mercoledì 27 maggio 2020

Cambiare la società per cambiare la scuola: Christian Raimo parla dei precari, ma a sproposito.

All’interno dell’ampio dibattito di queste settimane intorno ai concorsi scuola e alla stabilizzazione dei docenti precari, Christian Raimo si è espresso in ben due articoli contro il famigerato concorso straordinario “a crocette” e contro una sanatoria, e quindi l’assunzione per titoli e servizio di chi da anni lavora come precario nella scuola.
 


La motivazione è quella di ottenere un concorso il più serio (perché non dire meritocratico) possibile.
Questa posizione e l’intero modo di impostare la questione ci sembra completamente sbagliata. 
Anzi, proprio perché a sostenerla è un influencer della sinistra, questa vicenda diventa un chiaro segno della mancanza sistematica di autonomia di ragionamento e chiarezza politica su quelli che sono i problemi fondamentali del nostro tempo, e quindi anche della scuola.
Se si è contro il precariato e per la dignità del lavoro, non lo si può essere a giorni alterni.
Cerchiamo di scendere nel dettaglio e capirci meglio. Una cosa Christian Raimo la dice giusta: parlare di concorso straordinario oggi significa scegliere nell’emergenza il male minore.

L’esistenza di precari che lavorano da anni e anzi tengono in piedi la scuola è solo uno dei molti effetti della carenza di fondi e della poca e nociva attenzione della politica degli ultimi decenni nei confronti del mondo scolastico.
In questa situazione si scontrano due esigenze: da un lato la dignità del lavoro, la necessità che questo sia stabile e garantito, e dall’altro l’importanza di selezionare e formare al meglio la classe docente.
Entrambe queste esigenze hanno una loro logica: non sbaglia, in assoluto, chi sostiene che la selezione (con un concorso) e la formazione docenti sia un tema che merita attenzione e rispetto; non sbaglia chi dice che un quiz a crocette non è il modo migliore per scegliere gli insegnanti di domani.
E tuttavia, non appena caliamo queste ragioni nel concreto (e la verità, come diceva qualcuno, è sempre concreta) il peso specifico delle due necessità appare in tutto il suo squilibrio.
Guardiamo alla scuola pubblica oggi: il problema è la classe docente? Non sono forse le aule di trenta persone, per liberarci delle quali dovremmo assumere più e non meno docenti, non è la mancanza di fondi, non è il modello classista, non è l’edilizia scolastica, non sono le differenze fra scuole del nord e del sud, del centro e della periferia?
Di fronte a tutto questo la retorica padronale, con un fronte che va dalla Fondazione Agnelli, a Renzi, ai Cinque Stelle passando (ahinoi) per Christian Raimo, sostiene che il problema sia invece la qualità dei docenti, la loro carenza di “competenze digitali”, e “sensibilità pedagogica”.
Si nascondono sotto il tappeto le questioni strutturali, che richiederebbero investimenti materiali e si dà il peso ad altre che invece possono essere trattate colpevolizzando i lavoratori e i precari, la loro mancanza di competenza, il loro merito.
In pratica si scarica il peso della crisi di un’istituzione su quelli che oggi con il loro lavoro la tengono in piedi, mentre le riforme di sistema restano un argomento taciuto o al più accennato.
Siamo di fronte a nient’altro che alla versione scolastica del mito dei furbetti del cartellino, dei dipendenti fannulloni o incapaci da eliminare in funzione di una razionalizzazione dell’istituzione.
Ripetiamolo ancora, per non alimentare equivoci: la selezione dei docenti, la loro formazione, la loro preparazione, è un tema, non crediamo che lo si debba trascurare. Ma nel dibattito attuale questo tema è utilizzato strumentalmente per attaccare i lavoratori, e chi si dice di sinistra dovrebbe avere l’intelligenza e la sensibilità politica di cogliere quali sono invece le priorità e concentrarsi su queste, senza prestare il fianco a speculazioni e retoriche dannose.
Quello che manca, insomma , è la capacità di guardare al problema scuola da una prospettiva più ampia e nella relazione che questa istituzione ha con la società nel suo complesso.
Il rapporto fondamentale, da approfondire, è quello dell’istruzione con un mercato del lavoro che di giorno in giorno si dimostra più ostile verso i nuovi (e vecchi) lavoratori.
La crisi, la svalutazione, le contraddizioni che tutti i giorni si affrontano nelle classi sono l’effetto di una società che ha dimenticato la dignità del lavoro vivo. Le retoriche meritocratiche ed efficientiste che i nostri studenti soffrono e che rovinano la condivisione del sapere, sono le stesse che oggi si applicano ai lavoratori e, in particolare, agli insegnanti.
Se vogliamo una scuola migliore, allora, dobbiamo ricordarci che non possiamo ottenerla senza riaffermare l’importanza del lavoro. E che anche un minuto di lavoro precario è un’ingiustizia infinitamente più grande di un insegnante non “eccellente”.
Difendere gli studenti dalle menzogne di una società meritocratica costruita per schiacciarli significa oggi essere sempre, senza se e senza ma, contro il lavoro precario e lo sfruttamento.
Abbattuto questo potremo confrontarci sulla formazione docenti, fuori da ipocrisie e retoriche nocive.

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