domenica 17 novembre 2019

Un anno dopo, la francia può infiammarsi ancora.

Il 17 novembre 2018 scoppiò la rivolta dei gilets jaunes. La sordità di Macron e la repressione hanno prodotto mesi di riflusso ma il movimento non ha smesso di reinventare la politica e può ancora dare espressione alla rabbia per la crisi sociale e democratica.


jacobinitalia.it Aurélie Dianara 
Un anno fa, il 17 novembre 2018, nella sorpresa generale, quasi 300.000 persone indossando le pettorine catarifrangenti degli automobilisti (che oltralpe sono rigorosamente gialle), hanno preso d’assalto le strade e le rotonde di Francia per protestare contro il previsto aumento del prezzo del carburante.
Era il primo giorno della spettacolare espressione di una rabbia popolare che avrebbe agitato la Francia per molti mesi.
Una “rabbia gialla” che – ben oltre la questione della carbon tax – avrebbe portato con forza alla ribalta della scena politica e mediatica i temi troppo spesso dimenticati della giustizia fiscale, sociale ed ecologica e della partecipazione dei cittadini alla vita democratica.
Anche dopo aver ottenuto la soppressione dell’aumento della tassa, il movimento non ha fatto altro che aumentare la sua determinazione e rafforzare le sue richieste. La questione della natura del movimento dei gilets jaunes ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro e ha scatenato accesi dibattiti tra giornalisti, scienziati sociali e attivisti.
Un anno dopo, cosa rimane di questa rivolta?
I gilets jaunes hanno gradualmente lasciato i titoli dei media dopo la doppia vittoria del Rassemblement National d’estrema destra e del partito del presidente Macron alle elezioni europee di maggio.
Eppure non sono ancora scomparsi.

La rabbia è ancora presente e si sta diffondendo a settori sempre più diversificati della popolazione. Il movimento, che non si è lasciato recuperare dai partiti d’opposizione di destra come di sinistra, continua a strutturarsi e a reinventare la politica dalla parte del popolo.

I gilets jaunes di fronte a un muro

Questo fine settimana, i gilets jaunes festeggiano il loro anniversario. Sono infatti previste mobilitazioni in tutta la Francia per dimostrare che un anno dopo il movimento non è morto, e che continuerà a ribellarsi. Questo “Atto di compleanno“ – il 53° degli “Atti” settimanali che da un anno hanno visto migliaia di gilets jaunes scendere in piazza ogni sabato in tutto il paese – avrà senza dubbio un’importanza simbolica che permetterà, in una certa misura, di giudicare la vivacità del movimento. Molti gilets jaunes provenienti da tutto il paese mirano a tornare sugli Champs Élysées – l’emblema supremo del lusso francese e della disuguaglianza costantemente denunciati dal movimento, e il teatro delle più spettacolari scene di rivolta popolare e di repressione che la Francia abbia visto negli ultimi decenni.
Ora, hanno tutte le ragioni per continuare a essere arrabbiati e denunciare queste disuguaglianze. Nonostante il sostegno storico ricevuto dall’opinione pubblica (quasi l’80% a novembre, 50-60% in primavera), malgrado le deboli concessioni annunciate da Macron nel dicembre 2018 (bonus salariale, defiscalizzazione degli straordinari, cancellazione dell’aumento della pressione fiscale per alcuni pensionati), e nonostante la beffa del suo “Grande dibattito”, il minimo che si possa dire è che il governo non ha ascoltato le richieste del movimento.
Infatti, l’imposta patrimoniale rivendicata dai gilets jaunes non sarà ripristinata; non saranno rimessi in discussione la flat tax, il Cice (un programma di sgravio contributivo che porta ogni anno più di 20 miliardi di euro nelle casse delle imprese) e l’abbattimento dell’exit tax; la spesa sociale e i servizi pubblici saranno ulteriormente ridotti. Sono inoltre previste ampie privatizzazioni di società pubbliche in ottima salute, come Aéroports de Paris, La Française des Jeux (che detiene il monopolio delle lotterie e dei giochi in Francia e nei territori d’oltremare), il gruppo industriale energetico Engie, il GRTgaz (che gestisce gasdotti e i terminali francesi del metano), ma anche, per la prima volta nella storia delle privatizzazioni francesi, un ospedale pubblico. Allo stesso tempo, è stata appena attuata una nuova riforma draconiana del sussidio di disoccupazione, volta a tagliare il sussidio di 1,3 milioni di persone in cerca di lavoro per “responsabilizzarle” (ossia un disoccupato su due, riducendo così da uno a due miliardi di euro all’anno il bilancio dei Centri per l’impiego). Una nuova riforma delle pensioni è inoltre all’ordine del giorno per il 2020, che rischia, nella forma dell’attuale proposta del governo, di ridurre gli attuali livelli pensionistici dal 15% al 23%. Macron continua di organizzare la redistribuzione della ricchezza a favore dei più ricchi. Infine, la proposta di un “Ric” (referendum d’iniziativa cittadina), tanto caro ai gilets jaunes, è stata in un batter d’occhio spazzata via da Macron.
Il fatto è che il governo di Macron non ha alcuna intenzione di discostarsi dal suo corso iniziale – quel corso neoliberale che è stato così ben evidenziato e denunciato dai gilets jaunes. Al contrario, l’azienda Macron, nata a pochi mesi dalle elezioni presidenziali del 2017 con l’obiettivo di riunire centro-destra e centro-sinistra in un progetto di gestione manageriale della società, non ha fatto altro che virare via via verso destra, fin dal giorno della sua creazione. Le elezioni europee di maggio lo hanno mostrato molto chiaramente: dopo aver risucchiato l’elettorato di centro-sinistra in occasione delle presidenziali del 2017, il capo di Stato e i suoi sostenitori si sono concentrati sulla conquista dell’elettorato tradizionale della destra liberale e conservatrice dei Repubblicani. Alcuni degli elettori della “sinistra” centrista, soprattutto del ceto giovane, urbano e istruito, si sono rivolti nuovamente alle liste dei Verdi e del Partito Socialista.  Nel frattempo, i partiti di opposizione che speravano di raccogliere i frutti della rivolta non sono riusciti a incarnare l’alternativa gialla: il Rassemblement National ha ottenuto il risultato previsto dai sondaggi già prima dell’inizio del movimento, e la France Insoumise è crollata a un magro 6,3%.
Tutto fa inoltre pensare che il partito presidenziale non intenda fermarsi su questa strada promettente: la sua dedizione nel mettere i temi dell’immigrazione, dell’uso del velo e del terrorismo islamico al centro del dibattito pubblico è chiaramente volta a continuare a depredare l’elettorato della destra e dell’estrema destra. Con notevole abilità, Macron il mese scorso è così riuscito a far passare la riforma del sussidio di disoccupazione sotto il naso dei media proponendo all’Assemblea nazionale un dibattito sulle questioni migratorie – tra cui l’introduzione di quote per i lavoratori stranieri, la limitazione del numero di richiedenti asilo, la lotta agli “eccessivi” ricorsi alla sanità pubblica, la riduzione delle prestazioni di cui godono i richiedenti asilo e l’inasprimento delle procedure di respingimento alle frontiere.
Una proposta che egli presenta senza complessi come risultato del “Grande dibattito”, questo tour presidenziale camuffato, organizzato all’inizio di quest’anno dal governo in risposta al movimento dei gilets jaunes (in spregio alle regole di imparzialità e trasparenza che dovrebbero normalmente governare questo tipo di dibattito pubblico in Francia). Mentre le questioni migratorie sono state chiaramente marginali sulle rotatorie occupate dai gilet – e gli studi dimostrano che questa non è una delle principali preoccupazioni dei francesi –  Macron è riuscito a manipolare il movimento dei gilets jaunes per riconquistare l’elettorato della sua principale rivale Marine Le Pen, leader del Rassemblement National di estrema destra che è risultato essere in testa alle ultime elezioni europee.
Nonostante la sordità e il disprezzo del governo per le richieste del movimento, la maggior parte dei gilets jaunes ha finito per abbandonare le strade e rientrare a casa. E per una buona ragione: quando l’esaurimento naturale dovuto alla durata del movimento non era sufficiente a scoraggiare i suoi attivisti, la violenza inedita e spettacolare della repressione poliziesca e giudiziaria che si è abbattuta su di loro ha fatto il resto. Due morti, 24 persone che hanno perso un occhio, 5 che hanno avuto una mano strappata, diverse migliaia di feriti, più di 12.000 arresti, 3.000 condanne, di cui 1.000 pene detentive definitive. Per non parlare dell’inarrestabile repressione – meno visibile ma altrettanto reale – che ha colpito le rotonde come le “capanne” e le “case del popolo” aperte dai gilets jaunes in tutta la Francia, quei germogli di democrazia che sono stati evacuati decine di volte dal braccio armato dello Stato. Mai prima d’ora un movimento sociale ha vissuto una repressione di tale violenza in Francia in epoca contemporanea. La caparbietà dei media nello screditare e stigmatizzare il movimento – descritto di volta in volta come omofobo, razzista, antisemita, fascisteggiante e violento – ha completato l’opera. I gilets jaunes sono stati messi con le spalle al muro.

Il fondo dell’aria è sempre giallo

Ma anche se da quest’estate non sono più che qualche migliaio a scendere in strada ogni sabato in tutta la Francia, non si può semplicemente dire che il movimento dei gilets jaunes appartiene al passato.
In primo luogo, perché continuano a strutturarsi. Se l’assenza di un’organizzazione definita e coordinata – che li rendeva tanto sfuggenti quanto difficili da recuperare e controllare – ha potuto costituire un vantaggio per i gilets jaunes nella prima fase della loro mobilitazione, i limiti di questa fluidità si sono fatti sentire molto rapidamente. Parte del movimento ha quindi iniziato nel dicembre 2018, al richiamo di una rotonda a Commercy, una piccola città della Mosa, un processo assembleare di organizzazione dal basso e di messa in rete dei gilets jaunes gradualmente estesosi in tutto l’esagono. Sono state così organizzate diverse “Assemblee delle assemblee” per riunire le delegazioni di ciascuna delle rotonde che si erano riconosciute in questo processo, dove la presenza e l’influenza degli attivisti di sinistra sono palpabili.
Dopo Commercy, Saint-Nazaire e Montceau-les-Mines, è stata la volta di Montpellier, che il 2 e 3 novembre ha accolto la “Quarta Assemblea delle Assemblee” dei gilets jaunes. Dopo due giornate di deliberazioni e di lavoro collettivo, a cui hanno partecipato almeno 600 persone, i gilets jaunes si sono riuniti in plenaria per votare le varie richieste dei loro gruppi di lavoro. Al termine delle discussioni, sono stati approvati due appelli che saranno poi inviati alle assemblee locali per la convalida: un appello rivolto a tutta la popolazione per bloccare la Francia il 16 e il 17 novembre, in occasione dell’anniversario del movimento, e un appello a generalizzare e radicalizzare la mobilitazione sociale contro la riforma delle pensioni, annunciata da diversi sindacati e organizzazioni di gioventù a partire dal 5 dicembre. Infine, la proposta di “dedicare” l’anniversario dei gilets jaunes a tutte le rivolte del mondo per la giustizia sociale, la giustizia climatica e la democrazia è stata accolta e approvata dall’assemblea plenaria.
Allo stesso tempo, molte delle “figure” mediatiche (per non dire leader) emerse durante il movimento continuano a far parlare di sé e a dedicarsi alla causa. Alla fine di ottobre, alcuni personaggi famosi come Priscilla Ludosky (l’unica persona nera tra i leader, colei che aveva lanciato la petizione con più di un milione di firme all’origine del movimento) e Jérôme Rodrigues (ex venditore diventato idraulico, uno di coloro che hanno perso un occhio durante il movimento) hanno inviato una lettera al Presidente della Repubblica chiedendo un incontro prima del 16 novembre per discutere degli abusi delle forze dell’ordine e del rispetto dei diritti fondamentali, e consegnare nelle sue mani il manifesto del “Vero Dibattito“, uno strumento di democrazia partecipativa online che ha permesso di creare una piattaforma di richieste dei gilets jaunes composta dalle 59 proposte più popolari (su 25.000), a seguito di un processo di consultazione che avrebbe raccolto i voti di quasi 45.000 partecipanti. Richiesta di incontro che è rimasta lettera morta, il che non ha impedito ai suoi autori di lanciare questo venerdì un nuovo progetto per una federazione di giubbotti gialli: una “Citizen Lobby” che si strutturerà ai livelli nazionale e locale.
Da parte sua, François Boulo, un giovane avvocato e portavoce di diverse rotonde di Rouen, sta facendo un giro dei media per presentare La ligne jaune (La Linea gialla), un breve manifesto che ha appena pubblicato al fine di “ripristinare l’immagine del movimento tra tutti i cittadini”. Egli ha inoltre lanciato un omonimo strumento di democrazia partecipativa, che mira a strutturare il movimento in gruppi locali, dipartimentali, regionali e nazionali; a discutere azioni e richieste; a diffondere informazioni, condividere risorse, aiutarsi reciprocamente, dare priorità all’istruzione popolare e, a lungo termine, a mettere a disposizione strumenti di democrazia diretta per lavorare allo sviluppo dei Referendum propositivi (Ric). Finora la piattaforma ha ricevuto 27.000 adesioni. Un’altra “star” del movimento, Maxime Nicolle, alias “Fly Rider”, ha appena iniziato una carriera giornalistica presso un nuovo media indipendente di sinistra: Quartier Général. In breve, le “figure” del movimento non hanno detto l’ultima parola. Mentre il movimento continua a respingere l’idea dell’incarnazione in capi o leader carismatici, e sottolinea continuamente l’importanza della partecipazione diretta e dell’orizzontalità, non di meno è in una fase di laboriosa strutturazione. Le rotonde e le case del popolo sono state per lo più evacuate, ma questo fine settimana dell’anniversario può vedere i gilets jaunes riprendere il sopravvento. Inoltre, non va sottovalutata la forza principale del movimento: la riscoperta del collettivo e della politica da parte dei cittadini, il ritorno della deliberazione, dell’espressione, dell’aiuto reciproco e della solidarietà da parte di migliaia di persone finora isolate. Nell’ultimo anno, rotatorie e rifugi di fortuna sono stati veri e propri laboratori di educazione popolare e di democrazia, e luoghi di riscoperta del principio di “fraternità”, il valore dimenticato del motto repubblicano francese. Il movimento ha permesso di ritessere un legame sociale laddove era scomparso. In breve, nell’ultimo anno, i gilets jaunes hanno reinventato la politica, ed è altamente probabile che questa reinvenzione continuerà ad alimentare la vita democratica del paese nei prossimi anni
In secondo luogo, perché la rabbia è lontana dall’essersi placata. Un recente studio dell’Insee (Istituto nazionale di statistica e studi economici) mostra che la disuguaglianza è aumentata in Francia nel 2019 e che la povertà colpisce ora il 14,7% della popolazione, ovvero 9,3 milioni di persone (rispetto al 14,1% dell’anno precedente, ovvero 8,8 milioni di persone). Lo studio mostra che l’aumento delle disuguaglianze è dovuto principalmente al fortissimo aumento di alcuni redditi, come i dividendi agli azionisti (circa il 60%) – un aumento che ha avvantaggiato soprattutto le famiglie più ricche. L’introduzione della flat tax ha poi amplificato questa redistribuzione a vantaggio dei più ricchi, delle grandi imprese e dei fondi di investimento privati. Inoltre, un altro recente studio mostra che la maggioranza (76%) dei francesi ritiene che la contestazione dei gilets jaunes prosegua o possa tornare perché le preoccupazioni della popolazione non sono cambiate. Inoltre, la maggior parte degli intervistati ritiene che il movimento abbia avuto un impatto positivo sul potere d’acquisto dei più svantaggiati e sulla democrazia e il dibattito politico nel paese. In altre parole, i fermenti della rivolta sociale sono ancora lì.
Ciò perché il 17 novembre 2018, centinaia di migliaia di persone, la maggior parte delle quali non aveva mai manifestato prima, si sono svegliate politicamente, hanno capito di non essere sole e hanno fatto esperienza del loro potere collettivo. La maggior parte di queste persone sono probabilmente tornate a casa loro, ma è improbabile che si addormentino di nuovo così facilmente, soprattutto dopo essere state poste in maniera così brutale di fronte alla violenza di Stato. Infatti, come molti altri movimenti popolari che esplodono in tutto il mondo, il lungo movimento giallo è espressione di una rabbia e di una crisi politica profonda che caratterizza l’attuale periodo storico. Una crisi destinata a continuare e che si declina su tre piani: crisi sociale, legata alle politiche di austerità e alle crescenti disuguaglianze; crisi ecologica e climatica; crisi democratica legata allo svuotamento della sovranità popolare. Tre dimensioni di una crisi eminentemente legata all’attuale fase neoliberale del capitalismo globale. Queste sono le domande che sono state davvero al centro del movimento dei gilets jaunes, così come sono – senza nulla togliere alle specificità di ogni contesto – al centro delle rivolte popolari emerse di recente in Cile, Ecuador, Haiti, Barcellona, Algeria, Libano, Iraq, Egitto e ai quattro angoli del mondo.
La questione, quindi, probabilmente non è quella di sapere se la Francia rischia di prendere nuovamente fuoco, ma piuttosto del quando e come ciò avverrà. Negli ultimi mesi, il lungo movimento di sciopero dei servizi di pronto soccorso e l’intensità senza precedenti del movimento di sciopero dei vigili del fuoco, l’apparizione di Extinction Rébellion e l’emergere di un movimento ambientale più radicale, le mobilitazioni contro la riforma Blanquer dell’istruzione, o la recente mobilitazione dei lavoratori delle ferrovie, hanno espresso la crescente frustrazione della popolazione. Dipendenti, disoccupati, precari, lavoratori ospedalieri, contadini, avvocati, pensionati, riders e uberizzati, utenti dei servizi pubblici, donne contro le violenze sessiste , giovani che ormai vedono chiaramente la distruzione del loro futuro così come del pianeta… la lista non fa che allungarsi e i gilet iniziano a mescolarsi.
Dopo la giornata mondiale di lotta contro le violenze sessiste il 23 novembre e la le sciopero globale per il clima il 29 novembre, il prossimo 5 dicembre, diversi sindacati e organizzazioni giovanili hanno chiamato lo sciopero generale (che promette di essere illimitato in alcuni settori) contro la riforma pensionistica a punti prevista dal governo. I lavoratori della metropolitana parigina, i ferrovieri, i lavoratori dei trasporti su strada e i lavoratori delle compagnie aeree hanno annunciato che incroceranno le braccia. I gilets jaunes hanno già annunciato massicciamente che ci saranno. Non è impossibile che Extinction Rébellion e Fridays For Future si uniscano all’appuntamento. La sinistra partigiana francese, sebbene indebolita, frammentata e in fase introspettiva dopo le elezioni europee, sarà certamente coinvolta. Dalla loro débâcle alle europee, le varie formazioni stanno discutendo in vista delle elezioni comunali del marzo 2020. Una parte della sinistra sta cercando di imparare dal movimento dei gilets jaunes, proponendo di fare un passo indietro per sciogliersi in nuove esperienze municipalistiche e mettendo in discussione il sogno dell’incarnazione e della riunificazione della sinistra dietro un solo uomo. Resta da vedere se i gilets jaunes vorranno intraprendere la strada della rappresentanza istituzionale tradizionale
Nel frattempo, il bilancio del Ministero dell’Interno, che quest’anno è già aumentato del 3,4%, dovrebbe aumentare del 4% l’anno prossimo, e il governo ha già annunciato che il regime pensionistico della polizia non sarà toccato dalla riforma delle pensioni…
Incapace di costruire una maggioranza intorno al suo progetto neoliberale, il governo non conosce altre soluzioni che indurire la democrazia con un eccesso di autorità permanente, che non fa che rafforzare un clima di guerra sociale in Francia.
Bon anniversaire, gilets jaunes! Bisognerà rindossare le maschere antigas.

* Aurélie Dianara è una ricercatrice associata di storia economica internazionale presso l’Università di Glasgow, attivista femminista e membro in Italia del cordinamento nazionale di Potere al Popolo.

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