L'Ue ha ribadito che la sospensione del Patto di stabilità è “temporanea” e “non deve mettere a repentaglio la sostenibilità di bilancio”. Quindi, finita l’emergenza, gli Stati dell’Eurozona devono rimettersi sul duro cammino della disciplina di bilancio. Per l’Italia ciò significherà manovre lacrime e sangue oppure l’intervento della famigerata Troika. Come evitarlo? Ripristinando il ruolo della Bce come prestatore di ultima istanza.
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micromega Alessandro Somma
Il Patto di stabilità viene sospeso: così è stata sintetizzata la decisione della Commissione europea di allentare il percorso cui sono tenuti gli Stati membri per fornire un bilancio in surplus o quantomeno in pareggio. Si è così data l’impressione che l’Europa abbia finalmente deciso di cambiare rotta, di rinunciare al rigido controllo sulla spesa pubblica, a buon titolo ritenuto la causa prima delle attuali difficoltà dei sistemi sanitari a reagire all’emergenza del coronavirus.
Il Patto di stabilità viene sospeso: così è stata sintetizzata la decisione della Commissione europea di allentare il percorso cui sono tenuti gli Stati membri per fornire un bilancio in surplus o quantomeno in pareggio. Si è così data l’impressione che l’Europa abbia finalmente deciso di cambiare rotta, di rinunciare al rigido controllo sulla spesa pubblica, a buon titolo ritenuto la causa prima delle attuali difficoltà dei sistemi sanitari a reagire all’emergenza del coronavirus.
Le cose però non stanno in questi termini, come si ricava
facilmente dalla disposizione concernente la cosiddetta “general escape
clause”, la clausola generale di fuga dal Patto di stabilità sulla quale
si fonda la sua sospensione. Il Patto riguarda il controllo preventivo
sulla disciplina di bilancio dei Paesi dell’Eurozona, ovvero le
procedure volte a impedire che i livelli di spesa pubblica comportino
una deviazione significativa dagli obiettivi di rientro dal deficit. Nel
merito si stabilisce: “la deviazione può non essere considerata
significativa”, e dunque non comporta un intervento repressivo, “qualora
sia determinata da un evento inconsueto che non sia soggetto al
controllo dello Stato membro interessato e che abbia rilevanti
ripercussioni sulla situazione finanziaria generale dello Stato membro, o
in caso di grave recessione economica della zona Euro o dell’intera
Unione” (art. 9 Regolamento 7 luglio 1997 n. 1466 così come modificato
dal Regolamento 8 novembre 2011 n. 1177).
Tutto ciò non comporta però la sospensione del Patto, dal momento
che la sua filosofia di fondo deve comunque essere rispettata. Lo si
dice a chiare lettere nella disposizione appena citata, che ammette
deviazioni rispetto alla disciplina di bilancio solo “a condizione che
la sostenibilità di bilancio a medio termine non ne risulti
compromessa”. E proprio questo è stato ribadito con veemenza dalla
Commissione europea, che ha voluto precisare: l’applicazione della
clausola di fuga dal Patto di stabilità “non deve mettere a repentaglio
la sostenibilità di bilancio”.
Non solo, come sottolineato sempre dalla Commissione, “la
deviazione dagli obiettivi di bilancio deve essere temporanea”, e questo
significa che, finita l’emergenza, gli Stati dell’Eurozona devono
rimettersi sul duro cammino della disciplina di bilancio. Solo che Paesi
come l’Italia si troveranno in una situazione talmente svantaggiata che
si vedranno di fronte a questa secca alternativa: o accetteranno di
varare manovre di bilancio lacrime e sangue, o saranno costretti a
chiedere l’assistenza finanziaria condizionata del Meccanismo europeo di
stabilità (Mes), e dunque a subire l’intervento della famigerata
Troika. Difficile dire cosa sia peggio, facile presagire che in entrambi
i casi l’Europa non si mostrerà certo con il volto di chi esprime
vicinanza a chi soffre.
In tutto questo è quantomeno fantasiosa la richiesta del governo
italiano di impiegare proprio il Mes per soccorrere i bilanci europei
con forme di assistenza finanziaria incondizionata. Questa possibilità
non è infatti contemplata dal Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea, che prevede l’istituzione di un “meccanismo di stabilità da
attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona
Euro nel suo insieme”, precisando che “la concessione di qualsiasi
assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà
soggetta a una rigorosa condizionalità” (art. 136).
Il tutto viene ribadito nel Trattato istitutivo del Mes (del 2
febbraio 2010), dove si parla di “sostegno alla stabilità” unicamente
“sulla base di condizioni rigorose”, definite all’esito di una
valutazione sulla “sostenibilità del debito pubblico” del Paese
richiedente assistenza (art. 13). Si prevede nel merito la possibilità
di ottenere prestiti con una “linea di credito condizionale
precauzionale”, ma questa viene riservata ai Paesi con “una situazione
economica e finanziaria fondamentalmente sana”, ovvero non all’Italia.
Per quest’ultima è disponibile solo una “linea di credito soggetta a
condizioni rafforzate”, quindi prigioniera del meccanismo perverso delle
condizionalità, oltretutto solo se si accerta che la “situazione
economica generale” del Paese “rimane sana” (art. 14). Altrimenti
restano i “prestiti” per il supporto alla stabilità concepiti per i
Paesi con difficoltà a reperire risorse sul mercato, condizionati a un
ampio “programma di aggiustamento macroeconomico” (art. 16): come quelli
che sono stati gestiti dalla Troika e che hanno interessato Cipro tra
il 2013 e il 2016 e la Grecia tra il 2015 e il 2018.
Ci sarebbero poi altre due possibilità, anch’esse incastrate in un
regime di condizionalità: il “meccanismo di sostegno al mercato
primario” (art. 17) e il “meccanismo di sostegno al mercato secondario”
(art. 18), ovvero l’acquisto di titoli del debito pubblico direttamente
dallo Stato emittente, nel primo caso, o da chi li ha acquistati dallo
Stato emittente, in massima parte banche e istituti di credito, nel
secondo caso.
La prima possibilità è un’esclusiva del Mes, l’unica istituzione
europea a cui non si applica il “principio del non salvataggio
finanziario”, per cui “l’Unione non risponde né si fa carico degli
impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli enti regionali,
locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di diritto pubblico o
da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro” (art. 125 Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea). Se però il Mes può derogare a questo
principio, è solo perché l’assistenza finanziaria prestata è sottoposta
a rigida condizionalità: il Meccanismo può operare come acquirente di
ultima istanza dei titoli del debito pubblico, ma lo può fare solo
imponendo la disciplina di bilancio prevista dal Patto di stabilità. Con
ciò predisponendo cure peggiori del male.
La soluzione migliore sarebbe allora il ricorso, come acquirente di
ultima istanza, alla Banca centrale europea (Bce), anche perché solo
questa dispone della potenza di fuoco necessaria a fronteggiare
un’emergenza come quella attuale: il capitale versato di cui dispone il
Mes non arriva alla metà delle cifre appena messe a disposizione dalla
Bce per il programma di acquisto di titoli del debito pubblico sul
mercato secondario (il quantative easing). Programma che però beneficia
le banche e gli istituti di credito da cui verranno acquistati i titoli
del debito, sicuramente con ricadute positive sulla finanza, ma
altrettanto sicuramente non anche sull’economia reale.
Certo, come si è detto, la Bce non può acquistare titoli del debito
direttamente dagli Stati, ma neppure il Mes può farlo fuori dal
meccanismo delle condizionalità. In entrambi i casi occorre modificare i
Trattati, nel primo il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e
nel secondo anche il Trattato istitutivo del Mes. E in entrambi i casi
si tratta di una procedura lunga e soprattutto dall’esito altamente
improbabile, dal momento che occorre l’unanimità degli Stati contraenti.
Non meno complessa appare la strada verso i gli Eurobonds, per
l’occasione battezzati coronabonds, ovvero l’emissione di titoli del
debito da parte dell’Europa, che però non potrebbe essere finanziata dal
magro bilancio dell’Unione. Per alcuni dovrebbe allora intervenire il
Mes, ma non si capisce come la cosa possa funzionare, stante il silenzio
sul punto del Trattato istitutivo del Meccanismo: per sfuggire dalla
gabbia delle condizionalità questo andrebbe integrato con tutte le
complicazioni del caso, e a monte si dovrebbe anche modificare il
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Altri propongono di
istituire un fondo ad hoc, che dunque dovrebbe essere finanziato dagli
Stati, ottenendo così un esito paradossale: in questo momento di
emergenza gli Stati stanno chiedendo soldi e non di prendere parte a una
inutile e complessa partita di giro.
Se dunque l’Europa vuole davvero cambiare, allora deve incamminarsi
lungo la strada della riforma radicale della sua filosofia di fondo. E
questa strada non può che comprendere l’affermazione del principio su
cui si basano le comunità politiche, che sono tali anche e soprattutto
perché conoscono efficaci meccanismi di redistribuzione delle risorse:
dalle persone e dai territori ricchi alle persone e ai territori poveri.
Meccanismi solidali, non sottoposti a un regime di condizionalità buono
solo ad attribuire ai mercati il compito di disciplinare quelle
comunità.
Occorre insomma ripristinare il ruolo della Bce come prestatore di
ultima istanza, ovvero come istituzione chiamata ad assolvere al
fondamentale compito di rendere sostenibile il debito pubblico:
impedendo che esplodano gli interessi sul debito accumulato per reperire
risorse presso i mercati, ovvero assicurando disponibilità illimitata a
riacquistare ciò che il mercato decide di vendere, succeda quel che
succeda (whatever it takes). E a monte occorre ripristinare il controllo
della politica sull’attività delle banche centrali, ovvero superare la
loro indipendenza come presidio di una concezione tecnocratica del
governo dell’economia, buona solo ad alimentare l’ortodossia
neoliberale.
Solo a queste condizioni appare sostenibile quanto ha detto la
Presidente della Commissione europea, ovvero che con la sospensione del
Patto di stabilità “i governi potranno immettere nel sistema tutto il
denaro di cui hanno bisogno”. Il resto sono solo trappole per
intrappolare oggi gli Stati che saranno costretti un domani a subire
sanguinose politiche di austerità. Sono solo bufale buone solo a
nascondere che l’Europa non è cambiata, che resta un dispositivo volto a
piegare gli Stati e i loro cittadini al volere dei mercati.
(24 marzo 2020)
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