sabato 30 maggio 2020

Usa. Difficile stavolta domare l’incendio…

Ciò che a noi sembra “assurdo” nell’ultima, ennesima morte di un Afro-Americano non è per gli Afro-Americani stessi che la continuazione di ciò che gli ha offerto l’Amerika, nulla più. La normalità, insomma. 
 



Che fossero schiavi nei campi, carne da macello per le guerre dello “Zio Tom” , operai alle catene di montaggio ed ora facchini, personale medico e di cura, ed autisti – quest’ultime tra le categorie più esposte al coronavirus – la vita dei neri non è mai contata niente.
Sono scarti, e la loro vita è una immensa “zona di bando”. E questo lo è in particolare per le afro-Americane soggette ad una condizione in cui le contraddizioni di razza, genere e classe sono inestricabili ed il suprematismo bianco è alla base del patriarcato ed alla cultura dello stupro.
Oggi, la prima causa di morte per i giovani neri negli USA è la polizia – in uno Stato dove il tasso di suicidi è più alto della media – e dove come già diceva ICE T quasi 30 anni fa: “ci sono più neri in carcere che all’università“.
Tutto è cominciato – la carcerazione di massa dei neri – con la “war on drugs” di Reagan, dopo che il Sistema aveva eliminato chi lottava armi in mano contro la “guerra chimica” nei ghetti prima le Panthers poi il BLA, tra gli altri.

Ed intanto la storia del l’assalto al cielo veniva rinchiusa in prigione e “buttata la chiave” per i prigionieri di una guerra dichiarata con il Cointelpro.
É cambiato qualcosa di sostanziale con l’era Obama? Assolutamente no, tanto è che i riots tra Ferguson e Baltimora avvengono durante il suo secondo mandato.
È il linciaggio, mutuato dagli anni della segregazione ciò che il mondo ha visto questa settimana, una delle forme di tortura sistematica fino alla morte praticate “from the beginning” dopo essere venduti al mercato degli schiavi.
Una lunga scia di sangue che dai campi di cotone é continuata fino all’asfalto delle metropoli senza soluzioni di continuità e perdura.
Di fronte a questo, l’alternativa per non diventare un “nero da cortile” – come Malcom X definiva  i “collaborazionisti”, a cui la vita del padrone premeva più della propria – è stata l’organizzazione, oltre all’eruzione violenta della rabbia, talvolta la fuga attraverso la “ferrovia sotterranea”.
Il meraviglioso film di Melina Metsoukas, “Queen e Slim“, la traspone nel presente, la meta della fuga di una coppia improvvisata dopo il primo appuntamento, dopo avere ucciso per difendersi un poliziotto, è la fuga verso Cuba.
Sì, verso Cuba come Assata Shakur – lo si dice espressamente nel film – la donna più ricercata dalla FBI.
Il presente degli afroamericani è una storia che ritorna ed una lotta che continua, e non si vedono vie di fuga, ma forse solo “fughe in avanti”.
La storia in questi mesi ha corso in fretta. E’ il nuovo “cacciatore” di schiavi che vorrebbe riportare lo schiavo tra le sue baracche mordendogli le caviglie. Ma non ci stanno, e l’odierna ferrovia sotterranea come allora ha bisogno di “traditori di razza” che diano un calcio in culo alla storia e la presenza di “visi pallidi” alle mobilitazioni incoraggia parecchio.
Fu il Vietnam e la questione razziale I fattori di maggiore “politicizzazione” della gioventù bianca americana, anche i figli della borghesia, perché quando si diventa compagno seriamente si abbandona il casellario anagrafico di classe ed ora i millenials sono una generazione senza futuro.
Le rivolte di questi giorni sono in parte diverse da quelle che abbiamo conosciuto, perché diverso il contesto, più simile agli anni Trenta che a tutto ciò che è accaduto dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Il Covid-19 ha fatto un ecatombe tra Afro-Americani, latinos e nativi americani, che sono una buona parte dei 100 mila morti statunitensi.  La disoccupazione è alle stelle, molti hanno perso l’assicurazione medica insieme al lavoro – per non parlare di chi non l’aveva – ed un americano su cinque sta soffrendo di penuria alimentare.
Si sono rivisti gli scioperi sul lavoro e il non pagamento degli affitti, le occupazioni degli homeless ed ora qualcosa ha fatto da “detonatore” delle soggiacenti contraddizioni sociali nella crisi.
Così mentre Trump voleva che l’America assistesse al lancio trionfante di uomini nello spazio (atteso ora per questo fine settimana) e al successo dei Big boss del capitale privato – Space X di Tusk, perché prima Boeing ha fatto cilecca – la prateria è in fiamme e sarà difficile sta volta domare gli incendi.
Quell’idiota con il parrucchino ha definito i manifestanti “Thugs”, teppisti. E allora ad Orange Man è bene ricordargli cosa significhi THUG LIFE nell’acronimo della famosa canzone di 2pack Shakur per il co-protagonista del bellissimo libro di Angie Thomas: “The Hate U Give”.
L’odio con cui avete cresciuto i figli dell’America nera (e non solo, diciamo) ve lo stanno restituendo con gli interessi. Babilonia brucia, e che bruci Babilonia, per mille ed un giorno ancora!

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