Allora un’intelligence che sta ancora a rimestare su Ustica, Piazza Fontana, Stazione di Bologna, Via dei Georgofili, e un’informazione che fa giornalismo investigativo gironzolando su Google news, in tempo reale ci hanno fornito analisi e diagnosi, mandanti e infiltrati, provocatori e manovali dei tumulti di Napoli e di Roma.
(Anna Lombroso per il Simplicissimus)
Presto fatto: dietro a quelli che un sociologo un tempo apprezzabile chiama i “fermenti dei margini”, posseduto oggi dal timore degli sconvolgimenti che potrebbero provocare nella sua placida e serena maturità gli effetti del malessere urlato scompostamente dalla plebe inferocita dalle nuove e antiche miserie, ci sarebbero in una ben individuabile joint venture non temporanea, la criminalità organizzata, i naziskin orbati dei loro festival musicali e delle celebrazioni di terroristi neri nei cimiteri monumentali, le curve del calcio e quelle dei centri sociali a pari merito, qualche reduce dei flash mob di Pappalardo e Montesano.
E per aggiungere un po’ di dadaismo alla narrazione sarebbero anche colpevoli a un tempo di non usare le mascherine e di andare in piazza col volto mascherato.
Non è difficile capire chi sono i profeti della pubblica riprovazione che non a caso ancora una volta come banchi di sardine virtuali fanno di tutta l’erba un fascio, è proprio il caso di dirlo, condannando la violenza ovunque e comunque perché in qualche remoto anfratto, nascosta tra le pieghe e soffocata dalla censura, potrebbe recare il marchio deplorevole della “lotta di classe”.
Sono perlopiù i soliti attrezzi che solo Salvini e Berlusconi si ostinano a definire di sinistra, diventati sempre più funzionali al sistema e chiamati a svolgere la funzione degli «utili idioti», come li definisce a ragione Carlo Formenti, in qualità di appartenenti a strati di classe che non pagano il prezzo della crisi sulla propria pelle.
Sono quelli che rivendicavano il primato della carità, più confortevole della solidarietà, e da esportare in terre lontane tramite un terzo settore, con preferenza nostalgica accordata alle cooperative, che il terzo mondo interno lo evitavano e lo rimuovevano, meritevole com’era di vedersi aggiungere bruttezza a bruttezza e disperazione importata e disperazione autoctona.
E sono quelli che un giorno chiamavamo piccolo- medio borghesi che preferiscono assistere cristianamente i singoli migranti, piuttosto che allargare i cordoni della borsa per sostenerne i Paesi di provenienza e che hanno sostituito il buonismo al pacifismo e alle lotte contro l’occupazione del nostro territorio dei signori della guerra che esigono il nostro prodigarci per le loro missioni di pace.
Ma per dir la verità rischiano di non essere utili a se stessi, perché mentre guardano la Casa di Carta e pontificano contro chi denuncia la gestione di una emergenza, che è “sanitaria” unicamente perché i virus come tutte le patologie capitalistiche si sviluppa, rafforzato, nella crisi sociale, sono diventati a rischio anche loro, per via degli inevitabili tagli in busta paga, della riduzione del potere d’acquisto, della vulnerabilità contrattuale, di un’assistenza anche privata che viene indirizzata a fronteggiare il virus mentre tre milioni di accertamenti e esami diagnostici sono stati cancellati.
Ci deve essere un vaccino misterioso che ha funzionato e è quello che mette al riparo da autocritica e senso di responsabilità. Anche oggi a margine di post critici della lettura data dei tumulti, c’è tutto un fervore di commenti a firma degli esponenti dall’antifascismo benpensante, con qualche pennellata di lieve intemperanza, comprensibile eh, che invita a imbracciare il mitra contro i generatori di disordine.
Così a nessuno di loro viene da interrogarsi sul proprio carico personale e collettivo nell’aver consegnato la testimonianza del dolore dei sommersi agli unici che provano minor disgusto, per furbizia o somiglianza, nel mischiare i propri versi bestiali e rozzi con i suoni delle pance vuote, della collera degli sfruttati inascoltati.
A nessuno di loro vien fatto di pensare che quella marmaglia urlante che chiede aiuti non ha poi molta meno dignità degli officianti dell’atto di fede nell’Europa, che vanno, cappello in mano, a chiedere l’elemosina, oculatamente condizionata, concessa grazia alla partita di giro dei contributi nazionali.
A forza di condannare il populismo sono riusciti nell’impresa di condannare il popolo del quale rifiutano di far parte, preferendo chiamarsi “società civile”, fisiologicamente e naturalmente virtuosa e educata secondo le regole del bon ton imposte dall’ideologia del politicamente corretto.
E a forza di condannare il sovranismo hanno raggiunto l’obiettivo, anche quello ammodo e rispettoso, di condannare qualsiasi resistenza a rinunciare a competenze, poteri e sovranità di uno Stato retrocesso a elemosiniere del sostegno a imprese e azionariati che investono nella roulette finanziaria, mentre guardano con interesse alle ipotesi di rafforzamento istituzionale di regioni, una poi che rappresenta la nostalgica continuità con una narrazione del passato, che pretendono un’autonomia di marca secessionistica intesa a favorire le privatizzazioni in settori strategici.
Purtroppo è quella là la loro “alternativa”, l’idea che hanno del futuro da quando il riformismo e il progressismo hanno deposto le armi già spuntate perché non facessero troppo male, da quando hanno dismesso la possibilità che si possa anche solo immaginare qualcosa di diverso dallo status quo, da quando i produttori di sapere e cultura sono stati colonizzati dall’ideologia neoliberista, appagati di appartenere alla sfera dei creativi dei Navigli, delle start up della Grande Illusione venute su dai garage e sortite dalle cantine, del mondialismo cosmopolita delle vacanze intelligenti e degli Erasmus.
Costruire il blocco sociale fra terzo stato e classi medie impoverite e sempre più minacciate dalla globalizzazione, dovrebbe essere l’obiettivo di un pensiero e di un movimento di sinistra. Incompatibile dunque con chi disprezza chiunque al momento sia un gradino sotto al suo nella scala sociale, culturale e quindi anche morale, quello che comporta la rivendicazione della propria superiorità rispetto a commercianti, baristi, ristoratori, ma pure teatranti, musicisti diventati inutili forse molesti, non essendo addetti alle attività essenziali.
Per una estensione del principio della meritocrazia anche loro sono diventati come il resto della plebaglia precaria, non garantita, quindi immeritevoli di riconoscimento e ascolto, probabili piccoli evasori, meno prestigiosi dei finanziatori delle Leopolde, probabili eversori, in quanto attentano all’ordine pubblico che da sempre esige una giustizia differenziata e una repressione che criminalizzi gli ultimi per rassicurare loro, i penultimi, uno status già minacciato, ma da quelli che stanno più su.
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