Joe
Biden stravince le primarie democratiche in Sud Carolina, dopo la
schiacciante vittoria di Bernie Sanders in Nevada ed i suoi successi in
New Hampshire ed ancora prima in Iowa.
Siamo
a pochi giorni dal “super-martedì” del 3 marzo, quando si voterà in ben
14 Stati che eleggeranno circa un terzo dei delegati per la convention
democratica di luglio, a Milwaukee, che deciderà lo sfidante di Donald
Trump alle elezioni presidenziali del 3 novembre.
L’ex numero due di Obama ottiene quasi la metà dei consensi (48,4%), con 255.660 voti e 33 delegati conquistati.
Il senatore del Vermont sfiora il 20% (19,9), ottenuto e poco più di
100 mila preferenze e si aggiudica 11 delegati. Il miliardario della
finanza Tom Steyer ottiene poco più dell’11% dei voti, senza avere alcun
delegato, così come il giovane centrista Pete Buttigieg, poco sopra
l’8%.
Il ruolo della comunità nera
In
questo Stato è stato decisivo il voto afro-americano, che compone il
55% dell’elettorato che ha votato in maggioranza per Biden, tranne la
fascia d’età sotto i 24 anni che ha preferito Sanders.
La
Carolina del Sud è il primo Stato in cui si svolgono le primarie con
una consistente porzione di elettorato afro-americano ed è quindi
indicativa per i comportamenti elettorali della comunità nel voto a
venire, così come il Nevada lo era stato per i latinos.
La conquista del voto giovanile degli afro-americani da parte del senatore del Vermont, e lo scarsissimo appeal
di Pete Buttigieg (solo il 3%), confermano la presa di Sanders sui
giovani, anche di una “minoranza etnica” tradizionalmente attaccata al
centrismo democratico, e l’inconsistenza dei candidati democratici più
quotati, a parte Biden, nell’attrarre fasce consistenti di voto nella
loro direzione.
L’altra esponente della sinistra del Partito Democratico in Sud Carolina è andata poco oltre il 7%, nonostante l’endorsement di alcune figure di spicco femminili della comunità afro-americana.
Certamente
la situazione è in continua evoluzione ed è difficile fare previsioni,
soprattutto tenendo conto che martedì scenderà in campo uno degli uomini
più ricchi del mondo e che sta spendendo più di un qualsiasi altro
politico nella storia nord-americana per una competizione elettorale:
Michael Bloomberg, ex repubblicano per tre volte sindaco di New York.
Infatti, un importante sondaggio Reuters/Ipsos pubblicato martedì scorso sembrava mostrare due cose.
Il
primo dato era il “sorpasso” di Sanders su Joe Biden tra gli elettori
afro-americani; una specie di terremoto politico interno, soprattutto in
vista della quarta tappa delle primarie in Carolina del Sud, dove circa
la metà degli elettori democratici sono neri.
Il
secondo, sempre relativo al primo Stato del Sud a svolgere le primarie,
è la previsione di voto che vedeva proprio il socialista del Vermont
saldamente in testa con il 26% mentre al secondo posto sarebbero l’ex
numero due di Obama. Altri sondaggi citati da “Newsweek” lunedì –
FiveThirtyEight e Real Clear Politis – davano fortemente in vantaggio
Biden; FTE lo dava avanti di 8 punti rispetto a Sanders, con il sostegno
del 30% dei democratici.
Ma
come abbiamo visto in Sud Carolina il “sorpasso” di Sanders non c’è
stato e la vittoria dell’ex numero due di Obama è stata ben più
consistente di 8 punti.
Le
due co-fondatrici di “Black Lives Matter”, l’importante organizzazione
afro-americana emersa alla ribalta con l’ultimo ciclo di proteste contro
le violenze poliziesche, durante l’ultima parte dell’ “Era Obama”,
hanno dato il proprio appoggio ai candidati della “sinistra” del partito
democratico. Mentre Alicia Garza di “Black to the Future Action Fund
Group” – ed ex co-fondatrice di BLM – ha dato il suo endorsement
alla Warren, partecipando alla sua campagna elettorale, Patrisse Cullors
ha espresso la propria preferenza sia a Sanders che alla Warren,
invitando Joe Biden letteralmente a farsi da parte.
È
chiaro, come è stato evidente dal voto in Sud Carolina e con la presa
di parola di diversi importanti esponenti, che la comunità
afro-americana sia “spaccata” tra una fascia più giovane ed i relativi
attivisti che guardano “a sinistra” per oltrepassare le vecchie logiche
centriste del Partito, cui resta ancora agganciata una parte rilevante.
Ciclone Bernie
L’ultimo
discorso di Bernie Sanders nella campagna elettorale per le primarie
democratiche in Sud Carolina è stata una sintesi esaustiva della sua
proposta. In circa mezz’ora di comizio non ha usato mezzi termini
rispetto a Donald Trump, così come non lesina critiche all’establishment economico in tutte le sue componenti.
Da
un lato vi è l’1% e dall’altro il 99%, secondo categorie “sdoganate” da
Occupy Wall Street e dalle varie esperienze sorte sull’onda
dell’esperienza newyorkese di quasi dieci anni fa, divenute ormai
egemoni nel discorso politico dell’elettorato democratico, almeno stando
ai numerosi sondaggi che registrano l’appeal di Sanders.
Fa un discorso di classe chiarissimo. Il suo riferimento è la working class
ed i relativi bisogni, su cui è costruita una proposta politica
articolata: dal salario minimo orario, al potenziamento dei sindacati,
dall’assistenza medica gratuita e universale all’istruzione scolastica
fino all’università, dall’edilizia sociale alla cura gratuita di qualità
per l’infanzia.
Un’attenzione
particolare è rivolta alle minoranze etniche, tra cui la comunità
ispano-americana e quella afro-americana, nelle quali sembra essere in
testa certamente tra le fasce giovanili, con la critica forte alle
politiche che ne hanno penalizzato l’esistenza: dalla “war on drugs”
– Sanders è per la legalizzazione della marijuana in tutti gli Stati
dell’Unione – all’iniquo sistema giudiziario e al complesso carcerario,
da riformare strutturalmente, fino alla politica migratoria, tutta da
rivedere.
Sono
battaglie politiche su cui da tempo fa campagna e che gli hanno
permesso di rilanciare la sua sfida dopo l’elezione di Trump.
La
stessa sensibilità è posta nei confronti dei diritti delle donne, che
vivono una condizione di discriminazione salariale da annullare e le cui
garanzie vengono attaccate dall’attuale amministrazione repubblicana.
In
generale, nella lista dell’agenda politica di Sanders, i primi sono i
soggetti più “vulnerabili”, quella parte del 99% che maggiormente ha
sofferto delle politiche che hanno avvantaggiato solo l’1%.
L’emergenza
climatica ed il “green new deal” sono del resto al centro del suo
discorso, ponendo la necessità della transizione ecologica come una
priorità per cui deve iniziare a pagare dazio l’industria dei
combustibili fossili.
Alla fine, se il quasi ottantenne socialista sarà nominato dalla convention democratica di luglio, sconfiggendo tutte le variabili del “centrismo” democratico, l’establishment non potrà che puntare tutto su Trump.
L’ostacolo
più grosso non sono i sondaggi – è in testa nei 14 Stati che
eleggeranno circa un terzo dei delegati, questo martedì – ma i vari
ostacoli anti-democratici dell’apparato democratico, a cominciare dal
potere dei “super-delegati” eletti tra le file dei rappresentanti
istituzionali democratici e non dal voto popolare.
Sanders
è stato l’unico candidato democratico che si è espresso contro questa
figure, affermando semplicemente che chi ottiene più voti in totale
durante le primarie deve essere il candidato prescelto.
Il Super-martedì
Sabato
più di 10 mila persone hanno assistito al rally di Boston, nel
Massachusetts, il secondo della campagna in questa città, mentre il
giorno prima – a Sprinfield – circa 5 mila persone avevano partecipato
ad un altro comizio.
A
Boston erano presenti Mike Connolly (eletto nello Stato) e Varshini
Prakash, co-fondatore del movimento ecologista Sunrise Movement, da cui
Sanders ha ricevuto l’appoggio.
Il Massachussets è uno dei 14 stati in cui si voterà nel “super-martedì” del 3 marzo.
Stando
ai sondaggi pubblicati venerdì, in questo Stato Sanders è in testa di 8
punti rispetto alla senatrice Elizabeth Warren, altra esponente della
sinistra del partito democratico che qui peraltro gioca in casa.
Recentemente
la senatrice del Massachussets, ed ex consigliera di Obama, ha
abbandonato la contrarietà alla ricezione di donazioni da parte dell’establishment
economico, accettando – per la sua campagna in diversi Stati del “Super
Martedì” – diversi milioni di dollari da un organismo legato al
business degli idrocarburi: il “Persist Pac”.
Una
netta inversione di rotta rispetto agli attacchi per cui si era
caratterizzata, contro questa modalità di conduzione delle campagne
politiche.
Rimane perciò su questa linea solo Sanders che, nonostante continui a rifiutare donazioni dall’establishment economico,
ha raccolto – grazie a una marea di piccoli donatori, con una media di
circa 20 dollari a testa – più soldi di tutta la storia delle
presidenziali negli States, come ha annunciato nel suo ultimo comizio
nella Carolina del Sud.
Texas
e California sono due dei più importanti Stati del “super-martedì”, ed
eleggeranno rispettivamente 228 e 416 delegati, quasi un quinto dei
quasi 2.000 – 1991 per l’esattezza – che parteciperanno alla nomination.
Per
questi due Stati Bloomberg sta spendendo una cifra mostruosa in annunci
pubblicitari, in apertura di uffici elettorali e assunzione di staff
dedicati alla campagna “porta a porta”, oltre ad avere assunto esponenti
di alto livello dell’establishment del partito – come i due vice-presidenti democratici dei rispettivi Stati, per esempio – oltre ad avere ricevuto l’endorsement
“interessato” di alcuni eletti locali, tra cui il sindaco di Houston,
la città più grande del Texas, Sylvester Turner, uno dei cento mayor che in tutta l’Unione appoggiano ufficialmente il miliardario.
È
chiaro che il miliardario può “comprare” il consenso degli esponenti di
punta della macchina democratica, alcuni dei quali saranno decisivi
nella convention, cercando di far si che le sue clientele fungano da
cinghia di trasmissione per assicurargli voti.
Ma,
nonostante questo, anche i sondaggi della SSRS per la nota emittente
televisiva CNN danno in testa Sanders in Texas (con il 29%, davanti a
Joe Biden con il 20%, Bloomberg con il 18% e la Warren al 15%).
Uno strepitoso più 14% per il senatore del Vermont rispetto agli stessi sondaggi di dicembre!
In
California Sanders ha invece il 35% – secondo questi sondaggi -,
doppiando di fatto i suoi sfidanti, tutti poco al di sopra del 10% e a
poca distanza l’uno dall’altro: 14% Warren, 13% Biden e 12% Bloomberg.
Anche
in Colorado, dove aveva già vinto 4 anni fa, Sanders è largamente in
testa nei sondaggi, riscuotendo il 25% delle preferenze davanti alla
Warren con il 15%, mentre Buttigieg e Biden sono rispettivamente a 12 e
all’11 per cento.
Gli Stati-chiave
In questo “Super Martedì” è fondamentale la battaglia per conquistare California, Texas e Colorado.
Abbiamo già visto, commentando le elezioni in Nevada, il ruolo centrale del voto ispano-americano, specie di quello giovanile.
In
California, a fine anno, oltre i 2/3 degli ispano-americani – il 74% –
si era registrato per votare, un dato che conferma come la
partecipazione di quella che è la più cospicua minoranza etnica sia
fondamentale per determinare lo sfidante di Trump e la possibile
sconfitta dell’attuale presidente.
La campagna di “Tió Bernie”,
come viene benevolmente chiamato Sanders dagli ispano-americani, è
cominciata prima di tutto in California, appoggiandosi ad una rete di
attivisti locali, con uno stile di lavoro incentrato sull’assunzione di
uno staff già radicato nella comunità, specie nelle zone più povere e
periferiche, che non erano mai state interessate ad una campagna
presidenziale, parlando direttamente ai residenti nella loro lingua e
sposando integralmente i progetti portati avanti dagli attivisti di base
della comunità, che non hanno avuto perciò difficoltà a dare il loro
appoggio al senatore del Vermont.
In una inchiesta della storica testata della sinistra radicale statunitense, The Nation, si indaga sui motivi del successo di Sanders.
“Why is Bernie Sanders so Far Ahead in The California Primary? Organizing”,
di Sasha Abramsky, mette al centro il ruolo dell’organizzazione nella
strategia di Bernie, ed anche in quella della Warren, e soprattutto la
differenza rispetto agli altri candidati, sia nel dispendio di denaro
che nell’appoggiarsi (o meno) a parti consistenti dell’establishment del partito democratico.
Questo
ha permesso al “socialista del Vermont” di guadagnare sempre più
consensi, partendo da una situazione di iniziale svantaggio, visto il
precedente negativo della sconfitta patita quattro anni per mano di
Hillary Clinton.
Il
21 dicembre Sanders, in un primo rally a Venice Beach, appoggia il
Peoples Action’s “Homes Guarantee” plan. Un progetto portato avanti
dall’organizzazione di base “Ground Game LA”, attiva in tutto lo Stato,
per risolvere la questione della vulnerabilità abitativa. “Vogliamo farne un Medicare for all rispetto alla casa” dichiara un suo attivista.
A Fine dell’anno si contano 20 uffici ed un centinaio di attivisti full-time
pagati, più migliaia di volontari che hanno concentrato la loro
campagna non solo sulle città costiere, ma anche nell’interno e nelle
parti meno “visibili” dello Stato.
Lo stile di lavoro viene illustrato da un attivista in questo modo: “abbiamo bussato a porte cui nessuno a mai bussato prima (…) Incontrato le persone li dove vivono e parlato la loro lingua. Abbiamo fatto conferenze stampa in Cantonese e così via”.
“Wall street Pete”
Buttigieg, invece, ha assunto Cecilia Cabello, l’ex direttrice della
campagna per le primarie di Hillary Clinton; che la fece vincere allora,
ma senza registrare significativi risultati ora.
Il
miliardario Bloomberg ha aperto 23 uffici e assunto 800 membri dello
staff stipendiati, e soprattutto organizzato una campagna pubblicitaria
a tappeto che la giornalista di “The Nation” definisce correttamente “media blitz”.
Ma la vera cifra della campagna di Sanders sta in queste parole di Kendall Mayhew, attivista di Ground Game: “per
le persone che stanno lavorando da tempo nell’organizzazione delle
comunità. Abbiamo un candidato che ascolta le nostre strategie e ciò che
stiamo portando avanti, investendo in attivisti con una strategia di
lungo corso, e non catapultati durante le elezioni. La campagna di base
che Sanders ha costruito qui è enorme – e le persone che ha assunto sono
persone in queste comunità; questo è incredibilmente importante.”
Una altra inchiesta del Philadelphia Inquirer,
fatta seguendo la campagna di due attivsiti comunitari latinos di lungo
corso, mostra come la comunità ispano-americana sia divenuta l’arma
segreta di Sanders e di come il fattore organizzativo sia stato
l’elemento decisivo: “lo scorso anno, il team di Sanders è riuscito a
creare una rete di attivisti latinos, inclusi molti solitamente non
coinvolti nelle elezioni. I volontari più entusiasti sono coloro che non
possono votare – sia perché sono ancora alle medie superiori o perché
non sono cittadini degli Stati Uniti”.
E’
sugli esclusi dal “sogno americano”, insomma, che in parte si giocano
sia le primarie democratiche che la possibilità di battere Trump.
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