lunedì 2 marzo 2020

Fight The Power: l’irresistibile ascesa di Bernie Sanders

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Joe Biden stravince le primarie democratiche in Sud Carolina, dopo la schiacciante vittoria di Bernie Sanders in Nevada ed i suoi successi in New Hampshire ed ancora prima in Iowa.
Siamo a pochi giorni dal “super-martedì” del 3 marzo, quando si voterà in ben 14 Stati che eleggeranno circa un terzo dei delegati per la convention democratica di luglio, a Milwaukee, che deciderà lo sfidante di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 3 novembre.
L’ex numero due di Obama ottiene quasi la metà dei consensi (48,4%), con 255.660 voti e 33 delegati conquistati. Il senatore del Vermont sfiora il 20% (19,9), ottenuto e poco più di 100 mila preferenze e si aggiudica 11 delegati. Il miliardario della finanza Tom Steyer ottiene poco più dell’11% dei voti, senza avere alcun delegato, così come il giovane centrista Pete Buttigieg, poco sopra l’8%.

Il ruolo della comunità nera

In questo Stato è stato decisivo il voto afro-americano, che compone il 55% dell’elettorato che ha votato in maggioranza per Biden, tranne la fascia d’età sotto i 24 anni che ha preferito Sanders.
La Carolina del Sud è il primo Stato in cui si svolgono le primarie con una consistente porzione di elettorato afro-americano ed è quindi indicativa per i comportamenti elettorali della comunità nel voto a venire, così come il Nevada lo era stato per i latinos.
La conquista del voto giovanile degli afro-americani da parte del senatore del Vermont, e lo scarsissimo appeal di Pete Buttigieg (solo il 3%), confermano la presa di Sanders sui giovani, anche di una “minoranza etnica” tradizionalmente attaccata al centrismo democratico, e l’inconsistenza dei candidati democratici più quotati, a parte Biden, nell’attrarre fasce consistenti di voto nella loro direzione.
L’altra esponente della sinistra del Partito Democratico in Sud Carolina è andata poco oltre il 7%, nonostante l’endorsement di alcune figure di spicco femminili della comunità afro-americana.
Certamente la situazione è in continua evoluzione ed è difficile fare previsioni, soprattutto tenendo conto che martedì scenderà in campo uno degli uomini più ricchi del mondo e che sta spendendo più di un qualsiasi altro politico nella storia nord-americana per una competizione elettorale: Michael Bloomberg, ex repubblicano per tre volte sindaco di New York.
Infatti, un importante sondaggio Reuters/Ipsos pubblicato martedì scorso sembrava mostrare due cose.
Il primo dato era il “sorpasso” di Sanders su Joe Biden tra gli elettori afro-americani; una specie di terremoto politico interno, soprattutto in vista della quarta tappa delle primarie in Carolina del Sud, dove circa la metà degli elettori democratici sono neri.
Il secondo, sempre relativo al primo Stato del Sud a svolgere le primarie, è la previsione di voto che vedeva proprio il socialista del Vermont saldamente in testa con il 26% mentre al secondo posto sarebbero l’ex numero due di Obama. Altri sondaggi citati da “Newsweek” lunedì – FiveThirtyEight e Real Clear Politis – davano fortemente in vantaggio Biden; FTE lo dava avanti di 8 punti rispetto a Sanders, con il sostegno del 30% dei democratici.
Ma come abbiamo visto in Sud Carolina il “sorpasso” di Sanders non c’è stato e la vittoria dell’ex numero due di Obama è stata ben più consistente di 8 punti.
Le due co-fondatrici di “Black Lives Matter”, l’importante organizzazione afro-americana emersa alla ribalta con l’ultimo ciclo di proteste contro le violenze poliziesche, durante l’ultima parte dell’ “Era Obama”, hanno dato il proprio appoggio ai candidati della “sinistra” del partito democratico. Mentre Alicia Garza di “Black to the Future Action Fund Group” – ed ex co-fondatrice di BLM – ha dato il suo endorsement alla Warren, partecipando alla sua campagna elettorale, Patrisse Cullors ha espresso la propria preferenza sia a Sanders che alla Warren, invitando Joe Biden letteralmente a farsi da parte.
È chiaro, come è stato evidente dal voto in Sud Carolina e con la presa di parola di diversi importanti esponenti, che la comunità afro-americana sia “spaccata” tra una fascia più giovane ed i relativi attivisti che guardano “a sinistra” per oltrepassare le vecchie logiche centriste del Partito, cui resta ancora  agganciata una parte rilevante.

Ciclone Bernie

L’ultimo discorso di Bernie Sanders nella campagna elettorale per le primarie democratiche in Sud Carolina  è stata una sintesi esaustiva della sua proposta. In circa mezz’ora di comizio non ha usato mezzi termini rispetto a Donald Trump, così come non lesina critiche all’establishment economico in tutte le sue componenti.
Da un lato vi è l’1% e dall’altro il 99%, secondo categorie “sdoganate” da Occupy Wall Street e dalle varie esperienze sorte sull’onda dell’esperienza newyorkese di quasi dieci anni fa, divenute ormai egemoni nel discorso politico dell’elettorato democratico, almeno stando ai numerosi sondaggi che registrano l’appeal di Sanders.
Fa un discorso di classe chiarissimo. Il suo riferimento è la working class ed i relativi bisogni, su cui è costruita una proposta politica articolata: dal salario minimo orario, al potenziamento dei sindacati, dall’assistenza medica gratuita e universale all’istruzione scolastica fino all’università, dall’edilizia sociale alla cura gratuita di qualità per l’infanzia.
Un’attenzione particolare è rivolta alle minoranze etniche, tra cui la comunità ispano-americana e quella afro-americana, nelle quali sembra essere in testa certamente tra le fasce giovanili, con la critica forte alle politiche che ne hanno penalizzato l’esistenza: dalla “war on drugs” – Sanders è per la legalizzazione della marijuana in tutti gli Stati dell’Unione – all’iniquo sistema giudiziario e al complesso carcerario, da riformare strutturalmente, fino alla politica migratoria, tutta da rivedere.
Sono battaglie politiche su cui da tempo fa campagna e che gli hanno permesso di rilanciare la sua sfida dopo l’elezione di Trump.
La stessa sensibilità è posta nei confronti dei diritti delle donne, che vivono una condizione di discriminazione salariale da annullare e le cui garanzie vengono attaccate dall’attuale amministrazione repubblicana.
In generale, nella lista dell’agenda politica di Sanders, i primi sono i soggetti più “vulnerabili”, quella parte del 99% che maggiormente ha sofferto delle politiche che hanno avvantaggiato solo l’1%.
L’emergenza climatica ed il “green new deal” sono del resto al centro del suo discorso, ponendo la necessità della transizione ecologica come una priorità per cui deve iniziare a pagare dazio l’industria dei combustibili fossili.
Alla fine, se il quasi ottantenne socialista sarà nominato dalla convention democratica di luglio, sconfiggendo tutte le variabili del “centrismo” democratico, l’establishment non potrà che puntare tutto su Trump.
L’ostacolo più grosso non sono i sondaggi – è in testa nei 14 Stati che eleggeranno circa un terzo dei delegati, questo martedì – ma i vari ostacoli anti-democratici dell’apparato democratico, a cominciare dal potere dei “super-delegati” eletti tra le file dei rappresentanti istituzionali democratici e non dal voto popolare.
Sanders è stato l’unico candidato democratico che si è espresso contro questa figure, affermando semplicemente che chi ottiene più voti in totale durante le primarie deve essere il candidato prescelto.

Il Super-martedì

Sabato più di 10 mila persone hanno assistito al rally di Boston, nel Massachusetts, il secondo della campagna in questa città, mentre il giorno prima – a Sprinfield – circa 5 mila persone avevano partecipato ad un altro comizio.
A Boston erano presenti Mike Connolly (eletto nello Stato) e Varshini Prakash, co-fondatore del movimento ecologista Sunrise Movement, da cui Sanders ha ricevuto l’appoggio.
Il Massachussets è uno dei 14 stati in cui si voterà nel “super-martedì” del 3 marzo.
Stando ai sondaggi pubblicati venerdì,  in questo Stato Sanders è in testa di 8 punti rispetto alla senatrice Elizabeth Warren, altra esponente della sinistra del partito democratico che qui peraltro gioca in casa.
Recentemente la senatrice del Massachussets, ed ex consigliera di Obama, ha abbandonato la contrarietà alla ricezione di donazioni da parte dell’establishment economico, accettando – per la sua campagna in diversi Stati del “Super Martedì” – diversi milioni di dollari  da un organismo legato al business degli idrocarburi: il “Persist Pac”.
Una netta inversione di rotta rispetto agli attacchi per cui si era caratterizzata, contro questa modalità di conduzione delle campagne politiche.
Rimane perciò su questa linea solo Sanders che, nonostante continui a rifiutare donazioni dall’establishment economico, ha raccolto – grazie a una marea di piccoli donatori, con una media di circa 20 dollari a testa – più soldi di tutta la storia delle presidenziali negli States, come ha annunciato nel suo ultimo comizio nella Carolina del Sud.
Texas e California sono due dei più importanti Stati del “super-martedì”, ed eleggeranno rispettivamente 228 e 416 delegati, quasi un quinto dei quasi 2.000 – 1991 per l’esattezza – che parteciperanno alla nomination.
Per questi due Stati Bloomberg sta spendendo una cifra mostruosa in annunci pubblicitari, in apertura di uffici elettorali e assunzione di staff dedicati alla campagna “porta a porta”, oltre ad avere assunto esponenti di alto livello dell’establishment del partito – come i due vice-presidenti democratici dei rispettivi Stati, per esempio – oltre ad avere ricevuto l’endorsement “interessato” di alcuni eletti locali, tra cui il sindaco di Houston, la città più grande del Texas, Sylvester Turner, uno dei cento mayor che in tutta l’Unione appoggiano ufficialmente il miliardario.
È chiaro che il miliardario può “comprare” il consenso degli esponenti di punta della macchina democratica, alcuni dei quali saranno decisivi nella convention, cercando di far si che le sue clientele fungano da cinghia di trasmissione per assicurargli voti.
Ma, nonostante questo, anche i sondaggi della SSRS per la nota emittente televisiva CNN danno in testa Sanders in Texas (con il 29%, davanti a Joe Biden con il 20%, Bloomberg con il 18% e la Warren al 15%).
Uno strepitoso più 14% per il senatore del Vermont rispetto agli stessi sondaggi di dicembre!
In California Sanders ha invece il 35% – secondo questi sondaggi -, doppiando di fatto i suoi sfidanti, tutti poco al di sopra del 10% e a poca distanza l’uno dall’altro: 14% Warren, 13% Biden e 12% Bloomberg.
Anche in Colorado, dove aveva già vinto 4 anni fa, Sanders è largamente in testa nei sondaggi, riscuotendo il 25% delle preferenze davanti alla Warren con il 15%, mentre Buttigieg e Biden sono rispettivamente a 12 e all’11 per cento.

Gli Stati-chiave

In questo “Super Martedì” è fondamentale la battaglia per conquistare California, Texas e Colorado.
Abbiamo già visto, commentando le elezioni in Nevada, il ruolo centrale del voto ispano-americano, specie di quello giovanile.
In California, a fine anno, oltre i 2/3 degli ispano-americani – il 74% – si era registrato per votare, un dato che conferma come la partecipazione di quella che è la più cospicua minoranza etnica sia fondamentale per determinare lo sfidante di Trump e la possibile sconfitta dell’attuale presidente.
La campagna di “Tió Bernie”, come viene benevolmente chiamato Sanders dagli ispano-americani, è cominciata prima di tutto in California, appoggiandosi ad una rete di attivisti locali, con uno stile di lavoro incentrato sull’assunzione di uno staff già radicato nella comunità, specie nelle zone più povere e periferiche, che non erano mai state interessate ad una campagna presidenziale, parlando direttamente ai residenti nella loro lingua e sposando integralmente i progetti portati avanti dagli attivisti di base della comunità, che non hanno avuto perciò difficoltà a dare il loro appoggio al senatore del Vermont.
In una inchiesta della storica testata della sinistra radicale statunitense, The Nation, si indaga sui motivi del successo di Sanders.
Why is Bernie Sanders so Far Ahead in The California Primary? Organizing”, di Sasha Abramsky, mette al centro il ruolo dell’organizzazione nella strategia di Bernie, ed anche in quella della Warren, e soprattutto la differenza rispetto agli altri candidati, sia nel dispendio di denaro che nell’appoggiarsi (o meno) a parti consistenti dell’establishment del partito democratico.
Questo ha permesso al “socialista del Vermont” di guadagnare sempre più consensi, partendo da una situazione di iniziale svantaggio, visto il precedente negativo della sconfitta patita quattro anni per mano di Hillary Clinton.
Il 21 dicembre Sanders, in un primo rally a Venice Beach, appoggia il Peoples Action’s “Homes Guarantee” plan. Un progetto portato avanti dall’organizzazione di base “Ground Game LA”, attiva in tutto lo Stato, per risolvere la questione della vulnerabilità abitativa. “Vogliamo farne un Medicare for all rispetto alla casa” dichiara un suo attivista.
A Fine dell’anno si contano 20 uffici ed un centinaio di attivisti full-time pagati, più migliaia di volontari che hanno concentrato la loro campagna non solo sulle città costiere, ma anche nell’interno e nelle parti meno “visibili” dello Stato.
Lo stile di lavoro viene illustrato da un attivista in questo modo: “abbiamo bussato a porte cui nessuno a mai bussato prima (…) Incontrato le persone li dove vivono e parlato la loro lingua. Abbiamo fatto conferenze stampa in Cantonese e così via”.
Wall street Pete” Buttigieg, invece, ha assunto Cecilia Cabello, l’ex direttrice della campagna per le primarie di Hillary Clinton; che la fece vincere allora, ma senza registrare significativi risultati ora.
Il miliardario Bloomberg ha aperto 23 uffici e assunto 800 membri dello staff stipendiati,  e soprattutto organizzato una campagna pubblicitaria a tappeto che la giornalista di “The Nation” definisce correttamente “media blitz”.
Ma la vera cifra della campagna di Sanders sta in queste parole di Kendall Mayhew, attivista di Ground Game: “per le persone che stanno lavorando da tempo nell’organizzazione delle comunità. Abbiamo un candidato che ascolta le nostre strategie e ciò che stiamo portando avanti, investendo in attivisti con una strategia di lungo corso, e non catapultati durante le elezioni. La campagna di base che Sanders ha costruito qui è enorme – e le persone che ha assunto sono persone in queste comunità; questo è incredibilmente importante.”
Una altra inchiesta del Philadelphia Inquirer, fatta seguendo la campagna di due attivsiti comunitari latinos di lungo corso, mostra come la comunità ispano-americana sia divenuta l’arma segreta di Sanders e di come il fattore organizzativo sia stato l’elemento decisivo: “lo scorso anno, il team di Sanders è riuscito a creare una rete di attivisti latinos, inclusi molti  solitamente non coinvolti nelle elezioni. I volontari più entusiasti sono coloro che non possono votare – sia perché sono ancora alle medie superiori o perché non sono cittadini degli Stati Uniti”.
E’ sugli esclusi dal “sogno americano”, insomma, che in parte si giocano sia le primarie democratiche che la possibilità di battere Trump.

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