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Stiamo combattendo una guerra. E durante le guerre «i debiti
salgono». Dopo settimane di silenzio – annuncia Alessandro Barbera,
sulla “Stampa” – Mario Draghi si riaffaccia in pubblico in uno dei momenti più delicati della storia europea, quando ormai la crisi
del coronavirus ha messo in ginocchio il continente. Nove paesi
dell’Eurozona – in primis l’Italia, insieme alla Spagna e, udite, udite,
la Francia di Macron (e dei Gilet Gialli) – invocano l’introduzione di
strumenti di debito comuni, ma si scontrano come sempre contro il muro
di tedeschi e olandesi. «Il messaggio dell’ex numero uno della Banca
Centrale Europea, apparso sul “Financial Times”, è di quelli fatti
apposta per lasciare il segno nel dibattito», annota la “Stampa”. «C’è
chi lo vede a Palazzo Chigi, chi già al Quirinale, chi come commissario
europeo all’emergenza Covid». Draghi per il momento si limita a
recapitare consigli. «La perdita di reddito del settore privato e ogni
debito assunto per riempirla – dice – deve essere assorbita dai bilanci
pubblici. Il ruolo dello Stato – aggiunge – è utilizzarli per proteggere
cittadini ed economia contro gli shock di cui il settore privato non è responsabile».
Così accade nelle guerre, e poiché questa è una guerra non c’è altra
strada, dice l’ex governatore: le guerre, infatti, «sono state tutte
finanziate da un aumento del debito. Durante la Prima Guerra Mondiale,
in Italia e Germania, accadde per cifre che oscillarono
fra il 6 e il 15 per cento». Specifica Draghi: «La questione chiave non
è “se”, ma “come” lo Stato possa utilizzare in maniera efficace il suo
bilancio.
La priorità – prosegue – non deve essere soltanto dare un
reddito a coloro che hanno perso il lavoro. Innanzitutto dobbiamo
evitare che le persone perdano il lavoro. Se non lo faremo – insiste –
usciremo da questa crisi
con un tasso e una capacità produttiva permanentemente più bassi». Per
proteggerli «serve una immediata iniezione di liquidità, essenziale alle
aziende per coprire le spese operative durante la crisi,
si tratti di grandi o piccole». Secondo Draghi, quanto fatto finora va
bene, ma occorre fare di più. L’unico modo per evitare il peggio «è
mobilitare l’intero sistema finanziario: mercato obbligazionario,
sistema bancario, in alcuni paesi anche quello postale».
Grossomodo, annota la “Stampa”, la ricetta Draghi ricalca la strada tracciata dalla Federal Reserve, negli Usa.
E tutto questo «va fatto immediatamente, evitando ritardi burocratici».
Quindi: le banche dovrebbero prestare denaro a costo zero alle imprese.
In questo modo «diventerebbero strumenti di politica pubblica» e «il
capitale di cui hanno bisogno per svolgere questo compito deve essere
fornito dal governo sotto forma di garanzie statali». Visto che la
recessione sarà «inevitabilmente profonda», la sfida «è agire con
sufficiente forza e rapidità – dice Draghi – affinché non si trasformi
in una lunga depressione, resa più profonda da una pletora di fallimenti
che lascerebbero danni irreversibili». La memoria della storia vissuta negli anni Venti in Europa
è lì a ricordarcelo, scrive Barbera sulla “Stampa”. Ma c’è un’altra
memoria, a pesare, ben più ravvicinata: il disastro epocale prodotto in
Italia dai tagli draconiani introdotti da Monti col suo governo tecnico
insediato nel 2011 con la regia
di Napolitano e dello stesso Draghi, che nove anni fa era ancora
allineato alla “teologia” ordoliberista dell’austerity. La tesi: i tagli
alla spesa aiutano l’economia. Oggi, Draghi sostiene l’esatto contrario: solo il deficit può salvare il paese.
Tutto “merito” del coronavirus? Non esattamente: l’emergenza sanitaria che sta terremotando l’economia
per via della paralisi “modello Wuhan” imposta alle aziende potrebbe
essere soltanto l’alibi – provvidenziale, e colto al volo – con cui
l’uomo che i giornali celebravano come Super-Mario oggi dà inizio alla
sua “terza vita”, quella di stratega post-keynesiano. Allievo
dell’insigne economista progressista Federico Caffè, insieme a Nino
Galloni e Bruno Amoroso, il promettente Draghi – come spesso ricordato
dai suoi illustri “compagni si scuola” – abbandonò gli insegnamenti del
maestro per passare, armi e bagagli, tra le schiere della finanza
neoliberale globalista che si apprestava a privatizzare il pianeta,
svendere interi Stati, impoverire popoli e distruggere la classe media in Europa.
Spesso ricordato per il famoso cocktail a bordo del Britannia, l’allora
giovane Draghi – come direttore generale del Tesoro – fu il grande
regista, insieme a Prodi, della storica rottamazione del made in Italy,
attuata con le privatizzazioni all’italiana degli anni ‘90, caduta la
Prima Repubblica sotto i colpi di Mani Pulite.
Da lì in poi, per Draghi, una marcia trionfale: dirigente di Goldman
Sachs, governatore di Bankitalia, presidente della Bce. Attenzione,
avvertiva in solitaria nel 2011 un grande giornalista come Paolo
Barnard: Draghi fa parte del Gruppo dei Trenta, cioè il massimo club
mondiale dei decisori finanziari. E durante la crisi
dello spread che portò al governo Monti con l’obiettivo di
commissariare l’Italia e indebolirla, lo stesso Draghi attese un intero
anno, prima di intervenire con “l’estintore” finanziario della Bce:
attese, cioè, che gli speculatori (dopo aver spolpato la Grecia)
infierissero anche sull’Italia. Altro che Super-Mario: a sottolinearlo è
Gioele Magaldi, massone progressista, autore – nel 2014 – della
spettacolare contro-narrazione offerta, per la prima volta, nel saggio
“Massoni”, bestseller italiano e ormai anche long-seller, edito da
Chiarelettere. Un libro che svela, sulla base
di 6.000 pagine di documenti, il ruolo delle superlogge massoniche
sovranazionali nelle grandi manovre che sorvintendono alla governance
planetaria. E Draghi, per inciso – racconta Magaldi – è stato membro,
autorevolissimo, di ben 5 superlogge di stampo oligarchico.
“Edmund Burke”, “Pan-Europa”,
“Compass Star-Rose” (”Rosa-Stella Ventorum”), “Three Eyes” e “Der
Ring”: sono le Ur-Lodges che hanno ispirato la svolta reazionaria
dell’Occidente, propiziata dal saggio “La crisi della democrazia”
pubblicato nel 1975 dalla Commissione Trilaterale in piena epoca
Kissinger, con edizione italiana introdotta da Gianni Agnelli. La tesi:
troppa democrazia
fa male. Obiettivo: fermare la sinistra sindacale e i diritti del
lavoro, preparandosi a cancellare una dopo l’altra le conquiste sociali
del welfare. L’Italia, con la sua economia
mista sorretta dall’Iri (che era il maggior conglomerato industriale
europeo), era un ostacolo ingombrante: l’ingresso del Belpaese tra le
prime cinque potenze economiche del mondo stava lì a dimostrare che
proprio l’investimento pubblico, sotto forma di deficit, è un volano che
può fare miracoli, permettendo alle imprese di decollare. Se invece lo
Stato chiude i rubinetti, è finita: salgono le tasse e crollano i
consumi, facendo esplodere la disoccupazione. Mario Draghi l’ha sempre
saputo, anche se ha finto di non ricordarselo, quando i padroni del
mondo volevano esattamente questo: distruggere la sicurezza di milioni
di persone, per concentrare il potere in pochissime mani.
Che il mondo si fosse messo a girare al contrario lo dimostra la
stessa tesi di laurea di Draghi, sulla “insostenibilità di una moneta
unica europea”. Chi l’avrebbe detto, che il giovane studente italiano
sarebbe finito addirittura lassù, all’Eurotower di Francoforte, a
raccontare – anche lui – la bufala della “scarsità di moneta”, in un
mondo in cui – archiviata la parità con l’oro – la valuta viene prodotta
da decenni a costo zero, in modo virtualmente illimitato? Nel saggio
“Il più grande crimine”, è Paolo Barnard a svelare la natura oligarchica
della costruzione dell’euro: un sistema per inguaiare gli Stati,
paralizzandone la spesa. Tutto nacque alla vigilia della nascita
dell’Ue, ricorda Nino Galloni: fu la Francia a imporre l’euro alla
Germania, spaventata dall’esuberanza
economica tedesca. Un patto scellerato: Parigi concesse a Bonn l’ok per
l’unificazione tedesca, a patto che la Germania rinunciasse al marco.
In cambio, la Germania ottenne di poter neutralizzare – con le regole
unilaterali del rigore – il suo concorrente industriale diretto:
l’Italia. Il sistema-euro come gendarme di quel patto: crisi,
austerity, privatizzazioni, sacrifici. E tagli anche criminali, come
quelli alla sanità, che oggi stanno scontando medici e pazienti,
vittime, famiglie.
Ecco il punto, reso vistoso dal coprifuoco imposto dal governo Conte:
non puoi bloccare l’Italia e, al tempo stesso, lasciarla senza soldi.
Bisogna ribaltare il tavolo: fine immediata dell’austerity, o è la
catastrofe. Che lo dica addirittura Draghi – non a caso, dalle colonne
del “Financial Times” – è un segnale eloquente: qualcosa di incredibile è
accaduto, lassù. Non se ne sorprende Gioele Magaldi: era stato il
primo, nei mesi scorsi, ad annunciare la svolta in arrivo, da parte di
Draghi. Fonte: massoneria internazionale, massimo livello del potere.
Lo stesso Draghi, da presidente uscente della Bce, aveva lanciato
messaggi sconcertanti: per uscire dalle secche create dalle restrizioni
indotte dall’euro, aveva detto, occorre rivalutare soluzioni fino a ieri
impensabili, come la Mmt, teorizzata da economisti come Warren Mosler e
proposta in Italia nel 2012 dallo stesso Barnard, con un meeting a
Rimini. Cos’è? Il contrario del neoliberismo: più lo Stato spende, più
l’economia
cresce. Possibile? Certo: l’emissione monetaria non costa niente. Dire
che “non ci sono soldi”, come ha fatto finora l’Ue, è falso. Altra
menzogna: il debito pubblico come peccato, come colpa. L’Italia è
diventata una potenza industriale proprio grazie al deficit: è stato il
governo ad anticipare i soldi per autostrade e ferrovie, scuole,
ospedali, sostegni finanziari alle imprese.
Oggi, i grandi media
– che si sono bevuti tutte le bufale propalate dal club dello spread
(”guai, a spendere”) – registrano con sorpresa l’uscita rivoluzionaria
di Draghi, di fronte alla tragedia coronavirus. Ma dimenticano di
scrivere che, in ottemperanza alla “teologia” del rigore (Patto di
Stabilità, pareggio di bilancio) il nostro paese è in “avanzo primario”
da trent’anni. Cioè: i soldi che lo Stato incamera con le tasse superano
quelli che lo Stato eroga, sotto forma di servizi. In altre parole: da
tre decenni, lo Stato sta impoverendo gli italiani, tagliando servizi e
occupazione, erodendo risparmi. Un incubo cominciato nel 1981, all’inizio di questa storia
incresciosa: quando Bankitalia divorziò dal Tesoro, cessando di fungere
da bancomat del governo, a costo zero. Da allora, gli interessi sui
titoli – acquistati dalla finanza
privata – si impennarono: ecco spiegato il super-debito. Come se ne
esce? In un solo modo: azzerando questo sistema folle e restituendo allo
Stato il suo potere
illimitato di spesa. E in questo, il dramma del coronavirus è un
“assist” perfetto. Se poi a dirlo è Mario Draghi – uno degli uomini di potere
più influenti, al mondo – allora tutto può cambiare, davvero, e in modo
inimmaginabile. Quello che fino a ieri era “impossibile”, tra pochi
giorni potrebbe diventare normale.
Cosa sta succedendo? Lo spiegava Gioele Magaldi, alcune settimane fa:
«Attenti, Mario Draghi vuole finalmente cambiare casacca, dopo tanti
anni. E sta bussando alle porte della massoneria progressista». E’
sincero? «Assicura di voler rimediare ai disastri a cui lui stesso ha
grandemente contribuito, in Europa, nel produrre questa crisi
infinita». La soluzione? Soldi per tutti, subito e a costo zero: come
prescrive la Mmt, Modern Money Theory. Denaro immediato: cioè lavoro,
consumi, ripresa. Miliardi pronta cassa, da pompare nelle casse statali,
perché il governo rianimi il paese immediatamente. Premessa: va
sbaraccata la governance che ha finora retto l’euro-sistema sulla base
di regole ingiuste e truccate. Evidente il ruolo di Draghi: la sua
influenza è indiscussa. E non è solo, naturalmente: secondo Magaldi,
anche Christine Lagarde (che ne ha preso il posto, alla Bce) fa parte
del piano: la sua uscita brutale (”non siamo qui per
calmare gli spread”) era stata pensata proprio per suscitare la
reazione sdegnata che ha puntualmente prodotto. A cosa serve, la Bce, se
non è in grado di intervenire nemmeno in caso di calamità?
La posizione di Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, è
chiara: se si vuole mantenere l’euro, va cambiato lo statuto della banca
centrale. Oggi, l’obiettivo della Bce è limitato al contenimento
dell’inflazione (per stabilizzare i prezzi, a beneficio dei grandi
monopoli). E invece, dice Magaldi, la Bce dovrebbe avere un altro
obiettivo: spendere qualsiasi cifra per ottenere la piena occupazione.
Può farlo, l’Ue retta da una Commissione di non-eletti? Ovvio:
servirebbe un regolare governo federale, votato dal Parlamento Europeo
sulla base delle elezioni in ogni paese. Ma se finora il Muro di
Bruxelles è stato incrollabile, la situazione potrebbe precipitare
rapidamente “grazie” al coronavirus, saltando tutti i passaggi. Fate
presto, raccomanda oggi l’irriconoscibile Draghi, ripetendo il suo
“whatever it takes”: ieri per tenere in piedi l’euro-regime, oggi per
salvare l’Italia messa agli arresti domiciliari e condannata alla
catastrofe, se appunto non si ricorre – subito – a un’iniezione
smisurata di miliardi. Aveva ragione, Magaldi: la sua “profezia” si sta
avverando. Come promesso, Mario Draghi è tornato in campo: e stavolta,
dalla nostra parte. Riuscirà a spuntarla?
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