lunedì 2 novembre 2020

Cattivi maestri.

Non è stato facile in questi anni  offrire appoggio “sociale” a una categoria che non godeva di buona stampa. E dire che si trattava di lavoratori cui era affidato l’incarico più sensibile e delicato tra tutti, quello di accompagnare le nuove generazioni nel futuro, equipaggiandole del necessario perché talenti e aspettative potessero esprimersi e realizzarsi.

ilsimplicissimus Anna Lombroso

La letteratura sulla loro indole  parassitaria è stata accuratamente nutrita da un repertorio, ma non del tutto creato ad arte, di stereotipi: troppo mesi di vacanza, troppa gente che interpretava la docenza come una scelta obbligata dopo che vocazioni e aspettative erano state frustrate, e poi troppe donne che così coniugavano gli obblighi famigliari col posto sicuro inanellando permessi, maternità, allattamenti, malattie dei pargoli, per non parlare del mercato nero delle ripetizioni, della preparazione carente e inadeguata alle nuove sfide della modernità.

Lo scopo evidente era quello di  minarne la reputazione per contribuire così alla demolizione della scuola pubblica. E basta considerare come stia concorrendo all’accreditamento e alla sostituzione della istruzione statale  con  quella privata l’incapacità dimostrata in otto mesi di fronteggiare una emergenza, giustificata dalle scelte del passato, impiegate come alibi da tutto il ceto dirigente  di tutti tempi, con scelte insensate e investimenti che fanno sospettare interessi opachi, con una comunicazione confusa e un rimpallo di colpe e responsabilità che hanno persuaso i genitori a investire in alternative apparentemente più efficienti e gli insegnanti a cercarsi collocazioni più sicure e remunerative.

La stessa cosa  si è verificata per il personale sanitario, oggi temporaneamente promosso al rango  esercito di eroi,  prima penalizzato da remunerazioni indegne, turni massacranti, carriere sottoposte a percorsi arbitrari, disagi legati ai tagli alle risorse destinate al settore, tutti accorgimenti studiati a tavolino per promuovere cliniche e clinici extra moenia e Stato, compresi gli obiettori a intermittenza, baciapile in ospedale e  mercanti in clinica.

Anche di loro si denunciavano, ed era legittimo, l’indifferenza al dolore come agli obblighi deontologici, certi aspetti dichiaratamente mercenari, gli errori dovuti a disattenzione o scarsa competenza, perché è più facile e immediato prendersela con un obiettivo vicino e identificabile piuttosto che con la lenta inesorabile morte delle università, con la consegna di ricerca e sperimentazione a enti  in carico alle case farmaceutiche, con stipendi umilianti e con l’applicazione  feroce  della morigerata austerità.

L’impresa ai difendere certe categorie era stata ardua, quella dei docenti in particolare.

È impervio stare dalla parte di una corporazione in conflitto con i suoi stessi interesse e la propria dignità, che si lascia imporre la “buona scuola” dopo anni di progressivo smantellamento dell’istituzione e del proprio incarico, che si dimostra obbediente all’imperativo di trasmettere valori sempre meno civili e culturali e sempre commerciali, per realizzare la distopia di una istruzione rivolta a formare generazioni di esecutori concentrati in una attività specialistica.

Proprio quella, che nelle attuali circostanze subisce le irrazionali imposizioni che si accaniscono contro docenti, alunni e famiglia, costretti a barcamenarsi nell’autoscontro tra banchi a rotelle di stabili insicuri promossi grazie a estemporanee sanificazioni, dove turnazioni scriteriate sostituiscono le necessarie assunzioni.

Una categoria la loro, autoreferenziale e poco partecipe di lotte comuni per il lavoro, il territorio, per un sapere  e una conoscenza che non sia solo al servizio  del mercato, del profitto e dell’esplicarsi delle qualità necessarie ad affermarsi come “classe dirigente”: competitività, arroganze, ambizione, spregiudicatezza.

A salvare l’immagine è stato qualche buon Maestro, spesso arruolato tra i Cattivi, figure ribelli o solo responsabili in una zona grigia, e molti soldatini che nei mesi della didattica a distanza si sono prodigati con inventiva e spirito di iniziativa e pure sacrificio economico, quando la banda larga e la digitalizzazione sono le radiose visioni delle Leopolde e delle task force di Arcuri e Colao.

Beh adesso è più difficile ancora, da quando gli insegnanti – sociologi, professionisti della percezione, statistici ci hanno fatto sapere essere lo zoccolo duro del riformismo sciacallo che ha devastato scuola e università, Berlinguer peggio della Moratti, Fedeli alla pari con Gelmini,  e lo si riscontra nei social,  interpretano con vigore e determinazione un risentito disappunto, fino all’anatema, nei confronti di altre categorie, cui riservano un altezzoso disprezzo per via dell’inferiorità culturale, accanendosi contro gli osti ma non contro Cracco, di una certa tendenza alla trasgressione in materia fiscale, rimuovendo pudicamente le profittevoli ripetizioni in nero, dell’indole venale, che pare colpisca malignamente quelli che non hanno uno stipendio sicuro.   

E d’altra parte è questo il principale successo degli autori dello stato di eccezione, l’incremento delle differenze, delle disuguaglianze  e delle gerarchie di chi ha diritto di stare al riparo e chi l’obbligo di esporsi, di chi ha doveri e chi si accontenta dell’unico diritto alla salute, retrocesso a sopravvivenza. E anche in quel caso c’è chi si merita la sopravvivenza con il pane garantito e chi invece, per aver omesso la ricevuta fiscale, per non aver fatto lo scontrino, non avere regolarizzato il cameriere bengalese o la commessa filippina, deve tacere e ringraziare il cielo se gli arriva, con comodo, qualche elemosina.

Si è formata così una forte e convinta “opposizione” ai virulenti moti di piazza, ai tumulti e alle indisciplinate sommosse sia pure con mascherina, subito arruolate a forza nelle compagini del Pappalardo, immediatamente catalogati come negazionisti, che solo per l’abuso sconsiderato del termine meriterebbero il licenziamento della scuola dell’obbligo.

Pare che chi non appartiene a ceti culturalmente e socialmente superiori, non possa investirsi dell’autorità morale e civile di difendersi e di farsi così carico di altri che patiscono  gli effetti di politiche scellerate di ieri e di oggi. E che per garantire l’ordine sanitario sia necessario riporre in attesa di tempi migliori anche l’articolo 17 della Costituzione, che sancisce il diritto di manifestare pubblicamente.

Da mesi sarebbe dimostrato che l’obbedienza è una virtù e farsene carico sono perfino quelli che in classe agli alunni avranno letto il priore di Barbiana, che la critica è un vizio che va represso per via dei pericoli di contagio,  che l’opposizione va sospesa ragionevolmente quando non può essere riconosciuta solo a Salvini e Meloni, in modo da ridurla a barzelletta oscena.

E quindi che anche la partecipazione democratica (l’abbiamo potuto esercitare solo per il referendum e le elezioni che avevano magicamente contenuto la drammatica “curva” dei positivi ) va obbligatoriamente interrotta per prodigarsi in favore del governo e dei suoi ministri alle prese con l’apocalisse.

Se è stupido  un governo che spende i soldi in bonus per biciclette e monopattini ma non potenzia i trasporti pubblici, non saranno stupidi i governati che si menano tra loro invece di costituire un blocco sociale forte e unito di sfruttati, umiliati ma non arresi?

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