mercoledì 28 ottobre 2020

Bhutan: un Paese in cammino verso la felicità

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Tiger Nest

A quasi due anni dal nostro viaggio in Bhutan, ne conservo un ricordo prezioso che custodisco gelosamente e alimento ripensando a quei giorni meravigliosi. Eravamo 3 europei maschi (io, il direttore Gracis e il mitico Whish), adulti, figli di quella parte del mondo che vive con una presunta superiorità economica e morale nei confronti degli altri, ed eravamo in pieno shock culturale.
Io ero nella classica situazione in cui il pensiero che continuava a tornarmi in mente era: «Come occidentali medi, della vita, non abbiamo capito un cazzo.

Abbiamo stravolto le nostre priorità, inseguiamo falsi bisogni, e abbiamo perso di vista le cose che, alla lunga ci fanno stare bene». Il problema è che il resto del mondo finisce per prenderci come modello, e il risultato è che Sonam, la nostra guida in Bhutan, dopo una settimana in cui aveva regalato un cellulare al figlio 14enne – con l’idea di evitargli le privazioni che aveva subito lui da bambino – e vedendo che non usciva più di casa, gliel’ha requisito e lo ha mandato per il resto dell’estate nel villaggio della nonna, raggiungibile solo con un sentiero che prevede 3 giorni cammino. «Gli ho detto: la nonna sarà il tuo Youtube», mi ha confidato Sonam con un sorriso, «e di sicuro può raccontarti storie più interessanti». Ero d’accordo, nonostante mi sentissi in colpa, come se fossi parte anche io di questo tradimento, di questa falsa promessa di benessere, che in realtà nasconde una schiavitù, che ci lascia senza tempo e senza energie, ma con un sacco di oggetti inutili che acquistiamo pensando di averne bisogno, e che poi riempiono le nostre cantine e le nostre soffitte, in attesa di un erede che faccia pulizia per metterci le cose che sta accumulando lui.

Ho trovato molto più sensata una vita dove tutti lavorano molto meno e hanno più tempo per se stessi e per gli altri, per fare una camminata o per oziare in riva a un fiume. La prima parola che mi è venuta in mente osservando la forte connessione con la natura e il divino che la abita, è stata armonia, che rischia di essere spezzata dalla modernità. I circa 47mila km quadrati sui quali si estende il paese che ospita quasi 800mila persone vive oggi in un fragile equilibrio tra una monarchia illuminata, che cerca di proteggere il paese, e il governo che invece preme per aprire definitivamente il paese al turismo che, insieme all’agricoltura, è la base di sostentamento per i cittadini. È un posto sconsigliato ai backpacker o al turismo mordi e fuggi: può entrare solo un numero limitato di persone nello stesso periodo, tutti sono soggetti a una tassa e bisogna per forza rivolgersi alle agenzie bhutanesi. Poco male, perché il risultato è perfetto sia per chi viaggia, che per chi accoglie.

Una caratteristica distintiva è il fatto che, dai primi anni ’70 grazie a una decisione del re di allora, nel paese oltre al PIL (prodotto interno lordo), si calcola anche il FIL, l’indice della felicità interna lorda per dimostrare che il benessere non può essere solo materiale. E i cittadini hanno la possibilità di scrivere direttamente alle istituzioni per spiegare di cosa avrebbero bisogno per essere più felici: ad esempio una strada che colleghi il villaggio a una città, una scuola nei boschi per gli abitanti dei villaggi limitrofi, un nuovo pozzo per la comunità e via così.

Thimpu

Per farvi un’idea di come funziona la vita lì, basti sapere che Thimpu, la capitale del Bhutan, è l’unica al mondo senza semafori. Avevano provato a installarli qualche anno fa, ma la popolazione non ha voluto, perché li ritengono impersonali e preferiscono i vigili locali, che, appostati in pittoreschi gabbiotti decorati, dirigono il traffico improvvisando movimenti che sembrano una danza. Ci sono circa 100mila abitanti e si nota la rapida espansione, con decine di case e alberghi che stanno nascendo stretti nelle stupende impalcature fatte con il bambù. Per i giovani la massima trasgressione è vestirsi “alla occidentale” e fumare sigarette: nel paese il tabacco è vietato e si possono acquistare solo quelle di contrabbando che arrivano dall’India. Chi porta tabacco con sé deve dichiararlo in aeroporto e pagare una tassa. La cannabis cresce naturalmente in diverse zone del paese, ma il re fa tagliare le piantagioni spontanee. Ad ogni modo i giovani sono organizzati e fanno spedizioni in loco per produrre sul posto dell’ottimo finger hash e fare scorta per tutto l’anno a venire. Per loro la cannabis è quella che cresce in natura: non potete immaginare le facce dei ragazzi che abbiamo conosciuto, quando ho mostrato loro, in foto, la pannocchia apicale di una pianta coltivata in indoor. «Che cos’è?», mi hanno chiesto prima che gli spiegassi i rudimenti della sensimilla e della coltivazione indoor. Nel paese è vietato produrre plastica e viene attuato un rigido programma di protezione ambientale che impone che oltre il 60% del territorio sia coperto da boschi.

La vera ricchezza del paese, rimasto incredibilmente indipendente nonostante si trovi tra due colossi in espansione come India e Cina, è il buddismo e l’eredità spirituale e architettonica che ha lasciato, unito a un panorama mozzafiato. Le campagne sono caratterizzate dai monasteri arroccati su picchi scoscesi con il paesaggio himalayano sullo sfondo che si apre su cime maestose perennemente innevate e gole che scendono in picchiata per migliaia di metri.

Atsara

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