbagliati.  Lo faremo. A risentirci sugli schermi del dissenso.

Fulvio Grimaldi è un giornalista e documentarista che ha lavorato per quindici anni in RAI, soprattutto come inviato di guerra per il tg3 (l’allora “Tele Kabul”), dimettendosi nel 1999 per manifestare il suo dissenso contro i bombardamenti Nato alla Serbia di Milosevic. In precedenza aveva lavorato per la BBC a Londra, per Paese Sera e per il quotidiano Lotta Continua, da lui diretto dal 1972 al 1975; oggi è curatore del blog Mondocane.Fra le sue opere, ricordiamo Mondocane. Serbi, bassotti, Saddam e Bertinotti (Kaos edizioni, 2004), Mamma ho perso la sinistra, (Malatempora, 2008) ed il recente e già citato Cambiare il mondo con un virus. Geopolitica di un’infezione; fra i tanti docufilm di cui ha curato la realizzazione, segnaliamo Cuba, el camino del sol, Un deserto chiamato Pace – Fulvio Grimaldi nell’Iraq sotto attacco e Maledetta Primavera. Arabi tra rivoluzioni, controrivoluzioni e guerre NATO.

 

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