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A quasi due anni dal nostro viaggio in Bhutan, ne conservo un ricordo
prezioso che custodisco gelosamente e alimento ripensando a quei giorni
meravigliosi. Eravamo 3 europei maschi (io, il direttore Gracis e il
mitico Whish), adulti, figli di quella parte del mondo che vive con una presunta superiorità economica e morale nei confronti degli altri, ed eravamo in pieno shock culturale.
Io ero nella classica situazione in cui il pensiero che continuava a
tornarmi in mente era: «Come occidentali medi, della vita, non abbiamo
capito un cazzo.
Ho trovato molto più sensata una vita dove tutti lavorano molto meno e hanno più tempo per se stessi e per gli altri, per fare una camminata o per oziare in riva a un fiume. La prima parola che mi è venuta in mente osservando la forte connessione con la natura e il divino che la abita, è stata armonia, che rischia di essere spezzata dalla modernità. I circa 47mila km quadrati sui quali si estende il paese che ospita quasi 800mila persone vive oggi in un fragile equilibrio tra una monarchia illuminata, che cerca di proteggere il paese, e il governo che invece preme per aprire definitivamente il paese al turismo che, insieme all’agricoltura, è la base di sostentamento per i cittadini. È un posto sconsigliato ai backpacker o al turismo mordi e fuggi: può entrare solo un numero limitato di persone nello stesso periodo, tutti sono soggetti a una tassa e bisogna per forza rivolgersi alle agenzie bhutanesi. Poco male, perché il risultato è perfetto sia per chi viaggia, che per chi accoglie.
Una caratteristica distintiva è il fatto che, dai primi anni ’70 grazie a una decisione del re di allora, nel paese oltre al PIL (prodotto interno lordo), si calcola anche il FIL, l’indice della felicità interna lorda per dimostrare che il benessere non può essere solo materiale. E i cittadini hanno la possibilità di scrivere direttamente alle istituzioni per spiegare di cosa avrebbero bisogno per essere più felici: ad esempio una strada che colleghi il villaggio a una città, una scuola nei boschi per gli abitanti dei villaggi limitrofi, un nuovo pozzo per la comunità e via così.
Per farvi un’idea di come funziona la vita lì, basti sapere che Thimpu, la capitale del Bhutan, è l’unica al mondo senza semafori. Avevano provato a installarli qualche anno fa, ma la popolazione non ha voluto, perché li ritengono impersonali e preferiscono i vigili locali, che, appostati in pittoreschi gabbiotti decorati, dirigono il traffico improvvisando movimenti che sembrano una danza. Ci sono circa 100mila abitanti e si nota la rapida espansione, con decine di case e alberghi che stanno nascendo stretti nelle stupende impalcature fatte con il bambù. Per i giovani la massima trasgressione è vestirsi “alla occidentale” e fumare sigarette: nel paese il tabacco è vietato e si possono acquistare solo quelle di contrabbando che arrivano dall’India. Chi porta tabacco con sé deve dichiararlo in aeroporto e pagare una tassa. La cannabis cresce naturalmente in diverse zone del paese, ma il re fa tagliare le piantagioni spontanee. Ad ogni modo i giovani sono organizzati e fanno spedizioni in loco per produrre sul posto dell’ottimo finger hash e fare scorta per tutto l’anno a venire. Per loro la cannabis è quella che cresce in natura: non potete immaginare le facce dei ragazzi che abbiamo conosciuto, quando ho mostrato loro, in foto, la pannocchia apicale di una pianta coltivata in indoor. «Che cos’è?», mi hanno chiesto prima che gli spiegassi i rudimenti della sensimilla e della coltivazione indoor. Nel paese è vietato produrre plastica e viene attuato un rigido programma di protezione ambientale che impone che oltre il 60% del territorio sia coperto da boschi.
La vera ricchezza del paese, rimasto incredibilmente indipendente nonostante si trovi tra due colossi in espansione come India e Cina, è il buddismo e l’eredità spirituale e architettonica che ha lasciato, unito a un panorama mozzafiato. Le campagne sono caratterizzate dai monasteri arroccati su picchi scoscesi con il paesaggio himalayano sullo sfondo che si apre su cime maestose perennemente innevate e gole che scendono in picchiata per migliaia di metri.
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