Dei poveri del mondo ce ne dimentichiamo in tempo di
pace, figurarsi in tempo di guerra.
infosannio.wordpress.com Tommaso Merlo
Ma il virus ha attecchito anche
nelle baraccopoli del pianeta, anche nei campi profughi e nei villaggi
di fango. Il panico invece molto meno.
Come se i poveri avessero
anticorpi molto più resistenti alle sventure.
Ma non solo. Finora si
registrano ancora pochi contagiati tra i bassifondi del pianeta, ma il
virus corre veloce e sono i poveri la stragrande maggioranza. Miliardi
di potenziali infetti. In ogni continente. Un gigantesco boomerang in
tempi di pandemia.
La notizia del coronavirus si è diffusa attraverso la
rete e il passaparola.
I poveri ne parlano maneggiando qualche vecchio
cellulare.
Li impressiona vedere il luna park della modernità chiuso
all’improvviso.
Lo pensavano inarrestabile ed invece eccolo penosamente
messo in ginocchio da un microscopico intruso.
Guardano foto, scorrono
notizie. Cercano di capire cosa sia quella specie d’influenza. Leggono
che a morire sono soprattutto anziani di un’età a cui loro non avevano
mai nemmeno pensato di arrivare.
A certe età ci arrivano solo i ricchi
che han sempre avuto un tetto asciutto sopra la testa, il frigorifero
zeppo di leccornie, una vita serena e perfino un ospedale a cui
rivolgersi al minimo dolorino. Lusso sfrenato.
Sui cellulari rimbalzano
le immagini degli ospedali europei. Sembrano navicelle spaziali. Con
tutta quei macchinari luccicanti e fili e dottori bardati come
astronauti.
Scene da film di fantascienza per chi non è ma entrato
nemmeno in un malconcio ambulatorio. Perché troppo lontano, perché
troppo costoso.
Come le medicine. Come tutto il resto.
Scene da film per
chi quando si ammala è abituato a morire. E basta. Il mondo ricco trema
e piange.
I poveri ne parlano affollati tra lamiere e muri di fango.
Leggono di distanziamento sociale quando loro vivono ammassati uno
sull’altro. Da sempre. In una stanza, in una baraccapoli, in un campo
profughi.
Se i poveri del mondo si piazzassero ad un metro uno
dall’altro non ci sarebbe più spazio per i ricchi sul pianeta.
Ammassati
nella vita come davanti a quel vecchio cellulare o alle labbra di chi
sa qualcosa di cosa diamine sia quella pandemia.
Vedono foto di popoli
interi con una mascherina sul muso. Forse ne avrebbero bisogno pure
loro. Ma se scarseggiano per i ricchi, loro dovranno arrangiarsi. Come
sempre.
E coi ricchi allo stremo potrebbero non riceve nemmeno aiuti
umanitari. Leggono di milioni di ricchi chiusi tra le mura domestiche.
Confinati nelle loro regge. Ma sofferenti.
Li vedono agitarsi davanti a
qualche webcam, li vedono esorcizzare la paura cantando fuori dai
balconi ed applaudendo i loro eroi che stranamente non impugnano mitra
ma qualche tubo.
I ricchi hanno paura.
Paura che la festa finisca, paura
della morte. Impensabili fragilità dietro alla corazza.
I poveri non
hai mai avuto il lusso di andare al luna park, non hanno mai avuto il
lusso di poter scappare dalla paura.
Han dovuto imparare ad affrontarla e
a conviverci. Ogni santo giorno.
Assediati dalla miseria o da qualche
guerra.
Oppressi da qualche dittatore o perseguitati da qualche folle
fanatico.
Rinchiusi dentro a qualche filo spinato o tra teli di plastica
sgualcita tra puzza di spazzatura bruciata e senso d’ingiustizia.
Più i
poveri s’informano sul coronavirus più gli sembra una dannata
influenza.
E anche se alla fine non lo fosse, meglio illudersi che lo
sia.
Questione di priorità. Non hanno acqua potabile, non hanno cibo
decente da mettere sotto ai denti. Non hanno un tetto asciutto, non
hanno un futuro.
Se il coronavirus li colpirà, sarà un male tra gli
altri e non certo il peggiore. Niente panico dunque, niente paura. Solo
attesa.
L’eterna attesa degli ultimi. Che il mondo cambi.
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