sabato 30 maggio 2020

"Covid colpisce i più poveri. Per far spendere servono lavori decenti e durevoli".

Intervista a Enrico Giovannini. "Aumenta il prezzo dei beni alimentari, mentre gli altri scendono". Il virus produce più diseguaglianze perché "investe un paese già fragile e con un welfare inadeguato".

Professore Enrico Giovannini, sono passate poche ore dalle Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia. Lei era a via Nazionale per ascoltarlo. “Finita la pandemia avremo più diseguaglianze”, ha detto Visco. Cosa c’è dentro queste diseguaglianze?
Il Covid-19 ha colpito un Paese già fragile, con un sistema di welfare non disegnato per affrontare una crisi di queste proporzioni. E ha colpito in maniera violenta chi già era in difficoltà. Paghiamo il prezzo di una situazione sociale già indebolita.
Quale?
Prima della crisi, il 27% della popolazione italiana era a rischio povertà ed esclusione sociale. Parliamo di oltre 16 milioni di persone. Di queste, cinque milioni circa erano poveri assoluti e gli altri erano persone che vivevano in famiglie con una bassa intensità lavorativa o in situazione di disagio. Ma anche in famiglie che di fronte a spese impreviste di 800 euro non sapevano come fronteggiarle.
Il virus ha inferto un colpo durissimo. I poveri, come ha detto Visco, hanno perso il doppio. I dati Istat di oggi dicono che i prezzi sono nel complesso scesi, ma quelli dei beni alimentari sono aumentati. Andiamo incontro a una difficoltà crescente per molti di comprare un chilo di pane o un pacco di pasta?

Alcuni aumenti si stanno sentendo subito sul portafoglio perché sono legati ad acquisti quotidiani. Il carrello della spesa aveva già avuto un netto aumento e in una situazione come l’attuale è normale che gli alimentari abbiano forti fluttuazioni. Queste dinamiche colpiscono i più poveri. Alcuni servizi, come la luce e il gas, hanno avuto un calo e in parte compensano, ma solo in parte.
La fase 2 si è avviata, ma gli italiani non spendono. Sempre l’Istat dice che i consumi sono crollati del 5,1 per cento. Quando potrà esserci un’inversione di tendenza?
Il punto cruciale è proprio questo, è crollata la propensione al consumo. Prima eravamo in casa e non potevamo fare una serie di spese. Ora che siamo usciti dal lockdown se si chiede alle famiglie come vedono l’economia e il futuro, le risposte sono molto pessimiste. Ma se gli si chiede come vedono il proprio bilancio familiare, dicono che c’è un peggioramento, ma non fortissimo.
Ci spieghi meglio questa percezione del bilancio familiare.
Il reddito non è caduto nello stesso modo per tutti. Alcuni, chi già era fragile e povero, hanno avuto un calo maggiore. Ma gli interventi del Governo, il fatto che il 70% delle attività siano rimaste potenzialmente aperte durante il lockdown e che una parte del Paese abbia continuato a funzionare regolarmente fanno dire a molte famiglie che non si è perso troppo. Ma questo non significa che si sta tornando a spendere. Oggi c’è la voglia di risparmiare, i portafogli sono chiusi.
Come si riaprono i portafogli degli italiani?
Innanzitutto, bisogna creare lavoro decente. Il lavoro è molto più che il reddito che si riceve. Il lavoro è una prospettiva di vita. Servono lavori decenti e durevoli.
Il Covid-19 di posti di lavoro ne ha bruciati e ne brucerà a migliaia. Per Confindustria quasi un milione. Come si creano posti di lavoro dopo una crisi di questa portata?
In molti modi. Ad esempio, lo Stato deve avviare rapidamente progetti infrastrutturali per colmare i ritardi del nostro Paese, magari utilizzando green bond per raccogliere il risparmio disponibile, vista la loro finalizzazione mirata allo sviluppo sostenibile. Bisogna sostenere le imprese che creano lavoro di qualità. D’altra parte, con il Mes si potrebbe investire per superare le diseguaglianze territoriali e di accesso alla salute del nostro sistema sanitario. Si potrebbe sviluppare la telemedicina e l’assistenza domiciliare, o procedendo alla sanificazione delle bidonville in cui vivono centinaia di migliaia di irregolari che abbiamo giustamente regolarizzato e considerato essenziali. E poi mettendo mano alla Pubblica amministrazione.
In che modo?
 C’è una potenzialità enorme nella Pubblica amministrazione, quella del turn over. Nei prossimi anni andranno via 500mila persone. I nuovi assunti vanno selezionati con nuovi saperi e con criteri diversi da quelli del passato. Anche così si crea lavoro, reclutando cioè giovani, aperti all’innovazione, pagandoli adeguatamente e soprattutto facendoli sentire parte di un progetto di rinnovamento del Paese.
Il primo step della ripresa, quindi, è passare dal portafoglio chiuso degli italiani a un lavoro capace di rimettere in moto i consumi. Come deve andare avanti questo percorso?
 Intendo leggendo con attenzione i dati disponibili. Da tanti anni mi batto per andare oltre il Pil per capire lo stato di un Paese. Ad esempio, l’opinione pubblica non ha capito che i fondi messi a disposizione dal Governo riducono fortemente l’impatto della crisi sul reddito disponibile delle famiglie, dato poco citato dalla stampa. D’altra parte, si sta cercando di raggiungere anche i molti che non avevano una protezione. Il Reddito di emergenza che abbiamo proposto e che è stato istituito va pubblicizzato, cosa che non si sta facendo. Ma sul welfare bisogna rimettere in discussione molte cose.
Tipo?
Il welfare è stato disegnato fino ad oggi così: i dipendenti sono coperti da ammortizzatori sociali, mentre gli autonomi si organizzano in modo diverso e proprio per questo hanno una contribuzione più bassa. Questo patto è andato in crisi con il Covid-19 e anche gli autonomi vengono aiutati dalle finanze pubbliche. Bisognerà discutere se questo è il modello che vogliamo continuare ancora a seguire o meno.
Fermiamoci al Reddito di emergenza. C’è chi punta il dito contro il governo lamentando che si tratta dell’ennesima misura assistenzialista. Il Paese non avrebbe bisogno di interventi a lungo periodo, più strutturali?
 Innanzitutto, il Reddito di emergenza va a chi non riceve altri sussidi e cerca di impedire che le persone più fragili e povere finiscano nelle mani della criminalità organizzata. Ma è soprattutto un’occasione straordinaria per lo Stato di entrare in contatto con gli invisibili. Il passo successivo è proporre loro un programma di formazione piuttosto che il microcredito, cioè strumenti che li aiutino a “rimbalzare avanti”.
Riprendiamo il nostro percorso. Riforma della Pubblica amministrazione, un nuovo welfare. E poi?
 Non dobbiamo ripetere l’errore che gli economisti fecero nel 2008. Oggi, come allora, la crisi non colpisce solo lo stock di capitale economico, ma anche lo stock di capitale umano (le competenze e i saperi) e lo stock di capitale sociale, che ha a che fare con la coesione sociale. Se non si opera per la ricostituzione di tutte le forme di capitale impattate dalla crisi usciremo da questa crisi indeboliti e incapaci di creare benessere, come successo nelle crisi precedenti.
Insomma, serve un ribaltamento. Un po’ quel “cambio strutturale” dell’economia che ha invocato Visco.
 Esattamente. Dobbiamo cambiare le nostre politiche, orientandole ad uno sviluppo sostenibile da tutti i punti di vista. Parlo di una proposta che abbiamo avanzato come Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS). Noi spendiamo 19 miliardi all’anno per sussidi dannosi per l’ambiente. Se li eliminassimo, e usassimo 10 miliardi per tagliare il cuneo fiscale, stimolando la competitività e dando reddito ai lavoratori, 5 miliardi per sussidi alle imprese per convertirsi all’energia rinnovabile e all’economia circolare, con 4 miliardi li destinassimo ad un piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile, lei crede che qualcuno avrebbe il coraggio di alzare la voce e dire che questo non si può fare?
I soldi, almeno sulla carta, ci sono. L’Europa ha appena approvato il Recovery Fund. Dentro al governo, però, già si litiga per come spenderli. Dove devono andare a finire tutti questi soldi che avremo da gennaio?
 Il Recovery Fund è un’occasione unica che l’Europa e l’Italia hanno per una trasformazione profonda, nel senso dello sviluppo sostenibile. Basta leggere con attenzione la proposta per capire che i fondi messi a disposizione non potranno che finanziare progetti per la digitalizzazione, la transizione ecologica, la formazione, la riforma della giustizia, l’aumento dell’efficienza della pubblica amministrazione. Cioè per trasformare il sistema socioeconomico nella direzione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, scelto l’anno scorso dalle istituzioni europee come quadro di riferimento per il futuro dell’Unione. E questo è un bene per il nostro Paese, ma smettiamo subito di sognare utilizzi non compatibili con le strategie europee. Questo paese non rimbalzerà in avanti se la produttività non cresce. E se non cresce la produttività allora non crescono né il reddito né l’occupazione. Se non facciamo così le uniche cose che cresceranno, come ha detto Visco, saranno il debito e le diseguaglianze.

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