lunedì 25 maggio 2020

Che ha fatto Jeff Bezos per diventare trilionario?

Nel bel mezzo della pandemia, il fondatore di Amazon ha sfondato il tetto dei mille miliardi di dollari di ricchezza privata. Una storia di sfruttamento del lavoro che grida vendetta.

Bezos potrebbe diventare il primo trilionario del mondo. 
Il patrimonio netto del fondatore di Amazon in media è cresciuto del 34% negli ultimi cinque anni e, secondo una analisi recente, è sulla buona strada per raggiungere entro il 2026 lo status di trilionario (arrivare a possedere cioè più di mille miliardi di dollari, NdT).
La fastidiosa notizia è arrivata in mezzo a una pandemia che ha lasciato milioni di persone senza lavoro e ha portato la disoccupazione a numeri paragonabili a quelli della Grande depressione del 1929.


Bezos è stato a lungo l’uomo più ricco del pianeta, ma il fatto che durante una recessione economica così intensa continui ad accumulare somme di denaro sterminate, tipo Zio Paperone, rivela per l’ennesima volta le depravazioni del nostro sistema economico.
Che una singola persona sia spudoratamente ricca in questa misura mentre così tante persone a malapena sopravvivono non è solo inquietante e immorale, è un attacco ai principi democratici e alla possibilità per tutti di vivere una vita dignitosa.
Amazon, che impiega quasi un milione di persone in tutto il mondo, è il secondo datore di lavoro privato negli Stati uniti.
Mentre l’azienda si vanta del modo in cui tratta i propri dipendenti – un salario minimo di 15 dollari, «assistenza sanitaria completa», tempo libero pagato – i lavoratori di Amazon raccontano una storia molto diversa.
Dagli addetti alla tecnologia a quelli del magazzino, i dipendenti di Jeff Bezos hanno suonato campanelli d’allarme sia sulle loro condizioni di lavoro che sulla condotta generale dell’azienda.
Nei «centri logistici di Amazon», i dipendenti stanno in piedi per tutto il turno, per cercare, raccogliere e spostare oggetti che sono infine destinati ai clienti. Un lavoratore nel corso di un turno arriva a percorrere quasi 20 chilometri, e non è raro che le persone collassino o si ammalino per il troppo caldo o la stanchezza eccessiva.
La società «suggerisce» che i lavoratori usino il bagno solo durante le pause concordate, il che ha portato alcuni a ricorrere alla minzione in bottiglie e altri a indossare dei pannoloni durante il lavoro.
Perché i magazzini sono enormi – vanno da 120 mila a 400 mila metri quadrati – e raggiungere il bagno finisce per rubarti buone fette di quel «tempo libero», che Amazon traccia automaticamente. Troppo tempo libero può comportare l’interruzione, anche se quel tempo è stato usato solo per andare in bagno.
E poiché così tanti lavoratori hanno contratti temporanei, sperando di essere resi permanenti, affrontano una pressione significativa per rimanere produttivi il più umanamente possibile.
Per i colletti bianchi, le condizioni sono meno pericolose dal punto di vista fisico, ma possono essere ugualmente sfiancanti. Un’inchiesta del New York Times del 2015 cita un ex lavoratore del settore marketing dei libri al quale rimarrà impressa una scena, scrisse il Times, «stava guardando le persone piangere in ufficio, uno spettacolo descritto anche da altri lavoratori. ‘Esci da una sala conferenze e vedrai un uomo adulto che si copre la faccia – raccontano – Ho visto piangere sulla scrivania quasi ogni persona con cui ho lavorato».
Altri hanno riferito di aver attraversato eventi traumatici come il cancro o aborti spontanei (o anche quelli felici come diventare genitori) per poi essere fatti fuori. Un dirigente delle risorse umane ha ricordato di essere stato costretto a mettere una donna alla quale era appena morto il figlio durante il parto in un piano di miglioramento delle prestazioni.
Forse non a caso, l’incarico medio in Amazon dura soltanto un anno e nei magazzini c’è un turn-over di oltre il 100%.
Questo stato di agitazione permanente rende difficile l’organizzazione: i lavoratori non restano abbastanza a lungo da costruire le relazioni necessarie per dare vita a organizzazioni durature, figuriamoci per eleggere i propri rappresentanti sindacali.
E i lavoratori di Amazon che hanno parlato delle loro condizioni e hanno cercato di organizzarsi sono stati colpiti da ritorsioni e spesso licenziati. All’inizio di questa primavera, Chris Smalls, che lavora ad Amazon a New York, è stato buttato fuori dopo aver organizzato un’interruzione del lavoro in un magazzino a Staten Island, per protestare contro la mancanza di indennità di rischio e dispositivi di protezione durante la pandemia di Covid (Amazon nega che Smalls sia stato licenziato per il suo attivismo). Anche quelli che si occupano del rapporto con i clienti (gli user experience designer) che hanno criticato le condizioni di lavoro nei magazzini Amazon in solidarietà con i loro colleghi meno pagati sono stati messi alla porta.
Sebbene le ritorsioni per attività sindacale siano illegali, sono difficili da dimostrare e producono conseguenze legali trascurabili, per questo negli Stati uniti dilagano. Quando i lavoratori vedono che i loro colleghi perdono il lavoro per aver parlato, sono meno propensi ad alzare la testa per organizzarsi, soprattutto quando la disoccupazione è alle stelle. Ecco perché i capi fanno quello che fanno, ed è uno dei motivi per cui Jeff Bezos è il padrone più ricco in circolazione.
Nonostante questi rischi, gruppi di lavoratori di Amazon si sono uniti, sia come Amazonians United che come Amazon Workers International, e hanno formato coalizioni con altri lavoratori a basso salario – riconoscendo che l’organizzazione nel luogo di produzione è l’unico modo per recuperare la ricchezza e il potere di Bezos. Avranno bisogno del sostegno dei sindacati esistenti e della sinistra organizzata (bisognerebbe andare a lavorare ad Amazon). Formare un sindacato e magari lottare per portare avanti le proprie rivendicazioni è già difficile, ma questi lavoratori si scontrano con uno degli uomini più potenti del mondo.
L’impero di Jeff Bezos si estende ben oltre Amazon: possiede Whole Foods e il Washington Post, insieme a decine di altri negozi online e società di social media. Vanta investimenti in Airbnb, Uber, Google e Business Insider, tra gli altri. La sua portata è già enorme, il che significa che lo è anche la sua forza lavoro:  l’accumulazione dei salari non pagati di questi lavoratori è ciò che lo ha reso così oscenamente ricco.
Immaginate se la ricchezza di Bezos, anziché essere utilizzata per acquistare la casa più costosa mai venduta in California, fosse impiegata per finanziare l’assistenza sanitaria universale, l’alloggio, l’assistenza all’infanzia e molto altro per milioni di lavoratori. Immaginate se Bezos venisse scalzato dal suo piedistallo plutocratico e i lavoratori di Amazon diventassero il punto di riferimento di un’economia che non facesse gli interessi dei miliardari, e tanto meno dei trilionari.
A quel punto ci sarebbe davvero qualcosa per cui varrebbe la pena di festeggiare.

*Mindy Isser è attivista sindacale, vive Philadelphia. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Giuliano Santoro.

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