Mentre
l’esplosione di ottobre del 2019 era dettata principalmente dalla
motivazione della dignità della vita, dell’abolizione delle
disuguaglianze e dell’esigenza di giustizia sociale, quella attuale è
all’insegna della ribellione contro la fame vera e propria che ormai
investe interi quartieri della capitale e l’intero paese.
Complice
l’inasprirsi delle condizioni di vita a causa della pessima gestione
della pandemia che ha colpito pure il Cile, la rabbia e la disperazione
della popolazione, come era da aspettarsi, sono ormai incontenibili.
Nessuna
misura sanitaria seria è stata presa dal governo, che solo pochi giorni
fa ha dichiarato la “quarantena totale” nella zona metropolitana di
Santiago, mentre fin da subito si era affrettato a mettere il coprifuoco
notturno (come se il virus di giorno dormisse e si attivasse solo di
notte…) e piazzare l’esercito per strada (oltre ad aver acquistato nuovi
carri armati di ultima generazione da Israele. Notoriamente
raccomandati in caso di catastrofi sanitarie…
La
sanità quasi totalmente dedita al lucro delle cliniche private (come da
manuale neoliberista) non ha strumenti di sorta per affrontare la
situazione in tempi normali, figuriamoci in emergenza.
Nessuna
misura sanitaria e meno che mai misure di sostegno alla popolazione che
comunque si auto proteggeva con gli strumenti dell’ingegno e della
solidarietà collettiva sviluppati soprattutto durante l’esplosione
sociale di ottobre.
La
“Primera Linea” disinfetta la metro e fornisce aiuto ai più bisognosi e
fragili e tornano le “ollas comunes” nei quartieri popolari. Non se ne
parlava più dagli anni ’70. Ora sono tornate ad essere una forma di
solidarietà indispensabile alla sopravvivenza dei quartieri popolari.
Come al tempo della dittatura di Pinochet.
Aggiungendo
alla quotidiana repressione violenta dei carabineros, (che,
naturalmente su specifici ordini della politica, non si fanno sfuggire
l’occasione per liberarsi di sindacalisti e attivisti andando a pescarli
nelle loro case come ai vecchi tempi…), come ciliegina sulla torta si
aggiungono la stupidità, l’incompetenza, l’arroganza e l’atteggiamento
provocatorio della classe politica ai posti di governo ed alla
presidenza.
Tutto
questo, ma soprattutto la necessità di mettere qualcosa nei piatti
delle famiglie almeno una volta al giorno, hanno portato all’esplosione
del quartiere El Bosque il 18 maggio. Una vera rivolta popolare che ha
infiammato subito anche altri quartieri popolari come un cerino in un
pagliaio.
Non
sono le oceaniche manifestazioni centrali che hanno riempito il centro
di Santiago da ottobre a dicembre, ma sono diffuse nei territori, come
richiede l’isolamento dovuto alla pandemia del resto…
Qua
di seguito un articolo della Radio Universidad de Chile in cui una
consigliera comunale del PC (con una piccolissima, e quindi tollerabile,
dose di autocelebrazione) analizza la situazione vissuta il 18 e lo
storico Sergio Grez (che da tempo è impegnato nel comune di El Bosque ed
altri comuni per la cancellazione di monumenti e spazi ancora dedicati a
personaggi della dittatura), con la consueta lucidità d’analisi che lo
contraddistingue, fa un collegamento tra le due esplosioni sociali del
18.
*****
Concejala Margarita Urra de El Bosque: “Les pido que resistan por favor, tenemos que aguantar”
La
consigliera sollecita al governo l’implementazione urgente dei un
Reddito d’Emergenza. La richiesta, la fa sulla stessa linea di quanto
segnalato dalla Cepal [n.d.t.:Comisión Económica para América Latina y
el Caribe. Istituto dell’ONU ] poco più di una settimana fa quando ha
chiesto ai governi latinoamericani di consegnare una somma di 147
dollari mensili ai settori più vulnerabili.
Nel
primo giorno utile della quarantena totale decretata dall’Esecutivo nel
Gran Santiago, gli abitanti di El Bosque sono stati protagonisti di
proteste per la misura che impedisce loro di lavorare e, di conseguenza,
di hanno le risorse per mantenersi durante il periodo di vigenza della
misura sanitaria.
Per
oltre dieci ore si sono susseguite le manifestazioni, mentre i
Carabineros agiscono con la forza contro gli abitanti mediante i carri
lancia acqua e bombe lacrimogene. 22 persone sono state arrestate con
differenti accuse.
Questo martedì, nella prima edizione di Radioanálisis, la consigliera comunale, Margarita Urra (PC)
ha analizzato la situazione vissuta nella giornata precedente e ha
chiesto al Governo di prendere misure più coerenti con le necessità
della cittadinanza.
“Noi
abbiamo un lavoro non solo nel comune di El Bosque, ma anche in
distinti comuni dell’area metropolitana con gruppi di comitati di allegados
[n.d.t.: persone che devono aggiungersi, allegarsi ad altre famiglie,
parenti o amici perché non hanno soldi sufficienti per comprare o
affittare casa]. A El Bosque si sa perfettamente come sta e come
resiste la gente e io, con le richieste di quarantena e la mancanza di
soluzioni economiche, vedevo che ci sarebbe stato un gran problema con
la forma in cui avrebbero resistito le famiglie, dopo la tremenda
disoccupazione che è seguita all’esplosione sociale”, ha sottolineato la dirigente anche del movimento di allegati “Los Sin Tierra”.
In
quanto alla mancanza di risorse dei municipi che chiedono di dare più
rapida soluzione agli abitanti, la consigliera ha spiegato che le
famiglie non conoscono come funziona il sistema di consegna dei buoni e
delle merci, ma non sono gli unici a non capire il funzionamento degli
annunciati aiuti del Governo.
“Noi
non siamo un comune come Las Condes, siamo un comune dormitorio in cui
non ci sono grandi imprese né niente di simile, perciò la gente è
disperata, colpita psicologicamente, però, soprattutto, economicamente
perché non può muoversi, non può uscire per lavorare, non può mettersi
in fila al mercato perché non è permesso dalle misure sanitarie. La
popolazione non conosce, e neanche noi come autorità, quali siano i
criteri che si stanno usando per la distribuzione dei buoni e dei
panieri. Inoltre i panieri, tutt’al più dureranno una settimana e non
hanno beni necessari per resistere realmente. I servizi base come la
luce e l’acqua non aspettano, non c’è gas per cucinare o combustibile
per riscaldarsi e niente di tutto questo è nelle priorità del Governo.
Quando tutti esigevano la quarantena, io chiedevo un salario
d’emergenza affinché la famiglia decida se comprare medicine o pagare la
luce o se mettere qualcosa in pentola, questo non succede solo a El Bosque, ma in tutti i comuni vulnerabili: La Pintana, Quinta Normal, eccetera”.
Circa
la situazione che colpisce gli “allegados”, Margarita Urra ha detto che
il suo raggruppamento ha chiesto al Ministero competente di aprire la
possibilità che la gente possa fare richiesta di alloggio anche senza
avere il requisito dei risparmi sul libretto, in modo da usare quel
risparmio per resistere “perché non si vedeva luce di soluzioni
economiche dirette per la gente. Oggi si parla, ma non abbiamo chiaro il
criterio che si usa per consegnare le risorse alla popolazione”, ha detto la consigliera.
“Le autorità parlano delle necessità della popolazione, ma non ascoltano la popolazione. Se
solo potessimo incidere nelle decisioni che si stanno prendendo a
livello di Governo potremmo dirgli in che modo debbano essere applicate
le misure e quali sono i settori più vulnerabili e bisognosi in questo
momento. I sindaci si stanno disperando in differenti istanze cercando
di farsi ascoltare”, ha affermato la dirigente.
Consultata
rispetto alla scarsità di esami PCR, l’autorità comunale è stata molto
critica verso la gestione dell’autorità sanitaria. “Non abbiamo
possibilità di fare esami alla popolazione e neanche ci si spiega il
perché. Noi consiglieri siamo quelli che stiamo con la gente, quelli che
diamo risposte alle domande, quelli che cerchiamo di contenere e il
governo non consulta non consulta i sindaci e meno che mai noi. Non so
chi consulta o se ascolta solo il mercato e gli imprenditori, sicuro la
popolazione non l’ascolta nessuno. Governano solo per sé stessi e questo non va bene, bisogna governare per un popolo completo e quello che il popolo esige non è un cesto familiare, ma un reddito d’emergenza a livello paese”.
Sulla situazione dei centri assistenziali, Margarita Urra ha fatto riferimento alla saturazione dei consultori. “Prima
dell’esplosione sociale avevamo il grande problema dell’accoglienza
degli ospedali , oggi con la pandemia già sappiamo che non ci sono letti
e meno che mai ventilatori. Sappiano perfettamente che siamo collassati
e pure che non ci sono hotel sanitari per i contagiati. A El Bosque
abbiamo il caso di una giovane madre diagnosticata e che stava nella sua
baracca con un figlio tra 6 a 8 anni: per lei non ci sono stati hotel
sanitario né misure di distanziamento per salvaguardare suo figlio. Oggi
è ricoverata a El Pino”.
“Sappiamo
che se ci ammaliamo, per noi non c’è possibilità di andare in ospedale e
credo che già sia iniziato il processo di scelta di chi può o no essere
connesso a un respiratore meccanico”, ha affermato.
Infine, la consigliera ha fatto un appello urgente ai suoi concittadini a resistere. “Chiedo alla gente del popolo di resistere. Non
è un appello alla violenza né niente di simile, chiedo solo che
resistano per favore, dobbiamo resistere, dobbiamo superare questa
pandemia al di là della sordità dello Stato. Resistete, non rischiate le
vostre vite”.
Nuova tappa della protesta sociale: i moti della fame.
Le
mobilitazioni di lunedì a El Bosque sono state solo quelle più
documentate dai media, ma in altri settori della capitale come La
Pintana, La Victoria, la Villa Francia, Pudahuel e anche in altre città
del resto del paese come San Antonio, Antofagasta, Arica, Concepción o
Valparaíso, si sono vissute proteste che costituiscono, secondo la
definizione dello storico Sergio Grez, una nuova fase della ribellione popolare iniziata il 18 ottobre.
“Come
ogni movimento sociale di protesta, questo ha conosciuto distinte fasi:
tra il 18 ottobre e il 15 novembre, data dell’Accordo di Pace Sociale e
la Nuova Costituzione, destinato a sviare le proteste popolari verso un
cammino innocuo, si è vissuta una prima fase. Poi è venuta un’altra
tappa che è arrivata fino a metà di marzo, quando la pandemia ha fatto
sì che i movimenti di protesta e rivendicazione fossero obbligati a
rifugiarsi in spazi più piccoli e sulle reti sociali, con manifestazioni
occasionali nelle strade o nei quartieri periferici.
E
sembra che ora stiamo entrando in una terza fase, un periodo di
mobilitazioni sotto le condizioni dell’emergenza sanitaria e in gran
misura scatenata dalla insufficiente preoccupazione delle autorità di
Governo per risolvere gli incalzanti problemi, sommati alle
disuguaglianze strutturali esistenti da decenni nella nostra società.
Bisogna sottolineare che da quando si cominciano a sentire gli effetti
del coronavirus, il Governo si è concentrato principalmente sulla
protezione degli interessi della grande impresa con un disprezzo
assoluto per la salute, la vita e la sorte dei settori popolari e
oggi, della maggioranza della popolazione, perché bisogna anche
includere non solo il 60 per cento più povero, ma anche le cosiddette
classi medie che vivono in una situazione precaria e si mantengono
grazie all’indebitamento permanente. Questo ciclo non sappiano quanto
sarà lungo poiché è scatenato dalle necessità più pressanti. Potremmo
dire che siamo di fronte a moti della fame”, ha dichiarato l’accademico del nostro centro studi.
Questo
risorgere del movimento sociale già era stato preavvisato dalla
Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (Cepal),
organismo che per mezzo della sua segretaria esecutiva, Alicia Bárcena,
ha dato il segnale di allerta per l’America Latina.
“Se
la cittadinanza vede che questa crisi è stata lo shock necessario per
cambiare di mentalità e di modello di sviluppo, potremo avere un miglior
futuro”, ha detto Bárcena in un’intervista a EFE.
La
stessa Cepal ha annunciato che gli effetti economici della pandemia in
questa regione saranno gravi e che l’economia si contrarrà del 5,3 per
cento quest’anno. Con 11,6 milioni di nuovi disoccupati e 215 milioni di
poveri, l’organizzazione dipendente dall’ ONU ha fatto appello ai
governi latinoamericani a implementare con urgenza un reddito di base che permetta alla popolazione più vulnerabile di uscire dalla crisi del
coronavirus. La somma proposta dalla Cepal per il cosiddetto Reddito di
Base per l’Emergenza (IBE) ammonta a 143 dollari mensili per un periodo
di sei mesi.
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