“Con
la pandemia da Covid le persone sono affamate e senza casa e senza
lavoro, cosa ci si può aspettare? Penso che stia per accadere a masse di
persone nel Paese. Potremmo raggiungere il punto che diventi una guerra
civile”
Un abitante di Minneapolis di 54 anni a proposito dei riot
“Il nostro fine è decimare quella forza il prima possibile”, ha dichiarato il governatore del Minnesota Tim Walz dopo la quarta notte consecutiva a Minneapolis di riot, nonostante il coprifuoco imposto dopo le otto di sera.
Non
è servita a calmare gli animi l’imputazione per omicidio di terzo grado
formulata venerdì per Derek Chavin, il poliziotto che lunedì ha ucciso
George Floyd.
Questo
atto giudiziario è successivo al licenziamento degli agenti che hanno
preso parte a quello che è stato a tutti gli effetti un linciaggio a
danno di un afro-americano, avvenuto in seguito ad una segnalazione di
un reato minore e “non-violento”.
Sono emersi dei particolari sulla ventennale carriera del poliziotto assassino
tre volte coinvolto in sparatorie e 10 volte comparso di fronte alla
Civilian Review Authority e all’Office of Police Conduct a causa delle
denunce sulla sua condotta.
Il
fatto che fosse ancora regolarmente in servizio la dice lunga
sull’impunibilità di cui godono alcuni profili. all’interno delle forze
dell’ordine.
Nemmeno
la Guardia Nazionale è riuscita ad avere la meglio sugli insorti fino
ad ora, e per sabato notte è stata mobilitata al completo: 13.200 unità
chiamate a fronteggiare la rabbia che si è estesa al resto del Paese.
“Il caos assoluto”, ha dichiarato sempre Walz.
Sono più di 30 le città che hanno conosciuto mobilitazioni, stando alla mappa del New York Times, ed una dozzina hanno conosciuto manifestazioni violente.
A gettare benzina sul fuoco ci ha pensato Donald Trump, che ha di fatto legittimato l’azione violenta contro i manifestanti.
The Orange Man
ha praticamente “citato” il capo della polizia di Miami Walter Headley
che, interrogato nel 1967 sul perché non ci fossero stati tumulti nella
comunità afro-americana della Florida, al picco delle insurrezioni nei
ghetti metropolitani, disse: “when the looting starts, the shooting stars”, cioè “quando iniziano i saccheggi, iniziano gli spari”.
Un
segnale, diciamo, che sembra essere stato colto da colui che ha sparato
a Detroit contro la folla di manifestanti, uccidendo un ragazzo
Come
anche le settimane precedenti hanno dimostrato, i gruppi di estrema
destra manifestano impunemente armati, con il beneplacito della Casa
Bianca, e l’uso di quelle non è proprio una ipotesi peregrina.
Intanto
Trump, attraverso il Dipartimento della Difesa, ha paventato la
possibilità di utilizzare l’esercito in funzioni di polizia, ovvero la
polizia militare per pattugliare le strade.
“Duri, forti e rispettati”, ha detto delle unità della polizia militare, facendo indirettamente propaganda agli “antifa” citandone alcuni slogan.
Questi ultimi hanno chiamato a partecipare alle manifestazioni…
La possibilità di utilizzare le military police units è data da una legge del 1807 – l’insurrection act – utilizzato l’ultima volta nel 1992 per reprimere la rivolta di Los Angeles.
In sei mesi vennero compiuti 12 mila arresti, con una caccia all’uomo che sembra già iniziata in questi giorni.
Colin
Kaepernick, il giocatore di football americano che per primo alcuni
anni fa si era messo in ginocchio in segno di protesta durante
l’esecuzione dell’inno nazionale nel pre-partita, ha dichiarato che ha
attivato una squadra di avvocati di alto livello e pagare le spese
legali per coloro che subiranno conseguenze giudiziarie in seguito alla
partecipazione delle proteste.
Il famoso quarterback
afro-americano, diventato l’atleta più famoso nella nuova stagione
della “coscienza nera” dopo le proteste di 5-6 anni fa, ha dichiarato: “when civility leads to death, revolution is the only logical reaction”; legittimando di fatto i riots,
a differenza del rapper Killer Mike, che ad Atlanta, con un messaggio
molto mediatizzato, ha invitato a manifestare in modo pacifico.
Si
è riconfermato l’antico copione, con differenti eletti afro-americani
che hanno preso parola per condannare le .mobilitazioni quando assumono
un profilo “violento”. Va ricordato che da parte di una polizia
“ultra-militarizzata” viene fatto uso abbondante di gas lacrimogeni e
pallottole di gomma.
Tornano alla mente le parole del reverendo M.L. King – “più devoti all’ordine che alla giustizia” – davanti alla “buona coscienza” di questi membri dell’establishment democratico.
È
comunque chiaro che, anche se ancora lontani dalle espressioni di
violenza che hanno caratterizzato le insurrezioni urbane statunitensi
della seconda metà degli anni sessanta. culminate con l’estate di Watts
nel ’67, la determinazione dei manifestanti sta diventando un fatto
politicamente rilevante.
Le parole del governatore del Minnesota sono laconiche: “semplicemente sono più loro di noi”. Segno che non si tratta di un pugno di persone, ma di una rivolta di massa.
Come
si evince da numerose interviste e testimonianze, le attuali
mobilitazioni sono uno “spartiacque” per una generazione che ha deciso
non solo di appoggiare idealmente, ma di sostenere concretamente, la
protesta.
Come ha detto una 27enne ad una giornalista del “NYT”: “devo essere parte della storia, devo essere parte del cambiamento”.
Colpisce
positivamente la reazione di una parte rilevante del movimento
sindacale della città del Minnesota, che ha alle spalle una importante
esperienza di organizzazione di lavoratori.
Circa 400 sindacalisti hanno sottoscritto una petizione online, aprendo la pagina FB Union members for #justiceForGeorgeFloyd e gli autisti degli autobus aderenti all’Union Bus Drivers si sono rifiutati di trasportare agenti e persone arrestate, non volendo collaborare con la macchina repressiva contro i manifestanti.
Particolarmente solidali si sono dimostrati gli insegnanti e i lavoratori dei magazzini di Amazon.
Una indagine di ACLU nel 2015 mostrava che le
violenze toccavano 8,7 volte in più gli afro-americani, nonostante che
solo una piccola parte – il 5,4% – vivesse nella città, riporta il Financial Times.
Altri due dati costringono ad interrogarsi non sul perché sia scoppiata la rabbia, ma perché sia ancora tutto sommato contenuta.
Gli afro-americani costituiscono il 13% della popolazione americana, ma
sono il 25% dei 100 mila morti deceduti al coronavirus. Delle 5 mila
persone uccise dalla polizia, dal 2015 a oggi, i neri sono il doppio dei
bianchi. Se poi guardiamo alla popolazione carceraria, questa
strutturale disparità causata dalla “linea del colore” apparirebbe
ancora più netta.
We got to fight the power that be… Cantavano i “Public Enemy” in una canzone profetica.
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