"Sarei più cauto nel definirci un popolo grandioso solo perché ci mettiamo sul balcone a cantare. Ora siamo ancora euforici ma temo il down fra 15 giorni".
Professor Paolo Crepet, come sta vivendo questa fase di quarantena?
Mah,
up and down. Io facevo decine e decine di conferenze per l’Italia.
Tutto questo mi manca. Certo, mi riposo di più, leggo di più, faccio
tante cose che prima non avrei potuto pensare di fare. Non ha un colore
solo la mia giornata, ci sono dei momenti di malinconia, dei momenti di
maggiori speranza. Non sto né bene, né male. Sto anche io come tanti a
guardare la notizia, ad aspettare i numeri. E questo, a dire il vero,
non aiuta.
Se non aiuta lei,
figuriamoci gli italiani. Gli stessi italiani che oggi vengono definiti
una “grandiosa comunità”, parola del presidente del Consiglio, fino a
cinque giorni fa non potevamo fare a meno del weekend a Cortina o
dell’apericena nei centri storici delle città. Soffrono, insomma, come
dei cani in gabbia.
Non c’è
dubbio. Infatti io sarei più cauto. Capisco che un primo ministro debba
fare propaganda. Sarei più cauto nel definire gli italiani un popolo
grandioso solo perché ci mettiamo sul balcone a cantare l’Inno Mameli.
Tutto questo è avvenuto dopo i primi tre giorni di quarantena. Ecco,
voglio vedere fra quindici giorni. Noi costretti dalle leggi per ora
siamo abbastanza buonini in casa, cerchiamo di essere disciplinati, ma
eroici non direi.
E dopo questi primi giorni di “ordine e rigore” muterà il comportamento?
Dopo
diventerà più difficile pensare al futuro. Un conto è chiudere la
propria azienda, bottega, per tre o quattro giorni, un altro sarà quando
si comincerà a capire che non sono tre, quattro, o cinque, ma quindici,
venti, trenta. Ecco, a quel punto inizia una fase depressiva. Mi
occupai di disoccupazione tanti anni fa. La prima fase quando ti
comunicano che sei in cassa integrazione è una fase euforica, nel senso
che dici “vabbé tutto sommato sto a casa, mi faccio le cose che non ho
mai avuto di fare”. Poi subentra la seconda fase depressiva, in cui si
abbassa l’autostima individuale e collettiva. Occorre ricordare che fu
proprio in corrispondenza con la più grande crisi economica mondiale,
quella del 1929, che si contò il più alto tasso di suicidi del
Novecento.
A proposito di
questo, c’è già chi come Clemente Mastella, sindaco di Benevento, corre
ai ripari e predispone l’assistenza gratuita di psicologi. Può essere un
aiuto?
Il punto si pone. In
ogni caso la fase euforica che è quella reattiva, quella nella quale hai
tutte le forze, nella quale sei contento di non avere i sintomi, ma il
tuo unico problema è andare a fare spesa e comprarti sette pacchi di
biscotti, dieci confezioni di Coca Cola. Poi c’è il down. La domanda che
ricorre è: ma quanto può durare questa agonia?
A
molti appunto fa impressione che sia una sorta di fine pena mai. Come
si inganna il cervello? Si deve vivere ogni giorno come se fosse il
primo e l’ultimo?
Non lo so. Di
certo siamo aiutati dal fatto che a differenza dei tempi della peste
veneziana oggi c’è internet. All’epoca c’era un passaparola di morte,
adesso invece sappiamo tutto. Siamo informati, e questa cosa in qualche
modo ti aiuta a sapere, ma ti fa salire anche l’angoscia perché non sai
quando finirà tutto. E’ questo il problema. La gente non ha solo il
terrore di prendersi la malattia. La paura inconscia nasce dal fatto di
avere perso la libertà. E’ questa una cosa alla quale non siamo
abituati. Voglio andare al cinema? Non lo posso fare. Voglio uscire a
mangiare una pizza? Non posso, le pizzerie sono chiuse. Ed è questa una
sensazione difficile da coniugare ai tempi di oggi. Non l’abbiamo mai
minimamente vissuta.
C’è chi sostiene che questa quarantena da Covid-19 ci migliorerà, accrescerà il nostro senso civico. E’ così?
Che
gli italiani abbiano un senso civico mi viene da ridere. Noi siamo
quelli che parcheggiano l’auto in tripla fila, in quarta fila, che ci
piazziamo nel perimetro riservato agli handicappati. Oggi vedo un senso
retorico nelle esternazioni collettive: ho visto un sacco di tricolori.
Tutto ciò mi fa pensare.
Cosa? E’ una rivincita dello Stato nazione?
Di
sicuro questo avrà conseguenza serissime sulle politiche europee. Lei
prenda i cechi, gli ungheresi che erano già ultranazionalisti prima del
virus. Ecco, loro adesso gongolano perché non devono mettere più soldi
per i filo spinati. Ma non possono vincere loro. Questa malattia è
invece un’opportunità per più Europa, più mondo. Il centro di
immunologia di Napoli, dove si sta studiando il vaccino, deve mettersi
in comunicazione con quello austrialiano. La scienza o è mondiale o non
serve nulla. Chi si può illudere di fabbricare un vaccino a casa
propria?
Un’altra questione su
cui si dibatte è quella dei giovani, i quali fanno fatica ad accettare
di non poter uscire. Perché? Chi è il responsabile di questo loro
atteggiamento?
Le giovani
generazioni sono cresciute anche per colpa nostra con un’idea
onnipotente dell’esistenza: era tutto possibile, era tutto facile,
bastava prendere un aereo e volare a Londra, Parigi, New York con 40
auro. Io ho scritto un libro “Libertà” che è uscito ad ottobre in cui
dico: la libertà si conquista e non è mai per sempre. Sono stato un
facile profeta. Oggi siamo in quarantena. I siciliani non possono uscire
dalla Sicilia, i veneti non possono uscire dal Veneto, non esiste più
la possibilità di andarsi a prendere un gelato. In estrema sintesi, la
libertà che noi pensavamo gratuita e per sempre non lo è più. Questa è
un’importante lezione di vita. E’ fondamentale capire che può capitare,
improvvisamente, di avere a che fare con delle privazioni, parola che
molti giovani non sapevano fosse presente nel dizionario.
E
poi ci sono gli anziani, le persone più fragili e più deboli in questa
fase. Oggi Emanuele Macaluso che fra qualche giorno compirà 96 anni, in
un’intervista su Repubblica, lancia un appello: “Sono i giorni peggiori
per noi. Spaventoso il cinismo nei nostri confronti”.
Il
virus ha colpito una cultura di onnipotenza e di protervia che ritiene
che le persone deboli e fragili non servano a niente. Ma una persona
anziana porta esperienza, ingegno, porta capacità di resilienza che i
giovani non hanno. C’era un vecchio detto: la sera conosce cose che il
mattino non si immagina. Il senso della vita è anche questo.
Ci sono molti genitori che hanno difficoltà a spiegare questo momento ai bambini.
Anche
su questo abbiamo esagerato, noi abbiamo pensato che il mondo
dell’infanzia dovesse essere solo dorato, ai bambini dovevamo solo dare
tutto.
Una cultura figlia del consumismo e della globalizzazione?
Esatto.
Per anni ho detto: se muore il nonno portate il bambino al funerale del
nonno. Perché un modo per spiegare al bambino che il mondo non è solo
la pacchia, un gioco, ma è anche difficoltà. Mi ricordo che tanti anni
fa quando ci fu la crisi economica un imprenditore mi disse: in casa
cambiavamo la macchina a una volta all’anno. E adesso come faccio a
dirlo ai miei figli? C’è un senso di vergogna che attanaglia i genitori.
E se ora è solo limitazione di libertà, domani ci sarà una maggiore
difficoltà, quella di tipo economico.
C’è
stata un’immagine che ha scatenato le ire di mezzo Paese: i ragazzi e
non solo che sono scappati dal Nord verso il Sud lo scorso 7 marzo
infischiandone di potere infettare parenti, amici, intere città. Cosa si
cela dietro questo menefreghismo? E’ mero egoismo sociale?
E’
stato l’ultimo conato di vomito di libertà. Questo è un po’ un difetto
culturale della nostra società, è un difetto adolescenziale. Non
rispettiamo l’autorevolezza. Accettiamo solo l’autoritarismo.
Visto
che accettiamo l’autoritarismo finirà che lo stesso popolo dei balconi
tirerà i sassi a chi vede per strada e gli urlerà “untore”?
La
costrizione in un luogo limitato ha degli effetti psicologici. L’orso
diventa più pericoloso se è in gabbia. Chiaro che possono esserci delle
ripercussioni di aggressività.
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