lunedì 5 ottobre 2020

Adesso tocca a me vivere.

"Miss Marx", film sulla più giovane tra le figlie di Karl, si interroga sull'oppressione maschile sulle donne e sulla possibilità di costruire biografie coerenti con le proprie posizioni politiche.


jacobinitalia.it Rosa Fioravante

Non è la prima volta che Susanna Nicchiarelli porta sul grande schermo la storia di una donna che decide, come nella battuta di Miss Marx, «Adesso tocca a me vivere». Lo aveva già fatto nel 2017, con Nico 1988, una pellicola nella quale l’«adesso» era rappresentato dal dopo, in quel caso dopo i Velvet Underground, quando Nico decide di produrre la propria musica in un orgoglioso e disperato tentativo che si potrebbe definire «ora tocca a me creare», proprio come per Eleanor Marx il «dopo» è rappresentato dagli eventi che si succedono alla morte del padre. All’anti-eroina, maledetta, spigolosa figura della cantante degli anni Sessanta si sostituisce nella produzione più recente di Nicchiarelli l’edificante, generosa, devota (alla causa paterna e al compagno) figura di Tussy (così era soprannominata in famiglia) senza che si perda la dimensione delle contraddizioni e delle tensioni opposte che attraversano le protagoniste e che le porteranno a una fine prematura e tragica.

Miss Marx è infatti solo in parte un film su cosa significhi avere per genitore il padre del socialismo. Per dirla con le stesse parole della regista, in occasione della presentazione alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia, è un film sulla «difficoltà di conciliare le proprie idee e le proprie fragilità». Un’osservazione, quest’ultima, necessaria alla comprensione del messaggio del film e delle scelte della regia: Miss Marx, che raccoglie qualcosa de Il giovane Marx e qualcosa di Marie Antoinette, colpisce maggiormente non per lo stile – la caratterizzazione «punk» della colonna sonora che riflette il tentativo di attualizzazione del racconto inscenato – ma per via della scelta contenutistica. Se è vero che il film è tutto giocato sul doppio piano vita pubblica/vita privata di Eleanor, è pur vero che la vicenda privata, i dialoghi intimistici (spesso tra donne, colte e militanti, che discutono non di lotta di classe ma dei loro uomini, della propria salute e dell’organizzazione delle loro case), la ricerca della condivisione sul piano artistico, intellettuale e spirituale con il partner, sono preminenti. Una preminenza non dovuta al tempo dedicato sullo schermo all’uno o all’altro piano, bensì alla diversa drammatizzazione che se ne fa. Viene quasi spontaneo chiedersi come mai, nel presentare una vicenda per lo più sconosciuta al grande pubblico, Nicchiarelli abbia scelto di indugiare maggiormente sull’aspetto dei desideri privati frustrati che su quello del successo di pubblico di una grande comunicatrice, attivista, sindacalista, prolifica conduttrice di inchieste sulle condizioni dei lavoratori dell’epoca. Nessuno di questi aspetti viene taciuto o trascurato, tuttavia, al contrario di ciò che ci si potrebbe attendere, Miss Marx non è un film sul femminismo né sulle specificità del pensiero femminista di Eleanor, ma è un film nel quale il carattere femminista scaturisce proprio dalla scelta di inscenare ciò che al marxismo senza il femminismo sfugge – e che è il contributo maggiore di Eleanor al pensiero del padre: la fondamentale, a tratti insondabile, differenza di genere che si ripercuote dentro e fuori dai luoghi di produzione.

In un curioso rovesciamento delle sorti del padre, la cui vicenda privata dimostra invece proprio l’importanza degli affetti privati nel creare le condizioni più favorevoli al dispiegamento intellettuale e delle energie per la battaglia politica – l’importanza, cioè, sia dell’amico e non solo collega intellettuale Engels e di una moglie dedicata e pronta a sacrificare la serenità domestica per il contributo del marito alla causa collettiva – la vicenda di Eleanor, per come viene raccontata in Miss Marx, insiste su come in una vita piena di impegno possa mancare il conforto di un’intimità serena o appagante. La difficoltà di conciliare le proprie idee con le proprie fragilità non si limita alla sola protagonista ma attraversa tutte le principali figure femminili del film: è presente nella decisione della sorella maggiore di Eleanor di aprire la propria casa ai bambini del quartiere per sfuggire al dolore della perdita di tutti e tre i figli, nella decisione dell’amica più cara di allontanarsi da Londra per le troppe sofferenze d’amore e di salute, nel tacito assenso della compagna di Engels alla copertura del figlio illegittimo di Marx trattato come frutto dell’incontro tra Friedrich e la domestica di Karl. A proposito di quest’ultimo, la stessa Eleanor ribadisce l’impossibilità di scindere la propria condotta privata da quella pubblica, non accettando che il figlio di una domestica venisse trattato diversamente dagli altri membri della famiglia. È una difficile conciliazione, infine, ben presente in quel «adesso tocca a me vivere» di Eleanor che significa, dopo la morte del padre, adesso tocca a me occuparmi della classe operaia, partecipare al movimento, approfondire l’incompiuto de Il Capitale, senza però riuscire a rinunciare a un compagno di vita che i militanti del partito mal sopportano, che dilapida il suo denaro, che rappresenta per la sua attività intellettuale e politica più una fonte di interferenza che sostegno e che la umilia non sposandola mai nonostante la promessa di farlo e contraendo un matrimonio finto con una delle molte altre donne frequentate.

È dunque un film che racconta come essere figlie di Karl Marx e protagoniste del movimento dei lavoratori possa bastare a decidere di vivere con un uomo senza sposarlo, a non doversi giustificare per non aver avuto figli, a soprassedere e mostrare comprensione per i tradimenti, cioè a sfuggire ad alcune delle prescrizioni fondamentali sulla vita delle donne dell’epoca date dalla società che si critica e le cui norme si vogliono modificare. Eppure, nemmeno essere figlie di Karl Marx, avere una voce pubblica e pubblicamente riconosciuta basta a sottrarsi da quella che oggi definiremmo una relazione tossica. Basta, cioè, a indagare e scrivere alcune delle più moderne intuizioni sulla sfera familiare e sessuale delle donne, di cui ne è un esempio il suo: 

è tempo che gli uomini e le donne riconoscano che l’annichilimento del sesso risulta sempre nel disastro. La passione estrema è malata. Ma è allo stesso modo malato l’opposto estremo del sacrificio dell’istinto sano naturale […] eppure migliaia di donne attraversano, tra pene dell’inferno che solo loro sanno, il Moloch del nostro sistema sociale; migliaia di donne sono private, mese dopo mese, anno dopo anno, del loro Maggio che non torna. Per questo noi – e con noi, in ciò, a tutti gli eventi, la maggioranza dei socialisti -– sosteniamo che la castità sia malsana e contro natura […] Richiamiamo le prove mediche raccolte a sostegno del fatto che le donne soffrono più degli uomini sotto tali costrizioni.

Ma non basta a comprendere come sia possibile che, anche nel caso di chi ha una fede politica di emancipazione vissuta in contesti di lotta, sia disposta ad accettare nella propria vita privata nient’altro che un’altra forma di quello stesso egoismo, di quel disinteresse, di quell’assenza di cura o pretesa di cura a senso unico, che si combattono con forza nella sfera pubblica. 

La pellicola incuriosisce gli spettatori portandoli, se lo desiderano, ad approfondire alcuni dei maggiori contributi di Eleanor Marx alla teoria socialista, a partire dalla sua affermazione, al cuore del film, della subalternità della condizione del genere femminile a quello maschile non dissimile dalla condizione dei lavoratori nei confronti degli sfruttatori, che nel testo originale continua con riflessioni intorno a quali alleanze stringere al fine di cambiare tale condizione:

[…] Non dobbiamo mai stancarci di insistere sulla mancata comprensione [del fatto] che per le donne, così come per le classi lavoratrici, non c’è soluzione alle difficoltà e ai problemi che si presentano loro che sia davvero possibile nella condizione attuale della società. Tutto ciò che viene fatto, annunciato da qualsivoglia squillo di trombe, è palliativo, non correttivo. Entrambe le classi oppresse, donne e diretti produttori, devono capire che la loro emancipazione proverrà da sé stessi. Le donne troveranno alleati negli uomini del miglior tipo, come i lavoratori stanno trovando alleati tra i filosofi, gli artisti e i poeti. Ma le une non hanno niente da sperare dagli uomini, e gli altri non hanno niente da sperare dalla classe media nel suo complesso.

Oltre a proporre una fedele rievocazione di un passaggio degli scritti e dei discorsi di Eleanor nei quali si tematizza la questione dei rapporti interpersonali e familiari all’interno della società futura liberata dal capitalismo:

Se [sarà] la monogamia o la poligamia a prevalere nello stato socialista è un aspetto di cui si può discutere solo come individuo. L’interrogativo è troppo ampio per essere risolto nelle nebbie e i miasmi del sistema capitalistico. Personalmente, credo che la monogamia avrà la meglio. Ci sono circa lo stesso numero di uomini e donne, e il più alto ideale, quasi mai raggiungibile oggi, ha bisogno di almeno quattro cose. Ciascuna di queste cose è di gran lunga maggiormente possibile nel sistema verso il quale tendiamo che nel sistema nel quale noi oggi esistiamo. Queste sono amore, rispetto, similitudine intellettuale e padronanza delle necessità della vita. L’ultima è completamente assicurata a tutti. Come Ibsen fa dire a Helmer verso Nora, «La vita domestica smette di essere libera e bella non appena le sue fondamenta sono prestiti e debiti». Ma prestiti e debiti, quando si è membri di una comunità, e non un uomo isolato che lotta solo per sé stesso, non possono mai arrivare. La similitudine intellettuale. La stessa istruzione per uomini e donne; il crescere dei due fianco a fianco, fino a che si prendono per mano infine, ne assicurerà un maggior grado.

Eppure, il vero interesse della pellicola non sta nel mero racconto biografico e nella rievocazione degli eventi di quegli anni, spesso accompagnati dall’inserimento di materiale visivo d’epoca, bensì risiede proprio nel carattere contraddittorio della vicenda personale di Eleanor. La quale, nel riconoscere come nonostante tutti i passi avanti in materia di diritti fatti in quegli anni dal suo genere, le donne rimanessero fondamentalmente «moralmente dipendenti» dagli uomini, decide di emanciparsi da questa dipendenza proprio rimanendone prigioniera nella propria vita privata. In questo senso, nei commenti alla presentazione del film a Venezia, quando Nicchiarelli afferma che anche molti uomini sono vittime di relazioni tossiche, in qualche modo già risponde all’interrogativo sul come mai la pellicola si soffermi in modo così significativo sulla sfera sentimentale della protagonista: sembra infatti suggerire che esista una sfera del privato, dell’individualità, delle relazioni, che rimane fondamentalmente sfuggente dalla vicenda sociale, benché ne sia interdipendente e fortemente condizionata, e che in quello spazio ci sia anche la possibilità di una forma di autodeterminazione. Nel caso di Eleanor, è autodeterminazione a non vivere secondo i canoni imposti dalla società coeva ma anche autodeterminazione nella scelta lucida, consapevole, razionale nella sua irrazionalità, della sofferenza personale. 

La pellicola è tanto più interessante, dunque, poiché lascia gli spettatori con un dubbio fondamentale intorno alla possibilità che, anche qualora si correggessero le fondamentali storture del sistema capitalistico, ancora vi sarebbe una sfera che a questa correzione continua a sfuggire, quella sentimentale o – per dirla con le parole della regista – quella de «l’impossibilità di mettere insieme ragione e sentimento». La rappresentazione di una sfera che eccede la politica è solo apparentemente in contraddizione con gli scritti di Eleanor a proposito dell’impossibilità di migliorare la condizione femminile senza eliminare lo sfruttamento capitalistico, ma ne interpreta invece tutta la sensibilità verso la complessità dei rapporti tra gli individui e delle scelte che riguardano la propria intimità. Un’impossibilità che non si riesce a rappresentare nelle forme del pamphlet o dell’invettiva ma che solo l’arte può intuire e che, in questo caso il cinema, sonda meglio di come potrebbe mai fare un saggio. Per questa capacità di tematizzare l’insondabile che sta nell’intersezione tra vita pubblica e privata di una donna socialista, Miss Marx non è un film sul femminismo ma un film profondamente femminista.

[tutte le citazioni sono tratte da Eleanor Marx, The Woman Question, 1886]

*Rosa Fioravante, ricercatrice e teaching assistant alla Luiss Guido Carli, autrice e curatrice di Bernie Sanders. Quando è troppo è troppo! (Castelvecchi 2016, seconda edizione 2018). Collabora con Fondazione Feltrinelli e Acli Lombardia.

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