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Pochissimi
votanti, persino nei quartieri dell’establishment romano. A Roma, per
le suppletive della Camera, ha votato appena il 17,66% degli aventi
diritto, ossia quasi 33.000 cittadini.
Dopo
l’analoga elezione a Napoli, la scorsa settimana, anche nella Capitale
si conferma un distacco pressoché assoluto tra popolazione normale e
“interesse per la politica”, nonostante nel “Collegio Roma 1” abiti
proprio quella fetta di popolazione che di politica, affari, appalti,
professioni e intermediazione, vive e che a votare ci va in percentuali
più alte che in altre zone della città.
Scontato
naturalmente il risultato in collegio blindato del Pd che candidava il
ministro dell’economia Gualtieri, membro autorevole proprio di
quell’establishment che nella giornata ha votato per la massima
continuità (questo era stato nel 2018 l’unico collegio in cui il Pd
aveva vinto, eleggendo Paolo Gentiloni, ex presidente del consiglio e
ministro, ora Commissario europeo agli affari economici).
Ha
raccolto – con poche sezioni ancora da scrutinare – oltre il 62%. Del
resto qui il centrodestra gli opponeva il nulla, ossia Maurizio Leo, ex
Alleanza Nazionale un tempo vicino ad Alemanno, che si è presentato con
uno slogan “ alla Catalano” (“per fare bene”, come se gli altri
promettessero di “far male”) e una campagna elettorale praticamente
invisibile. Rastrellando i voti dell’”aristocrazia nera” di Roma ha
portato a casa un 26%.
Scomparsi
i Cinque Stelle, che solo due anni fa avevano stravinto in tutta Roma
(meno che in questo collegio, per i motivi già detti). Rossella Rendina –
poche apparizini di una pochezza imbarazzante… – non arriva neanche al
5%.
Come
a Napoli, la candidata di Potere al Popolo, Elisabetta Canitano,
raccoglie il 2,41%. Francamente un risultato insperato anche tra i più
convinti sostenitori della lista…
Si
è trattato – va ricordato anche ora – di una “incursione in territorio
nemico”, in quartieri la cui composizione sociale medio-alta non vuole
alcun cambiamento perché lo status quo è il massimo cui può aspirare. Lo
si poteva vedere con le facce dei votanti ai seggi: una sfilata da
“isola dei famosi”, con l’ex premier Letta, Zingaretti, il premier
Conte, lo stesso Gualtieri, orde di deputati, senatori, consiglieri
comunali o regionali, assessori, palazzinari piccoli medi e grandi,
architetti e archistar, ingegneri e portaborse di prima fascia.
Ma
anche qui, sicuramente tra le figure della sinistra storica e tra i
giovani, tra le attiviste del movimento femminista e figure della
cultura, il volto e il nome di Elisabetta sono risultati una ventata di
aria fresca, una botta di verità in mezzo all’ipocrisia generale.
Medico
ginecologo, femminista, da sempre attiva nella sanità pubblica e
ovunque una donna avesse bisogno della sua competenza professionale e
della sua umanità, una vita nella “sinistra vera” che si batte per
cambiare le cose – a cominciare dal sistema sanitario – e non per
guadagnarci una poltrona… Il voto per lei era certamente l’unico voto utile possibile.
Fare
grandi ragionamenti su un voto evidentemente falsato da un’affluenza
inferiore al 20% sarebbe però un esercizio di pura retorica,
completamente sbagliato. In fondo si trattava di una suppletiva senza
pathos: qui nessuno poteva giocare seriamente l’argomento-killer “sennò
vince la destra”, perché un deputato in più o in meno, nel mercato delle
vacche “responsabili” che è diventato anche questo Parlamento, non
cambia assolutamente nulla.
E
certamente ha avuto il suo peso anche quel tanto di paura per il
coronavirus (girano più persone con la mascherina al centro che non in
periferia…).
Però,
quel 2,4 ottenuto nel mondo sbagliato dice che è giusto – senza
alternative – lavorare per costruire un soggetto in grado di
rappresentare sul serio la rottura con l’establishment. Un piccolo ma
positivo incentivo a intensificare gli sforzi, concentrandosi ovviamente
sulle periferie abbandonate a se stesse, là dove già lavoriamo e vivono
le figure fondamentali del nostro “blocco sociale”.
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