Il governo ascolti l’appello e colga la disponibilità che arriva da una parte consistente della comunità scientifica italiana, degli IRCSS, dei principali Istituti di Ricerca biomedica, che si sono rivolti al Presidente del Consiglio e a tutti i presidenti delle Regioni con una lettera aperta e con un appello sottoscritto da 300 scienziati e ricercatori.
Il documento indica le risorse e le competenze già esistenti per un piano nazionale d’azione anti-contagio basato sull’impiego di tecnologie già disponibili e sul coordinamento di una rete di laboratori a livello nazionale in grado di realizzare test ripetuti sulle categorie a rischio consentendo “l’identificazione precoce di casi asintomatici e l’immediato isolamento degli stessi e dei contatti diretti”.
Gli scienziati mettono infatti in luce che “le attuali strategie di contenimento basate sull’identificazione dei soli soggetti sintomatici non sono sufficienti alla riduzione rapida dell’estensione del contagio” e offre al governo e al Paese una strada da percorrere subito e che stupisce non sia già stata imboccata con decisione, se si considera che la dichiarazione dello stato d’emergenza risale alla fine di gennaio.
Il distanziamento sociale messo in atto serve infatti a guadagnare tempo per diluire l’impatto sul sistema ospedaliero, in particolare nelle regioni più colpite, ma deve servire al contempo a mettere a punto una strategia per affrontare l’emergenza e per dare al Paese una prospettiva di uscita da essa.
Il tempo guadagnato grazie a queste misure drastiche e allo sforzo comune di tutti i cittadini deve essere impiegato certamente a rafforzare i reparti di terapia intensiva, a mettere a punto protocolli ancora più stringenti per gli ingressi in ospedale, a reperire le mascherine, ma anche a mobilitare tutte le risorse e le competenze scientifiche per fortuna presenti ai massimi livelli nel nostro Paese.
Non ha senso che i vertici della Protezione civile e i massimi esperti tecnici che affiancano il governo riconoscano che “sulle mascherine siamo arrivati tardi” o che non si sono fatti tamponi su più larga scala per l’impossibilità di farlo dati i numeri della popolazione e la bassa disponibilità di kit, se ora non si utilizzano tutte le risorse e le infrastrutture nazionali adeguatamente attrezzate per coinvolgerle e coordinarle con l’obiettivo di fare test periodici sulle categorie a rischio e ad alto numero di contatti - a partire dal personale sanitario ma non solo - che sono stati e rischiano di continuare a essere i vettori principali di diffusione dell’epidemia.
Solo questo scatto potrebbe rendere poi utili e utilizzabili anche le procedure di tracciabilità a ritroso dei contatti avuti dai cittadini positivi, altrimenti anche questo dibattito sul conflitto tra salute pubblica e privacy avviene a un livello puramente astratto.
Solo con questo sforzo sul piano scientifico, tecnologico, organizzativo, il Paese potrà dire di avere una strategia in grado di fronteggiare la drammatica situazione e di onorare il sacrificio di molti nostri concittadini.
Il ricorso alla retorica bellica non solo appare fuori luogo ma del tutto abusato se ad esso non corrisponde un reale ricorso immediato a tutte le energie, le competenze e le risorse del Paese.
Cosa si aspetta?
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