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Ha creato scalpore e tanti commenti la dichiarazione della Merkel di
fronteggiare l’emergenza economica conseguente al corona virus con 500
miliardi di euro; soprattutto, essa è stata interpretata come la tomba
dell’euro stesso. Prima di entrare in alcuni aspetti “tecnici” della
cosa, cerchiamo di vederne le premesse.
La prima, ma la meno importante: a inizio settimana la Merkel affermò
e ribadì che si sarebbero infettati circa 70 milioni di Tedeschi.
Traduzione: noi non fermeremo né scuole, né sport, né industrie perché
tanto non si tratta di qualcosa di così grave. A distanza di pochi
giorni l’affermazione di cui sopra, la chiusura delle scuole, il fermo
alle attività sportive, l’allarme industrie. Tra i due atteggiamenti,
evidentemente, la Cancelliera ha cambiato i consiglieri sanitari ed ha
appreso che il numero dei ricoverati (con sintomi) sarebbe potuto essere
una piccolissima percentuale dei contagiati (senza sintomi e senza
tamponi positivi), tuttavia la percentuale dei ricoverati in condizioni
gravi o gravissime o con esito letale, un numero tale da cominciare a
creare notevoli preoccupazioni.
La seconda è molto più importante. Al posto di Draghi era stato
designato un Tedesco che avrebbe dovuto fermare il quantitative easing e
far crescere i tassi di interesse (così rivalutando l’euro e
accontentando, almeno in parte, Trump che voleva e vuole la svalutazione
del dollaro): così aiutando le banche tedesche in evidente crisi di
redditività. Invece, a pochi mesi dal fatidico passaggio di consegne,
ecco avanzare la Lagarde (certamente non una colomba, ma nemmeno un
falco) pronta a continuare – più o meno – l’azione di Mario Draghi.
Cos’era successo?
La Cina rallentava e l’industria tedesca – dal canto
suo – pure; nel conflitto tra quest’ultima (che voleva tassi bassi ed
euro sottovalutato) e le banche, vince – come sempre in Germania –
l’industria.
Ma se l’industria tedesca – adesso, con l’emergenza corona virus o
con la scusa emergenza – deve perdere parecchi colpi, delle due l’una: o
si pompa la domanda interna ed europea o si fa saltare il banco perché,
in assenza di soluzioni (per la finanza e per l’economia reale non ce
ne sono senza ripristinare la centralità dello Stato interventista) è
sempre meglio buttarla “in caciara”.
In queste condizioni, che senso avrebbe portare avanti il MES che sta
all’attuale situazione come le brioches di Maria Antonietta alla
Rivoluzione Francese?
Ciò detto, la Merkel ha le seguenti possibilità: 1) un grande
prestito delle sue banche – pubbliche e private – che aumenterà il
debito dei Tedeschi, ma che – al pari di quello dei Lander – potrà venir
diversamente contabilizzato; 2) la emissione di titoli pubblici da far
comprare alle sue banche (tanto il debito dello Stato – grazie
all’éscamotage di non considerare quello dei Lander – non è altissimo e
le banche sono piene di titoli tossici di cui allungare i tempi per
finire alla BCE come Asset Backed Securities in cambio dell’agognata
liquidità); 3) la emissione di moneta sovrana a corso legale nella sola
Germania, cosa che già esiste e non sarebbe incompatibile con l’agonia
dell’euro; 4) escluderei la Germania che immette direttamente euro, ma
non ne sono tanto sicuro!
La domanda che dobbiamo farci, pertanto, non riguarda tanto la fine
dell’euro, ma quello che possiamo e dobbiamo fare a casa nostra, perché –
in questa situazione (e non c’è solo il coronavirus!) – il vero malato
in terapia intensiva è il debito; vale a dire la sua crescita – per un
motivo o per l’altro – più sostenuta di quella dell’economia che, per
varie ragioni, anche legate ai meccanismi di indebitamento, non cresce
affatto.
Possiamo immettere moneta parallela a sola circolazione nazionale
(ovviamente non per importare beni necessari, ma solo per sostenere la
domanda interna).
Possiamo proporre una emissione non a debito della BCE per comperare
in tutta l’eurolandia il 50% dei debiti pubblici e autorizzare un
deficit sotto il 20% del PIL nei prossimi tre anni.
Diversamente, se non c’è collaborazione in questo senso o qualcosa
del genere che serva a rompere o a interrompere la catena del debito,
meglio prepararsi al piano B per fronteggiare le conseguenze del crollo
dell’Impeuro.
Nino Galloni
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