Intervista alla voce critica del "modello
Lombardia", che da medico del lavoro sta seguendo sul campo le
difficoltà del rientro. "Per evitare nuovi contagi, andrebbero fatti i
test su chi è stato positivo, chi ha avuto i sintomi e chi è stato in
contatto con persone infette". Il caso del San Raffaele: 332 euro per
un tampone a un privato, poi le scuse. "L'eccellenza lombarda è
indiscutibile su aspetti sofisticati, come l'alta chirurgia, non certo
sulla sanità pubblica e la medicina territoriale".
ilfattoquotidiano.it Mario Portanova
“Come facciamo a essere sicuri di non essere infetti, prima di tornare
al lavoro?”.
E’ una domanda che, alla vigilia dell’agognata “fase 2”, si
sente rivolgere spesso Vittorio Agnoletto, che da medico del lavoro
e da attivista politico di lungo corso è una voce critica e documentata
sulle storture e gli interessi privati che si celano dietro le
eccellenze della sanità lombarda, come si può leggere sul blog de ilfattoquotidiano.it, sulle sue pagine social personali e dal microfono si una seguita trasmissione su Radio popolare, 37 e 2. La domanda ci riporta al tema irrisolto dei tamponi per testare chi è infetto e chi no. “In Lombardia
si fanno solo ai sintomatici e, più recentemente, al personale
sanitario”, spiega Agnoletto. “Altrove sono più estesi, ma a oggi
nessuna Regione ha in programma di testare chi torna al lavoro. Temo che
il risultato finale sarà un grande regalo ai privati, che già mettono
fuori tariffe fra i 100 e i 200 euro a prelievo”.Secondo lei chi dovrebbe sottoporsi all’esame prima di tornare in fabbrica, in ufficio, in negozio?
In particolare chi ha avuto il Covid-19 “certificato” da un tampone
positivo, per essere sicuro di non essere più infetto. Chi ha avuto i
sintomi, ma non è mai stato sottoposto al test, e i casi sono
numerosissimi. Chi non ha avuto nulla, ma è stato a stretto contatto con
una persona, magari un convivente, con Covid o sospetto Covid. Sono
tutte categorie di persone che con la ripresa delle attività potrebbero
diffondere il virus.
E lei che cosa risponde a queste persone?
Da medico del lavoro posso dire soltanto di fare il tampone o il test
sierologico. Dato che la sanità pubblica non li fa, dovrei avere il
coraggio di dire al datore di lavoro che deve pensarci lui, e magari
rischio pure di essere licenziato. Certo, a nessun datore di lavoro
conviene innescare un focolaio nella propria azienda, se non altro
perché metterebbe a rischio la ripartenza. Quindi prevedo grandi affari
per i privati.Pochi giorni fa con 37 e 2 avete denunciato uno strano caso, giusto?
Una persona era stata inviata a fare il tampone in un laboratorio di
analisi del San Raffaele Resnati di Milano. Gli hanno fatto pagare 332
euro. Essendo risultata positiva, è poi toccato ai suoi familiari: 280
euro a testa, per “sconto famiglia”. Quando abbiamo sollevato il caso,
il 16 aprile, il responsabile della struttura ci ha contattati per dirci
che si era trattato di un errore, sia aver fatto un tampone a un
privato sia la tariffa richiesta, e che avrebbe disposto la restituzione
dei soldi. Ma ci ha anche rivelato che per le strutture convenzionate,
tra le quali c’è il Comune di Milano, ogni tampone costa 140 euro.
Troppo?
A me risulta che costino meno. L’atteggiamento di Regione Lombardia
spalanca un mercato enorme al privato. Mi domando perché. E mi domando
anche come mai manchino i reagenti per i tamponi, a quanto leggo, ma
queste strutture ne sono fornite. Il Ministero della Salute dovrebbe
intervenire, anche con requisizioni. E dovrebbe calmierare i prezzi di
questi e altri presidi, come le mascherine, anche queste necessarie al
ritorno al lavoro in sicurezza.In alternativa c’è il test sugli anticorpi, altro tema molto dibattuto in questi giorni, anche fra gli esperti.
E’ un’araba fenice. Il governo dice “arriva”, ma poi non
succede nulla. Nel frattempo è il Far West, fra Regioni e aziende. Una
lavoratrice della provincia di Piacenza mi ha segnalato che la sua
azienda le ha chiesto l’esame degli anticorpi prima di rientrare al
lavoro. Quelli attualmente adottati probabilmente vanno anche bene, ma
non hanno una legittimazione dell’Istituto superiore della sanità.
Dietro c’è un problema serio. Il test deve avere una ridotta probabilità
di falsi positivi e falsi negativi, deve essere preciso
nell’identificazione del tipo e della quantità di anticorpi, in
particolare delle IgG che si sviluppano quando l’infezione è in atto da
qualche giorno e durano nel tempo, anche se non sappiamo ancora
esattamente quanto. Anche in questo caso, mentre il pubblico è fermo i
privati offrono i loro test, inzialmente gratis, ma non certo per
sempre.
Quali sono gli altri nodi principali per tornare al lavoro minimizzando i rischi di una “ricaduta” nell’emergenza?
Mi chiedo in queste settimane che cosa sia stato fatto, e chi controlla.
Per riaprire è necessaria una riorganizzazione completa del lavoro.
Diversificare gli orari di entrata e uscita, modificare il funzionamento
della mensa, disporre le scrivanie a scacchiera, fornire dispositivi di
protezione a chi lavora con mcchinari che non si possono spostare… E le
sanificazioni? A proposito, qualcuno sta tenendo d’occhio, anche qui, i
prezzi richiesti?Poi ci sono gli interventi fuori dalle aziende.
A partire dai mezzi pubblici. I tornelli non li fai da un giorno
all’altro. Poi ci vogliono nuovi cartelli sulla capienza e indicatori su
pavimenti e sedili. E il potenziamento delle corse, per evitare che chi
è in ritardo voglia salire comunque. L’altra grande questione è quella
dei bambini nelle famiglie dove entrambi i genitori lavorano. Ne so
qualcosa…
Con scuole asili chiusi quali soluzioni vede? I bambini tendono a non ammalarsi, per fortuna, ma si infettano e infettano.
Il bonus di 600 euro al mese non basta per la baby sitter. Servono
luoghi e servizi dedicati esclusivamente ai bambini che hanno due
genitori che lavorano, gestiti in modo da evitare contagi. In Norvegia
hanno tenuto aperti gli edifici scolastici, con pochi insegnanti, solo
per i figli di genitori entrambi lavoratori.La sua è una voce critica del “modello lombardo”. Ha mostrato
falle o stavolta lo tsunami avrebbe travolto qualunque sistema
sanitario?
E’ stato uno tsunami, ma si poteva fare qualcosa per romperlo, in
particolare nel periodo finestra fra l’individuazione dell’epidemia in
Cina e la sua comparsa in Lombardia: un numero verde finalizzato a
virus, che non si sovrapponesse al 118; la formazione del personale
sanitario in base alle informazioni provenienti da Wuhan; tutelare i
pronto soccorso; informare e coinvolgere i medici di famiglia. Nulla di
tutto ciò è stato fatto. In una pandemia siamo a oggi l’unico Paese che
ha avuto bisogno di medici stranieri. Direi che qualche errore di
programmazione è stato fatto. L’eccellenza lombarda è indiscutibile su
aspetti sofisticati, come l’alta chirurgia, non certo sulla sanità
pubblica e la medicina territoriale.
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venerdì 1 maggio 2020
Coronavirus, le incognite sanitarie della fase 2. Agnoletto: “Le Regioni non fanno tamponi a chi torna al lavoro, sarà un affare per i privati”
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