mercoledì 28 ottobre 2020

Teatri chiusi, ma la commedia continua

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Anna Lombroso per il Simplicissimus

Mica vero che nessuno apprende la lezione della storia. Basta guardare al “personale” politico composto da ex alunni poco brillanti dei quali non si diceva: è intelligente ma potrebbe fare di più, scafati solo nel copiare i compiti e sfangare le interrogazioni dicendo è morta nonna, oggi di Covid. Loro appunto, per quanto  protervamente ignoranti, hanno resa attuale la famosa massima dei romani: divide et impera.

E difatti se guardate in giro sui social vedrete che mentre si sta passando dal morire di peste (evento improbabile)al morire di fame (eventualità ormai più plausibile ) vedrete che gli insegnanti scagliano il loro anatema sui liberi professionisti, i gestori di palestre insorgono contro gli albergatori, i baristi contro i commercianti, i librai contro i negozi di elettronica, i precari contro i garantiti, i giovani contro anziani, che è meglio se ne stiano a casa o si tolgano di torno  come si vuole non solo in Svizzera a guardare i dati della Lombardia e come suggerisce  madame Lagarde.

Con un novità recentissima, dopo decenni di indifferenza per il trattamento inflitto al personale sanitario (salari bassi, turni massacranti, superiori arroganti e dispotici), che spesso rispondeva alle umiliazioni e alle ingiustizie con prestazioni  altrettanto lesive della dignità dei pazienti,  dopo che nel giro del mese di marzo gli sfaticati  che dimenticavano in corsia i malati, non li lavavano, li mortificavano sono stati promossi e martiri e eroi, ecco che anche medici e infermieri sono diventati oggetto di polemiche velenose, per non aver dimostrato quel doveroso spirito di sacrificio e di abnegazione richiesto da quelli che seguono una “vocazione”.

Dopo otto mesi non si può più dire che il governo non abbia fatto nulla, questo risultato almeno l’ha ottenuto, grazie a misure che giustamente possono essere definite “impopolari” nel senso che vanno contro il popolo, prima criminalizzato poi diviso in modo che istinti di rancore e risentimento vengano rivolti come armi, gli uni contro gli altri.

Così dopo che per anni una delle  frasi più abusate in rete, la bellezza ci salverà, ecco che insieme al governo, si è creato uno schieramento di opinione   mobilitato contro gli addetti al  “culturame”: grazie all’impegno di rispettare l’ultimo diritto concesso, quello alla salute, quella che dovrebbe essere salvaguardata anche in ospedali e ambulatori e non solo in teatri, circhi, sale da concerto e cinematografiche, ritrovi e circoli, prioritario, superiore e infine sostitutivo degli altri, talmente inalienabili che possono essere sospesi, si rispolverano i riti del passato.

E sono gli stessi gli slogan: quelli di chi chi quando sente parlare di musei e biblioteche imbraccia il mitra, come qualcuno auspica si faccia anche per disperdere definitivamente manifestanti molesti, di chi ritiene che l’estetica sia una materia coltivata nei beauty center, da chi si è comprato, venduto e ricomprato e messo in liquidazione case editrici, giornali, per animare il mercato degli schiavi intellettuali “dei miei stivali”, come li redifinì in memoria del passato l’esule di Hammamet, in forza a Mediaset, Rai, che poi è la stessa bottega, Mondadori, Gedi e così via.

 Si è proprio adombrato il Franceschini, tanto da essere costretto a pubbliche rimostranze contro il variegato comparto dichiaratamente improduttivo e parassitario, che non ha capito la gravità della situazione, interpretando il Conte-pensiero che a sua volta testimonia il neoqualunquismo profilattico. E mostrando un grafico: “Guardate la curva dei positivi”, ringhia. “E’ una curva impressionante, bisognava intervenire subito, avevamo il dovere di intervenire subito“.  

Subito, è uno dei termini più abusati da ben otto mesi dal governo della tempestività, del necessario stato di eccezione, che ha scavalcato rappresentanza e parlamento, che ha deciso di essere mandato in terra a svolgere un ruolo pedagogico per indottrinare e ammaestrare sui valori della “responsabilità”, in regime di esclusiva delegati a un popolo riottoso e infantile. E infatti  il ministro ha  “l’impressione che non si sia percepita la gravità della crisi e che non si siano percepiti i rischi del contagio in questo momento”.

Ma come? Non era quello che voleva una mobilitazione di massa per vivificare tramite gite e escursioni l’inimitabile tessuto dei borghi invitati a valorizzarsi a suon di B&B, incoraggiato dalla sua esperienza personale di affittacamere? non era quello che premeva perché, magari evitando il passaggio davanti a San Marco tra l’altro ostacolato dall’abuso del Mose, riprendessero la navigazione le grandi navi dei corsari delle crociere? Non era quello che stringeva accordi per rilanciare il turismo, grazie a aiuti di stato alle grandi multinazionali alberghiere coi soldi della Cassa Depositi e Prestiti, quindi i nostri?

Gli mancheranno tante qualità ma la faccia di tolla, e infatti si chiede amareggiato “perché quando sono stati chiusi ugualmente cinema e teatri in massa non c’è stata questa ondata di protesta?”.

Desse ascolto alle proteste di piazza che inutilmente vengono tutte catalogate come irrazionali tumulti alimentati da agitatori professionisti della violenza, avrebbe le risposte che gli servono: che ci si illudeva che quel test non servisse solo a aspettare con aspettativa fideistica che il virus si stufasse di circolare in una pese governato da cialtroni o da incapaci o tutti e due, ma che  occorresse per gestire i durante e preparare il dopo.

Che fosse una ardua sospensione durante la quale si rafforzava il sistema sanitario investendo non solo sulle terapie “straordinarie”, ma sulla medicina territoriale e di base, avamposto indispensabile alla prevenzione, all’assistenza e alla cura, in modo che non fosse necessario cancellare una decina di milioni di accertamenti.

Che fosse una pesante rinuncia che consentiva però di utilizzare quel periodo per intervenire sulla mobilità e sui trasporti pubblici, magari adibendo i bus turistici, sono una paio di decine di magliaia, fermi insieme agli operatori del settore, come sui tempi del lavoro, con turnazioni e una concezione illuminata del lavoro agile.

Che bastasse per mettere in piedi una strategia di sostegno dei segmenti di popolazione più esposti e sofferenti, che non consistesse nell’elargizione arbitraria e discrezionale di elemosine.

Invece veniamo informati, cito il presidente del Consiglio, che tutte le misure messe in campo rispondono “alla necessità di tenere sotto controllo la curva dei contagi. Con lo smart working e il ricorso alla didattica a distanza nelle scuole secondarie di secondo grado, puntiamo a ridurre momenti di incontri e soprattutto l’afflusso nei mezzi di trasporto durante il giorno, perché sappiamo che è soprattutto lì che si creano affollamenti e quindi occasioni di contagio”.

E dunque che in otto mesi siamo al punto di partenza quando l’unica soluzione individuata era la chiusura di tutto quello che non era “essenziale”. Anzi, con una punta di involontaria comicità a fine ottobre, al n.16 o giù di lì della produzione di moduli di autocertificazione, dopo una campagna di criminalizzazione popolare che doveva persuadere a comportamenti virtuosi, quando i dati, le statistiche, le informazioni scientifiche si dimostravano contraddittorie e poco affidabili, Conte pubblicamente fa le affermazioni che sarebbero state autorizzate a marzo: “acquistare subito centinaia di nuovi mezzi pubblici è impossibile, per questo andava decongestionato il sistema del trasporto pubblico agendo su scuola e lavoro e altre occasioni di uscita come lo sono l’attività sportiva in palestre e piscine”.

C’è davvero da chiedersi sulla base di quali convinzioni concepite da un manicheismo confindustriale ci sono attività più essenziali dell’utenza di conoscenza, sapere, arte e cultura.

Con quali misuratori che non siano solo quelli del profitto mordi e fuggi, ci sono settori buoni, belli e utili e altri comparti superflui e “malsani” anche se sono state applicate proprio quelle misure e quegli accorgimenti ai quali tutti, salvo le industrie che da sempre sono restie a allinearsi a requisiti e criteri di sicurezza, almeno quanto i comuni e le aziende di servizio,  ci siamo adeguati?

Perché la frequentazione del Teatro Franco Parenti di Milano è considerata più insalubre dello stabilimento Amazon aperto ad Arzano in piena zona rossa, la pizzeria autorizzata diventa a rischio dopo le 18 a differenza, immaginiamo, della buvette di Montecitorio.

Perché oggi proprio come quasi otto mesi fa ci sono lavoratori che sono ricattati e costretti a “esporsi” in qualità di insostituibili servitori della collettività se producono mascherine e armamenti, se trasportano prodotti elettronici ma non i supplì e il riso al salto della rosticceria alle 19, quando da anni l’inamovibile ministro ci racconta che la destinazione turistica obbligatoria del Paese si fonda sulla nostra tradizione culinaria?

Sicchè i pochissimi viaggiatori per diporto o lavoro presenti sul territorio nazionale, indigeni o stranieri, alloggiati nelle stanze dei rari hotel in funzione, possono aspirare a nutrirsi la sera o andando dalle Cesarine in numero inferiore a quello prestabilito, pena la spiata del vicino, o alla mensa della Charitas?

Perché istruzione e “cultura” sono stati garantiti con interventi  provvidenziali solo per i beneficati da appalti opachi, senza mettere in sicurezza gli edifici e senza assicurare il numero di personale didattico, ma da mesi biblioteche, archivi e musei non sono accessibili a  pubblico e studiosi?

E perché la responsabilità è diventata un onere della gente, cui in quel caso viene restituito il marchio di società civile, ma non dei suoi rappresentanti? E se vi consolate pensando che anche loro sono gli uni contro gli altri, Calenda contro Raggi, Zingaretti contro Renzi, tutti contro Salvini, beh non illudetevi, la ritrovano subito l’unità, loro, che fanno pace per farci la guerra.

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