Il 16 marzo, cioè tra pochi giorni, l’Eurogruppo si riunisce per l’approvazione finale del Mes,
il cosiddetto “Fondo salva Stati”. La decisione dev’essere
all’unanimità, così che se l’Italia si opponesse provocherebbe
quantomeno un rinvio e ulteriori trattative. E’ cambiata qualche cosa
rispetto a quando abbiamo lanciato un appello
affinché l’Italia non approvasse questa riforma? Una riforma, giova
ripeterlo, che non solo non è per il nostro paese di alcun vantaggio, ma
che al contrario può aumentare i rischi che ci colpisca una crisi
finanziaria, per i motivi descritti nell’appello.
Ci dispiace di dover constatare che nulla è cambiato. Il testo
della riforma è rimasto è rimarrà identico (con al massimo qualche
variazione che non toccherà l’impianto generale, limitata al solo
funzionamento delle clausole “Cacs” sul voto dei creditori in caso di
ristrutturazione del debito). Per di più, l’Italia aveva chiesto che si
adottasse una logica di “pacchetto”, che cioè fossero definite insieme
alla riforma del Mes quella sul completamento dell’unione bancaria e
quella sullo “Strumento di bilancio per la convergenza e la
competitività”, in pratica un fondo per promuovere gli investimenti. La lettera del presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno
– inviata a tutti i governi – chiarisce che la richiesta non è stata
nemmeno presa in considerazione: l’approvazione della riforma del Mes –
così com’è – è prevista subito, le altre due riforme sono rinviate agli
anni a venire.
Non solo. Riguardo alla garanzia comune sui depositi, nella lettera
– che riassume le conclusioni di un precedente incontro dei leader – si
dice che si deciderà quando introdurla nel 2024, ma “la decisione
dipenderà dal fatto che siano stati fatti sufficienti progressi nella
riduzione del rischio”. E la tesi tuttora prevalente su che cosa si
intenda in proposito è quella esposta da ultimo dal ministro delle
Finanze tedesco Olaf Scholz, riguardo al trattamento dei titoli sovrani
posseduti dalle banche, che sarebbe esiziale per il nostro paese.
Riguardo allo “Strumento di bilancio”, c’è il mandato a studiarlo, senza
neanche ipotizzare scadenze né accennare alle sue dimensioni. Il
recente scontro sul bilancio europeo, in cui i paesi del nord si sono
fermamente opposti a qualsiasi aumento anche dello zero-virgola, è una
premessa scoraggiante alla realizzazione di uno strumento realmente
efficace.
Mantenere buoni rapporti con gli altri paesi dell’Unione europea
non può significare che accettiamo riforme che ci mettano in grave
difficoltà. Questa, per giunta, non sarebbe dannosa solo per il nostro
paese, ma per tutti, perché è costruita in base alla stesso logica che
si è rivelata profondamente sbagliata. Il fatto che queste riforme
richiedano l’approvazione all’unanimità ha appunto il significato che si
debba ricercare un compromesso che soddisfi – o almeno non danneggi –
tutti i contraenti. In passato non è sempre stato così, e si potrebbe
fare più di un esempio di riforme e regolamentazioni che hanno
svantaggiato l’Italia – e continuano a svantaggiarla – rispetto ad altri
partner. Ci sono peraltro numerosi esempi di paesi membri che hanno
rigettato accordi che non condividevano, per esempio sulla
regolamentazione dell’immigrazione e sul cambiamento climatico, problemi
di importanza non certo inferiore alle questioni finanziarie.
Infine, è in corso una crisi sanitaria la cui evoluzione è
difficile da prevedere, ma che potrebbe comportare la necessità di
profondi cambiamenti nell’assetto europeo. In queste condizioni
elementari considerazioni di prudenza suggeriscono di non introdurre dei
vincoli che potrebbero rivelarsi inopportuni.
In base a queste considerazioni, ripetiamo il nostro appello al
governo, e in particolare al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri:
l’accordo sul Mes non deve essere firmato e al veto bisogna dare il
significato di un rifiuto della logica che ha finora prevalso in Europa e
che si è rivelata perdente dal punto di vista dell’efficacia. Alla
riunione dell’Eurogruppo l’Italia dovrebbe presentarsi proponendo
politiche alternative che aiutino a superare l’attuale emergenza e
riportino l’Unione su un sentiero di crescita e di inclusione.
Roberto Artoni (univ. Bocconi)
Sergio Bruno (univ. Roma La Sapienza)
Sergio Cesaratto (univ. Siena)
Carlo Clericetti (giornalista)
Massimo D'Antoni (univ. Siena)
Antonio Di Majo (univ. Roma 3)
Giovanni Dosi (Scuola Superiore Sant'Anna)
Sebastiano Fadda (univ. Roma 3)
Maurizio Franzini (univ. Roma La Sapienza)
Andrea Fumagalli (univ. Pavia)
Mauro Gallegati (univ. Politecnica delle Marche)
PierGiorgio Gawronsky (economista)
Claudio Gnesutta (univ. Roma La Sapienza)
Riccardo Leoni (univ. Bergamo)
Stefano Lucarelli (univ Bergamo)
Ugo Marani (univ. Napoli l'Orientale)
Massimiliano Mazzanti (univ. Ferrara)
Domenico Mario Nuti (univ. Roma La Sapienza)
Guido Ortona (univ. Piemonte orientale)
Ruggero Paladini (univ. Roma La Sapienza)
Gabriele Pastrello (univ. Trieste)
Anna Pettini (univ. Firenze)
Paolo Pini (univ. Ferrara)
Cesare Pozzi (Luiss Guido Carli e univ. di Foggia)
Riccardo Realfonzo (univ. Sannio)
Roberto Romano (economista)
Guido Rey (Scuola superiore Sant'Anna)
Roberto Schiattarella (univ. Camerino)
Annamaria Simonazzi (univ. Roma La Sapienza)
Alessandro Somma (univ. Roma La Sapienza)
Antonella Stirati (univ. Roma 3)
Mario Tiberi (univ. Roma La Sapienza)
Leonello Tronti (univ. Roma 3)
Andrea Ventura (univ. Firenze)
Gennaro Zezza (univ. Cassino)
(11 marzo 2020)
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