lunedì 18 novembre 2019

Venezia: non è maltempo ma cambiamento climatico

 
dinamopress  Riccardo Carraro
Novembre è da sempre un mese in cui a Venezia avviene il fenomeno dell’acqua alta, come molti hanno scritto in questi giorni.  Quanto è successo invece nella notte tra martedì e mercoledì, è però un fenomeno dalla portata eccezionale che solo chi è in malafede può ricondurre al meteo autunnale. Non è questione di meteo, è questione di cambiamento climatico o, come meglio hanno definito i movimenti ambientalisti, di emergenza climatica.

Perché l’acqua alta dipende dal cambiamento climatico?
La ONG statunitense CoastalClimate monitora costantemente il rischio di innalzamento del livello del mare causato dai cambiamenti climatici. Nel suo ultimo report con mappe interattive dettagliate, dimostra gli scenari agghiaccianti della pianura padana nei prossimi 20 e 30 anni. Venezia, ovviamente, è tra i luoghi più esposti e sommersi.
Questo accade per svariati motivi, tra i quali lo scioglimento dei ghiacciai artici, ma pure l’elevazione delle temperature medie del mare che aumenta il volume della massa acquatica. La bassa pressione prolungata e il fortissimo vento di scirocco di questi giorni (anche questi fenomeni atmosferici straordinari dovuti ai cambiamenti climatici) hanno poi fatto il resto, causando danni enormi in tutta la città.
Nello specifico poi, come spiegato in questo factcheck, vanno considerate pure le attività antropiche che aumentano la subsidenza del terreno in cui si fonda la città lagunare. In particolar modo va ricordata l’estrazione di acqua per finalità industriali (il petrolchimico e l’area industriale di Marghera sono prospicienti la laguna) e l’estrazione di gas in Adriatico, che, a seguito delle scelte scellerate del governo Renzi, nei prossimi anni è programmato debba addirittura aumentare.
Ma il MoSe?
La storia del sistema di dighe mobili fortemente voluto dall’elite economica finanziaria di Venezia è pluridecennale. Fin dagli anni ’70 si iniziò a parlare di un sistema di dighe fisse (enormi cassoni di metallo conficcati al suolo), collocate alle tre bocche di porto, cioè i varchi tra la laguna e il mare. Il MoSe era costosissimo ma avrebbe difeso e protetto la città dalle acque alte presenti e future.  Il progetto è però invecchiato, la scienza e la tecnologia lo hanno ampiamente superato, non esiste in alcun altro luogo al mondo un progetto di sbarramenti mobili che in caso di riposo rimangono adagiati sul fondo marino. “Il MoSe serve solo a chi lo fa” recitava uno slogan dei comitati No MoSe dei primi anni 2000, ripreso da un poster con uno squalo che in molti affiggevano alle vetrine e alle finestre. Eppure, il progetto è andato avanti, sostenuto dal Consorzio Venezia Nuova, una delle entità economiche più potenti della città, e, nonostante numerosi comitati negli anni abbiano dimostrato la sua inconsistenza, la sua debolezza e problematicità, i costi esosi, i rischi ambientali, il MoSe è stato approvato in via definitiva, e i lavori sono iniziati nel 2005 malgrado le tante iniziative di protesta.
Nel 2014 si scoperchia la pentola della corruzione, e i giornali raccontano di un sistema di tangenti clientele e malaffare che ha determinato l’approvazione e la costruzione dell’opera, coinvolgendo tanto il Consorzio Venezia Nuova quanto l’amministrazione comunale e regionale, tutto in puro stile italiano. Partono gli arresti, le denunce e i processi, alcuni dei quali ancora in corso.
Il MoSe oggi non è ancora in funzione, tuttavia vi sono dubbi seri sul suo futuro funzionamento. Alcune stime dicono che non proteggerà da maree superiori a 110 cm, (quella di martedì notte è stata di 187 cm) anche se il Consorzio Venezia Nuova dice di aver fatto prove fino a 300 cm. Non è chiaro quali siano stati i risultati di queste prove.
Inoltre il MoSe è stata un’opera impattante e violenta in un ecosistema fragilissimo quale è la laguna di Venezia. Per realizzarla si è scavato e sbancato, squilibrando canali e cambiando il corso alle correnti. Alle tre bocche di porto sono stati poi posizionati dei “lunate” cioè massicciate di sassi artificiali per contenere l’afflusso e proteggere la diga, ma queste potrebbero essere un trattenitore naturale dell’alta marea, peggiorando anziché migliorare la situazione o quantomeno rendendola più imprevedibile.
Venezia e Belluno, vittime del cambiamento climatico
L’acqua alta eccezionale arriva a poco più di un anno dalla tempesta Vaie che ha sconvolto le foreste del nordest e del Veneto bellunese, provocando lo sradicamento di milioni di alberi. Ancora una volta, ad un anno di distanza, un ecosistema delicato è gravemente danneggiato dagli effetti del cambiamento climatico. E non è solo una questione di cripte marciane o di scantinati. Sono andate sott’acqua librerie, aule universitarie, negozi di alimentari. La storia e il presente della città ne sono gravemente feriti.
Venezia è una città delicatissima. Costantemente colpita dal calo demografico e svuotata dal turismo mordi e fuggi, sempre più costretta al ruolo di Disneyland senz’anima per turisti di tutto il mondo, la città lagunare oggi mostra ancora di più il suo essere sull’orlo del baratro davanti all’avanzare impetuoso dell’emergenza climatica.
Il movimento per il clima lo denuncia da tempo, non c’è salvezza possibile se non cambiando il sistema economico predatore e devastatore in cui viviamo. La politica però sembra ancora una volta girare le spalle. Una riprova è stata la tragicomica scena al Consiglio Regionale del Veneto di mercoledì sera scorso (12 novembre), Dopo essere rimasto fino all’ultimo a discutere e alla fine a respingere un emendamento a favore delle energie rinnovabili per scelta della maggioranza leghista, i consiglieri sono stati mandati via in emergenza e la sala si è riempita d’acqua: metafora inquietante del presente e del futuro a cui andiamo incontro.
Il 29 Novembre si riscende tutti in piazza per il global strike for climate, anche per Venezia.

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